Gli Sposi arrivano a Nazareth

VOLUME I CAPITOLO 14

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6 settembre 1944

1Il più azzurro cielo di un mite febbraio si stende sulle colline di Galilea. Le dolci colline che in questo ciclo della Vergine fanciulla non ho mai visto, e che mi sono ormai così familiari all'occhio come se fra esse io fossi nata.

La via maestra, fresca per nuova pioggia caduta forse la notte passata, non ha polvere, ma neppure ha fango. È compatta e pulita, come fosse una via cittadina, e si snoda fra due siepi di biancospini in fiore. Una nevicata che sa di amarognolo e di bosco, spezzata dalle mostruose agglomerazioni dei cactus, dalle foglie grasse a paletta, tutte irte di pungiglioni e decorate delle enormi granate dei frutti bizzarri, nati senza stelo in cima alle foglie che, per colore e forma, evocano sempre in me profondità marine e boschi di coralli e meduse, o altre bestie dei mari profondi.
Oltre le siepi — la cui funzione è di recingere le proprietà dei singoli, per cui si allungano in ogni senso, facendo un bizzarro disegno geometrico di curve e di angoli, di rombi, losanghe, quadrati, semicircoli, triangoli dalle acutezze o ottusità più inverosimili, un disegno tutto spruzzato di bianco, come un nastro capriccioso che avessero steso così, per gioia, lungo le campagne e sul quale volano, pigolano, cantano a centinaia uccellini d'ogni specie, nella gioia dell'amore e nell'opra dei nidi da ricostruire — oltre le siepi, la campagna, coi grani in erba, qui già più alti che nelle campagne di Giudea, e prati tutti in fiore, e su essi — in risposta alle leggere nuvolette del cielo che il tramonto fa rosee, fa di un lilla tenue, di un viola pervinca, di un opalino tinto d'azzurro, di un arancio-corallo — a cento e cento, le nuvole vegetali degli alberi da frutto, bianche, rosee, rosse, in tutte le sfumature del bianco, rosa e rosso.
Al lieve vento della sera sfarfallano e cadono i primi petali dagli alberi fioriti, e sembrano sciami di farfalline in cerca di polline sui fiori del campo. E, fra albero ed albero, festoni di vite ancor nuda, che solo nei sommi dei festoni, dove più colpisce il sole, hanno uno schiudersi innocente, stupito, palpitante delle prime foglioline.
Il sole tramonta placido nel cielo, così mite nel suo azzurro che la luce fa ancor più chiaro, e lontano ne brillano le nevi dell'Hermon e di altre cime lontane.

2Un carro va per la via. Il carro che porta Giuseppe e Maria ed i cugini di Lei. Il viaggio è al termine.

Maria guarda con l'occhio ansioso di chi vuol conoscere, anzi riconoscere, ciò che già vide, e non lo ricorda più, e sorride quando qualche larva di ricordo torna e si appoggia come una luce su questa o quella cosa, su questo o quel punto. Elisabetta, e con lei Zaccaria e Giuseppe, aiutano questo suo ricordare, accennando a questa o quella cima, a questa o quella casa.
Case, ormai, perché Nazareth già si mostra, stesa sull'ondulazione della sua collina. Presa da sinistra dal sole occiduo, mostra il bianco delle sue casette, larghe e basse, che la terrazza sormonta, pennellato di rosa. E alcune, colpite in pieno, paiono presso ad un incendio, tanto la facciata si fa rossa di sole che accende anche l'acqua delle gore e dei pozzi bassi, quasi senza parapetto, da cui salgono cigolando le secchie per la casa o le ghirbe per l'ortaglia.
Bambini e donne si fanno sul ciglio della via, occhieggiando nel carro, e salutano Giuseppe, molto conosciuto. Ma poi restano perplessi e intimoriti davanti agli altri tre.
Ma, quando proprio s'entra nella cittadina, non vi è perplessità e timore. Molta e molta gente di ogni età è all'inizio del paese sotto un arco rustico di fiori e fronde, e appena il carro spunta, da dietro il gomito dell'ultima casa di campagna messa di sghembo, è un trillio di voci acute e un agitar di rami e fiori. Sono le donne, le fanciulle e i bambini di Nazareth, che salutano la sposa. Gli uomini, più gravi, stanno dietro alla siepe irrequieta e trillante, e salutano con gravità.
Maria, ora che il carro è stato scoperto della sua tenda — l'hanno levata prima di giungere al paese, perché ormai il sole non dava noia e per permettere a Maria di vedere bene la terra natia — appare nella sua bellezza di fiore. Bianca e bionda come un angelo, Ella sorride con bontà ai bambini che le gettano fiori e baci, alle fanciulle della sua età che la chiamano a nome, alle spose, alle madri, alle vecchie che la benedicono con le loro voci cantanti. Si inchina agli uomini, e specie ad uno che forse è il rabbino o il maggiorente del paese.
Il carro prosegue per la via principale a passo lento, seguito per un buon tratto dalla folla per la quale l'arrivo è un avvenimento.

3«Ecco la tua casa, Maria», dice Giuseppe accennando con la frusta ad una casetta, che è proprio sotto lo scrimolo di una ondulazione della collina e che ha sul dietro un bello e vasto orto tutto in fiore, che termina con un piccolissimo uliveto. Oltre questo, la solita siepe di biancospino e cactee segna il limite della proprietà. I campi, un tempo di Gioacchino, sono oltre…
«Poco, vedi, ti è rimasto», dice Zaccaria. «La malattia del padre tuo fu lunga e costosa. E costose le spese per riparare il danno fatto da Roma. Vedi? La strada ha portato via i tre principali ambienti e la casa si è ridotta, e per farla più ampia, senza spese soverchie, fu presa una parte del monte che fa grotta. Gioacchino vi teneva le provviste e Anna i suoi telai. Tu farai ciò che credi».
«Oh! che sia poca cosa non importa! Sempre mi basterà. Lavorerò…».
«No, Maria». È Giuseppe che parla. «Io lavorerò. Tu non farai che tessere e cucire le cose della casa. Sono giovane e forte, e sono il tuo sposo. Non mi mortificare col tuo lavoro».
«Farò come tu vuoi».
«Sì, in questo io voglio. Per ogni altra cosa ogni tuo desiderio è legge. Ma in questo no».

4Sono arrivati. Il carro si ferma. Due donne e due uomini, rispettivamente sui quaranta e cinquant'anni, sono sull'uscio, e molti bambini e giovinetti sono con loro.
«Dio ti dia pace, Maria», dice l'uomo più anziano, e una donna si accosta a Maria e l'abbraccia e bacia.
«È mio fratello Alfeo e Maria sua moglie, e questi sono i figli loro. Sono venuti apposta per farti festa e dirti che la loro casa è tua, se tu vuoi», dice Giuseppe.
«Sì, vieni, Maria, se ti è penoso vivere sola. La campagna è bella in primavera e la nostra casa è in mezzo a campi in fiore. Tu sarai il più bel fiore in essi», dice Maria di Alfeo.
«Io ti ringrazio, Maria. Tanto volentieri verrei. E verrò qualche volta, verrò senza fallo per le nozze. Ma ho tanto desiderio di vedere, di riconoscere la mia casa. L'ho lasciata piccina e ho perduto il suo volto… Ora lo ritrovo… e mi pare di ritrovare la mia madre perduta, il padre amato, di ritrovare l'eco delle loro parole… e il profumo del loro ultimo respiro. Mi pare non esser più orfana, poiché ho intorno di nuovo l'abbraccio di queste mura… Capiscimi, Maria». Maria ha un poco di pianto nella voce e sulle ciglia.
Maria di Alfeo risponde: «Come tu vuoi, cara. Voglio che tu mi senta sorella e amica e un poco anche madre, perché di tanto sono più anziana di te».
L'altra donna si è fatta avanti: «Maria, io ti saluto. Sono Sara, l'amica di tua madre. Ti ho vista nascere. E questo è Alfeo, nipote d'Alfeo e grande amico della madre tua. Quel che ho fatto per tua madre farò per te, se vuoi. Vedi? La mia casa è la più vicina alla tua e i tuoi campi sono ora di noi. Ma se vi vuoi venire, fallo ad ogni ora. Apriremo un varco nella siepe e saremo insieme, pur essendo ognuna in casa nostra. Questo è mio marito».
«Io vi ringrazio tutti e di tutto. Di tutto il bene che avete voluto ai miei e che mi volete. Ve ne benedica Iddio onnipotente».

5Le casse pesanti sono scaricate e portate in casa. Si entra. E riconosco ora la casetta di Nazareth quale è poi nella vita di Gesù.
Giuseppe prende per mano — il solito gesto — Maria, ed entra così. Sulla soglia le dice: «Ed ora, su questa soglia, io voglio da te una promessa. Che qualunque cosa ti avvenga o ti occorra, tu non abbia altro amico, altro aiuto a cui volgerti che Giuseppe, e che per nessun motivo tu ti abbia a crucciare da sola. Io sono tutto per te, ricordalo, e sarà mia gioia farti felice il cammino e, poiché la felicità non è sempre in nostro potere, almeno fartelo quieto e sicuro».
«Te lo prometto, Giuseppe».
Vengono aperte porte e finestre. L'ultimo sole entra curioso.
Maria ora si è levato il manto e il velo, perché, meno i fiori di mirto, ha ancora la veste di nozze. Esce nell'orto in fiore. E guarda, e sorride e, sempre tenuta per mano da Giuseppe, fa un giro nell'orto. Pare riprenda possesso del luogo perduto.
E Giuseppe mostra le sue fatiche: «Vedi? Qui ho fatto questo scasso per raccogliere l'acqua piovana, ché queste viti hanno sempre arsura. A questo ulivo ho risegato i rami più vecchi per dargli vigore, e ho messo a dimora questi meli perché due erano morti. E poi là ho messo dei fichi. Quando saranno cresciuti ripareranno la casa dal troppo sole e da sguardi curiosi. La pergola è quella antica. Non ho fatto che cambiare i pali marciti e lavorare di cesoie. Darà molta uva, spero. E qua, guarda», e la conduce orgoglioso verso la costa che si alza a ridosso della casa e che fa limite al brolo dal lato di tramontana, «e qua ho scavato una grotticella e l'ho rinforzata e, quando saranno attecchite queste piantine, sarà quasi uguale a quella che avevi. Non vi è la sorgente… ma spero portarne un filo. Lavorerò nelle lunghe sere estive, mentre ti verrò a trovare…».

6«Ma come?», dice Alfeo. «Non fate nozze[44] quest'estate?».
«No. Maria desidera filare i pannilani, uniche cose che manchino al corredo. Ed io sono contento che così sia. È tanto giovane, Maria, che nulla è se si attende un anno e oltre. Intanto si ambienta alla casa…».
«Mah! Tu sei sempre stato un poco diverso dagli altri e lo sei anche ora. Non so chi non avrebbe fretta di avere in moglie un fiore come è Maria, e tu ci metti dei mesi fra mezzo!…».
«Gioia lungamente attesa, gioia più intensamente goduta», risponde Giuseppe con un fine sorriso.
Il fratello si stringe nelle spalle e chiede: «E allora? Quando conti pensare alle nozze?».
«Al sedicesimo anno di Maria. Dopo la festa dei Tabernacoli. Saran dolci le sere d'inverno per i novelli sposi!…», e sorride ancora guardando Maria. Un sorriso d'intesa segreta e soave. Di una castità fraterna che consola.
Poi riprende il suo giro: «Questo è lo stanzone nel monte. Se credi, ne farò la mia officina quando verrò. È unito, ma non nella casa. Così non darò disturbo di rumori e di disordine. Se però vuoi diversamente…».
«No, Giuseppe. Va benissimo così».

7Rientrano in casa e si accendono le lampade.
«Maria è stanca», dice Giuseppe. «Lasciamola alla sua quiete, coi cugini».
Saluti di tutti, che se ne vanno. Resta Giuseppe, ancora qualche minuto, e parla con Zaccaria sottovoce.
«Tuo cugino ti lascia qualche tempo Elisabetta. Sei contenta? Io sì. Perché ti aiuterà a… farti una perfetta donna di casa. Con lei potrai disporre come vuoi le tue cose e i tuoi arredi, ed io verrò ogni sera ad aiutarti. Con lei potrai acquistare lana e quanto ti occorre. Ed io provvederò alla spesa. Ricordati che lo hai promesso di venire a me per ogni cosa. Addio, Maria. Dormi il primo sonno di signora in questa tua casa e l'angelo di Dio te lo renda sereno. Il Signore sia sempre con te».
«Addio, Giuseppe. Anche tu sii sotto l'ali dell'angelo di Dio. Grazie, Giuseppe. Di tutto. Per quanto posso, ti compenserò del tuo amore col mio».
Giuseppe saluta i cugini ed esce.
E con lui cessa la visione.