Archeologia biblica
L’archeologia biblica è una branca dell'archeologia tradizionale, che si occupa dello studio dei reperti provenienti dalle scoperte archeologiche legate, direttamente o indirettamente alla Bibbia. Questa scienza dell'antichità mira alla ricostruzione delle civiltà, dei luoghi, dell'ambiente storico e dei costumi del Medio Oriente, riconducibili alla storia d'Israele, l'antico popolo dell'alleanza con Dio. Una branca della archeologia biblica è la Palestinologia.
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Le 15 Scoperte Più Importanti dell'archeologia Biblica
Il dottor Walter C. Kaiser Jr. è titolare di Antico Testamento presso il Seminario Teologico Gordon-Conwell. Egli è riconosciuto a livello internazionale come studioso di Antico Testamento. Ha pubblicato più di 30 libri.
È difficile ridurre diverse centinaia di scoperte archeologiche significative a un semplice elenco delle 15 più importanti. Le seguenti saranno qui elencate sulla base di come ciascuna ha influenzato l'interpretazione delle Scritture. Elencherò le seguenti scoperte in ordine di significatività, aggiungendo giusto qualche commento per spiegarne l'importanza.
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La stele di Merneptah
La stele, conservata al museo del Cairo, è alta circa 3 metri, termina con alcune note che ricordano una vittoria precedente dello stesso faraone, questa volta contro Canaan. Nell’elenco delle popolazioni sconfitte nella spedizione figura anche Israele: “Canaan è stata totalmente saccheggiata, Ascalona è stata deportata prigioniera, Ghezer è stata presa, Jenoam è stata distrutta. Israele è devastato e non ha più discendenza, la Siria è ridotta a vedovanza dall’Egitto […]”.
L’invasione di Canaan da parte di Merneptah risale al tempo dei Giudici e sebbene non sia menzionata nella Bibbia, è utilissima per dimostrare che a quel tempo Israele risiedeva già stabilmente in Canaan. La Stele è la prima testimonianza archeologica in cui compare il nome di Israele ed anticipa di 400 anni il primo riferimento extra biblico al popolo di Dio, un fatto eccezionale che ha spinto a ribattezzare il reperto “Stele di Israele”. Senza, non vi sarebbero prove esterne alla Bibbia dell’insediamento di Israele in Canaan prima del 1200 a.C.
La combinazione di tre segni, un’asta spezzata e un uomo e una donna seduti, indica che Israele è un popolo straniero.
Grazie a questa testimonianza gli studiosi, spesso critici verso la cronologia biblica, hanno dovuto rivedere la data dell’Esodo, collocandolo in un periodo necessariamente anteriore al XIII secolo a.C., in quanto non solo Israele era già in Canaan al tempo del faraone Merneptah, ma era anche abbastanza forte da combattere contro l’Egitto, al pari delle altre entità politiche menzionate nell’iscrizione.
Nella Bibbia il termine “Israele” compare per la prima volta quando questo nome viene dato al patriarca Giacobbe. I discendenti dei 12 figli di Giacobbe furono chiamati “i figli d’Israele”. (Genesi 32:22-28, 32; 35:9, 10) Anni dopo, sia il profeta Mosè che il faraone d’Egitto usarono il termine “Israele” per indicare i discendenti di Giacobbe. (Esodo 5:1, 2) La stele di Merneptah è il più antico riferimento extrabiblico, tra le fonti di cui disponiamo, a un popolo chiamato Israele.
Vedi filmato sul ritrovamento QUI
La combinazione di tre segni, un’asta spezzata e un uomo e una donna seduti, indica che Israele è un popolo straniero.
Grazie a questa testimonianza gli studiosi, spesso critici verso la cronologia biblica, hanno dovuto rivedere la data dell’Esodo, collocandolo in un periodo necessariamente anteriore al XIII secolo a.C., in quanto non solo Israele era già in Canaan al tempo del faraone Merneptah, ma era anche abbastanza forte da combattere contro l’Egitto, al pari delle altre entità politiche menzionate nell’iscrizione.
Nella Bibbia il termine “Israele” compare per la prima volta quando questo nome viene dato al patriarca Giacobbe. I discendenti dei 12 figli di Giacobbe furono chiamati “i figli d’Israele”. (Genesi 32:22-28, 32; 35:9, 10) Anni dopo, sia il profeta Mosè che il faraone d’Egitto usarono il termine “Israele” per indicare i discendenti di Giacobbe. (Esodo 5:1, 2) La stele di Merneptah è il più antico riferimento extrabiblico, tra le fonti di cui disponiamo, a un popolo chiamato Israele.
Vedi filmato sul ritrovamento QUI
Rinvenuto Gerusalemme lo stampo del sigillo di re Ezechia
A poco a poco la Terra d’Israele sta rivelando al popolo d'Israele i segreti rimasti sepolti nelle sue profondità per migliaia di anni
Di David M. Weinberg
La scoperta di un’impronta del sigillo reale di Ezechia negli scavi all’Ophel “riporta in vita davanti ai nostri occhi i racconti biblici su re Ezechia e sulle attività svolte durante la sua vita nel quartiere reale di Gerusalemme”, afferma l’Università di Gerusalemme. In effetti, è molto più di questo.
Il rinvenimento e la decifrazione della bulla di 2.700 anni fa trovata negli scavi accanto al Monte del Tempio è la prova concreta delle profonde radici del popolo ebraico a Gerusalemme: una conferma degli atavici diritti degli ebrei a Gerusalemme. Il che è doppiamente importante in un periodo come questo in cui vi sono studiosi e archeologi che negano la veridicità di ogni racconto biblico dell’antico Israele, e molti palestinesi che sostengono che il popolo ebraico non ha nessuna storia e nessun diritto nazionale a Gerusalemme. Si consideri quanti – dall’Unesco, ai palestinesi, ai ”pacifisti” intransigenti fino a scettici archeologi dell’Università di Tel Aviv – hanno contestato i due decenni di scavi all’Ophel e nella Città di Davide a Gerusalemme, alle falde del Monte del Tempio.
Di David M. Weinberg
La scoperta di un’impronta del sigillo reale di Ezechia negli scavi all’Ophel “riporta in vita davanti ai nostri occhi i racconti biblici su re Ezechia e sulle attività svolte durante la sua vita nel quartiere reale di Gerusalemme”, afferma l’Università di Gerusalemme. In effetti, è molto più di questo.
Il rinvenimento e la decifrazione della bulla di 2.700 anni fa trovata negli scavi accanto al Monte del Tempio è la prova concreta delle profonde radici del popolo ebraico a Gerusalemme: una conferma degli atavici diritti degli ebrei a Gerusalemme. Il che è doppiamente importante in un periodo come questo in cui vi sono studiosi e archeologi che negano la veridicità di ogni racconto biblico dell’antico Israele, e molti palestinesi che sostengono che il popolo ebraico non ha nessuna storia e nessun diritto nazionale a Gerusalemme. Si consideri quanti – dall’Unesco, ai palestinesi, ai ”pacifisti” intransigenti fino a scettici archeologi dell’Università di Tel Aviv – hanno contestato i due decenni di scavi all’Ophel e nella Città di Davide a Gerusalemme, alle falde del Monte del Tempio.
Superando con perseveranza grandi avversità, la professoressa Eilat Mazar e i suoi colleghi della Israel Antiquities Authority e dell’Università di Gerusalemme hanno portato alla luce alcuni dei più antichi manufatti conosciuti della città, risalenti ai secoli XI e XII a.e.v. Tra questi, prove a sostegno della storicità dei re biblici Davide e Salomone, fondatori della dinastia di Giuda.
Due anni fa, l’infaticabile Mazar ha annunciato la scoperta di un tesoro di monete d’oro trovate ai piedi del Monte del Tempio, risalenti al VI secolo e agli inizi del VII secolo a.e.v, cioè al periodo del Primo Tempio. Il tesoro comprendeva un grande medaglione d’oro sbalzato con motivi ebraici tra i quali una menorà e uno shofar. E ora la bulla che porta il nome di re Ezechia (727-698 a.e.v.), un reperto scoperto sei anni fa ma che solo di recente è stato decifrato. E’ la prima volta che l’impronta di sigillo di un re d’Israele o di Giuda viene alla luce in uno scavo scavi archeologico scientifico in Israele. Si tratta “della cosa più vicina a cui possiamo arrivare che molto probabilmente sia stata tenuta in mano da re Ezechia in persona”, dice Mazar. La bulla è stata scoperta in una discarica adiacente a un edificio reale o governativo verosimilmente costruito nel X secolo a.e.v., l’epoca di re Salomone.
Quest’ultima scoperta di Mazar ci ricorda altri importanti ritrovamenti archeologici che mettono in risalto il radicamento ebraico in Terra d’Israele. Tra questi, le quattro antiche iscrizioni finora conosciute che menzionano “Israele”: la Stele di Merneptah (un’iscrizione dell’epoca del re egizio Merneptah del 1200 a.e.v., figlio del faraone Ramses II, quello della storia dell’Esodo); la Stele di Tel Dan (nella quale il re Hazael di Aram-Damasco, del IX secolo a.e.v., si vanta delle vittorie sul re d’Israele e sul suo alleato, il re della “Casa di Davide”); la Stele di Mesha (trovata sulle rive del Mar Morto, nella quale il re di Moav celebra le sue vittorie sui re ebrei della casa di Omri, strettamente parallelo al testo biblico di 2Re 3); e i Monoliti assiri di Kurkh (che sembrano fare riferimento a re Acab d’Israele).
Negli anni ‘50, Yigal Yadin scoprì le porte delle mura di Hatzor, Megiddo e Ghezer, che corrispondono perfettamente ai progetti di costruzione su larga scala di re Salomone del X secondo a.e.v. come sono descritti in 1 Re.
Un menzione speciale, in questo contesto, va all’archeologo israeliano tanto vituperato Adam Zartal, dell’Università di Haifa, scomparso lo scorso di ottobre. Zartal trascorse trent’anni a studiare uno straordinario pezzo di territorio in Giudea e Samaria, e nove anni a scavare un importante altare cerimoniale identificabile con quello costruito dal profeta e condottiero biblico Giosuè sul monte Ebal, vicino a Nablus (Giosuè 8, 30-31). Da molti colleghi è stato attaccato, deriso e infine ignorato. Ma Zartal era convinto che il lavoro degli archeologi contemporanei possa e debba ispirarsi alla Bibbia ebraica. Per Zertal, l’altare sul monte Ebal dimostra che gli israeliti attraversarono effettivamente il Giordano entrando in Canaan, come narra la Bibbia.
Una controversia simile è scoppiata nel corso degli scavi di Yosef Garfinkel, dell’Università di Gerusalemme, a Khirbet Qeiyafa, nella valle di Elah. Garfinkel vede nella cittadella fortificata una prova del potente regno di Davide nel X secolo a.e.v., e la identifica con la città biblica di Sha’arayim, menzionata in 1 Samuele. Altri, come Aharon Kempinski e Israel Finkelstein dell’Università di Tel Aviv, che considerano l’intero racconto biblico puramente mitologico, sostengono che il “cosiddetto regno di Davide” non era altro che una piccola entità tribale, povera e scarsa di popolazione, che non si estendeva al di là dei confini di Gerusalemme e dei suoi immediati dintorni.
Ovviamente questi dibattiti riflettono non solo differenti opinioni scientifiche, ma anche prospettive profondamente diverse sul piano nazionale, politico e teologico (rafforzate da tensioni interpersonali, gelosie accademiche, competizioni per il budget). Possono anche riflettere il fatto che l’archeologia con un vera angolatura biblica è ancora agli inizi, soprattutto a Gerusalemme. L’equilibrio delle opinioni potrebbe spostarsi con l’aumento degli scavi e delle nuove scoperte.
La mia sensazione è che a poco a poco la Terra d’Israele sta rivelando al popolo d’Israele i segreti che sono rimasti sepolti nelle sue profondità per migliaia di anni. Anno dopo anno, scavo dopo scavo, gli strati dell’esilio vengono staccati dalla terra. La terra si rivela, e la storia del popolo ebraico in Israele si manifesta agli occhi di tutti.
Tutto questo è un altro modo per dire, ai palestinesi e ai tanti soggetti nel mondo ostili a Sion, che possono scordarsi di cacciare via Israele. Il retaggio del popolo ebraico a Gerusalemme e in Terra di Israele è solido come la roccia, e in essa incorporato. La storia e l’identità nazionale d’Israele sono autenticamente e profondamente ancorate a Gerusalemme. Nessuna quantità di palestinesi armati di coltelli, o di qualsiasi altra arma, potrà strappare gli ebrei da Gerusalemme e da questo paese.
(Da: Jerusalem Post, 3.12.15)
Due anni fa, l’infaticabile Mazar ha annunciato la scoperta di un tesoro di monete d’oro trovate ai piedi del Monte del Tempio, risalenti al VI secolo e agli inizi del VII secolo a.e.v, cioè al periodo del Primo Tempio. Il tesoro comprendeva un grande medaglione d’oro sbalzato con motivi ebraici tra i quali una menorà e uno shofar. E ora la bulla che porta il nome di re Ezechia (727-698 a.e.v.), un reperto scoperto sei anni fa ma che solo di recente è stato decifrato. E’ la prima volta che l’impronta di sigillo di un re d’Israele o di Giuda viene alla luce in uno scavo scavi archeologico scientifico in Israele. Si tratta “della cosa più vicina a cui possiamo arrivare che molto probabilmente sia stata tenuta in mano da re Ezechia in persona”, dice Mazar. La bulla è stata scoperta in una discarica adiacente a un edificio reale o governativo verosimilmente costruito nel X secolo a.e.v., l’epoca di re Salomone.
Quest’ultima scoperta di Mazar ci ricorda altri importanti ritrovamenti archeologici che mettono in risalto il radicamento ebraico in Terra d’Israele. Tra questi, le quattro antiche iscrizioni finora conosciute che menzionano “Israele”: la Stele di Merneptah (un’iscrizione dell’epoca del re egizio Merneptah del 1200 a.e.v., figlio del faraone Ramses II, quello della storia dell’Esodo); la Stele di Tel Dan (nella quale il re Hazael di Aram-Damasco, del IX secolo a.e.v., si vanta delle vittorie sul re d’Israele e sul suo alleato, il re della “Casa di Davide”); la Stele di Mesha (trovata sulle rive del Mar Morto, nella quale il re di Moav celebra le sue vittorie sui re ebrei della casa di Omri, strettamente parallelo al testo biblico di 2Re 3); e i Monoliti assiri di Kurkh (che sembrano fare riferimento a re Acab d’Israele).
Negli anni ‘50, Yigal Yadin scoprì le porte delle mura di Hatzor, Megiddo e Ghezer, che corrispondono perfettamente ai progetti di costruzione su larga scala di re Salomone del X secondo a.e.v. come sono descritti in 1 Re.
Un menzione speciale, in questo contesto, va all’archeologo israeliano tanto vituperato Adam Zartal, dell’Università di Haifa, scomparso lo scorso di ottobre. Zartal trascorse trent’anni a studiare uno straordinario pezzo di territorio in Giudea e Samaria, e nove anni a scavare un importante altare cerimoniale identificabile con quello costruito dal profeta e condottiero biblico Giosuè sul monte Ebal, vicino a Nablus (Giosuè 8, 30-31). Da molti colleghi è stato attaccato, deriso e infine ignorato. Ma Zartal era convinto che il lavoro degli archeologi contemporanei possa e debba ispirarsi alla Bibbia ebraica. Per Zertal, l’altare sul monte Ebal dimostra che gli israeliti attraversarono effettivamente il Giordano entrando in Canaan, come narra la Bibbia.
Una controversia simile è scoppiata nel corso degli scavi di Yosef Garfinkel, dell’Università di Gerusalemme, a Khirbet Qeiyafa, nella valle di Elah. Garfinkel vede nella cittadella fortificata una prova del potente regno di Davide nel X secolo a.e.v., e la identifica con la città biblica di Sha’arayim, menzionata in 1 Samuele. Altri, come Aharon Kempinski e Israel Finkelstein dell’Università di Tel Aviv, che considerano l’intero racconto biblico puramente mitologico, sostengono che il “cosiddetto regno di Davide” non era altro che una piccola entità tribale, povera e scarsa di popolazione, che non si estendeva al di là dei confini di Gerusalemme e dei suoi immediati dintorni.
Ovviamente questi dibattiti riflettono non solo differenti opinioni scientifiche, ma anche prospettive profondamente diverse sul piano nazionale, politico e teologico (rafforzate da tensioni interpersonali, gelosie accademiche, competizioni per il budget). Possono anche riflettere il fatto che l’archeologia con un vera angolatura biblica è ancora agli inizi, soprattutto a Gerusalemme. L’equilibrio delle opinioni potrebbe spostarsi con l’aumento degli scavi e delle nuove scoperte.
La mia sensazione è che a poco a poco la Terra d’Israele sta rivelando al popolo d’Israele i segreti che sono rimasti sepolti nelle sue profondità per migliaia di anni. Anno dopo anno, scavo dopo scavo, gli strati dell’esilio vengono staccati dalla terra. La terra si rivela, e la storia del popolo ebraico in Israele si manifesta agli occhi di tutti.
Tutto questo è un altro modo per dire, ai palestinesi e ai tanti soggetti nel mondo ostili a Sion, che possono scordarsi di cacciare via Israele. Il retaggio del popolo ebraico a Gerusalemme e in Terra di Israele è solido come la roccia, e in essa incorporato. La storia e l’identità nazionale d’Israele sono autenticamente e profondamente ancorate a Gerusalemme. Nessuna quantità di palestinesi armati di coltelli, o di qualsiasi altra arma, potrà strappare gli ebrei da Gerusalemme e da questo paese.
(Da: Jerusalem Post, 3.12.15)
La Mesha Stele
La Mesha Stele (conosciuta anche come la "pietra Moabita" ) è una stele (pietra scritta), costituita intorno al 840 aC dal re Mesha di Moab (un regno situato nella moderna Giordania ). Mesha dice che Chemosh , il dio di Moab, era stato arrabbiato con il suo popolo e aveva permesso loro di essere sottomessi a Israele, ma alla fine Kemosh tornò e aiutò Mesha a spogliare il giogo di Israele e ripristinare le terre di Moab. Mesha descrive i suoi numerosi progetti di costruzione. È scritto nell'alfabeto fenicio .
La pietra è stata scoperta intatta da Frederick Augustus Klein , un missionario anglicano , nel luogo dell'antico Dibon (oggi Dhiban, Giordania ), nell'agosto del 1868. Klein fu portato ad esso da un beduino locale , anche se nessuno di loro poteva leggere il testo. Prima che potesse essere visto da un altro europeo, l'anno successivo fu distrutto dagli abitanti locali durante una disputa sulla sua proprietà. Una "squeeze" (un'impressione cartacea-mâché ) era stata ottenuta da un arabo locale per conto di Charles Simon Clermont-Ganneau, e frammenti che contenevano la maggior parte dell'iscrizione (613 lettere su circa mille) furono successivamente recuperate e piecate insieme. La strizzata e la stele riassemblata sono ora nel Museo del Louvre .
La stella di Mesha è l' iscrizione più lunga dell'età del ferro mai trovato nella regione, costituisce la principale testimonianza della lingua moabita ed è una "pietra angolare dell'epigrafia semitica e della storia palestinese". La stele, la cui vicenda parallela, con alcune differenze, un episodio nei libri di re di Bibbia (2 Re 3: 4-8) fornisce preziose informazioni sulla lingua moabita e sui rapporti politici tra Moab e Israele in un momento nel IX secolo aC. È l'iscrizione più estesa mai recuperata che si riferisce al regno d'Israele (la "Casa di Omri"); porta il più antico rilievo extra-biblico al dio Jahve, Israelee se la ricostruzione di una parte della linea 31 è corretta, la ricercatrice francese André Lemaire - la prima menzione della "casa di Davide " (cioè il regno di Giuda ). [2] È anche una delle quattro iscrizioni contemporanee conosciute contenenti il nome di Israele, le altre sono la Stele Merneptah , la Tel Dan Stele e il Monolith Kurkh . La sua autenticità è stata contestata nel corso degli anni, e alcune Minimalismo biblico suggerire il testo non era storica, ma un'allegoria biblica, ma la stele è considerato come autentiche e storico dalla stragrande maggioranza deiarcheologi biblici oggi.
La stele è attualmente in esposizione in Francia presso il museo del Louvre e la Giordania ha chiesto il suo ritorno.
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La pietra è stata scoperta intatta da Frederick Augustus Klein , un missionario anglicano , nel luogo dell'antico Dibon (oggi Dhiban, Giordania ), nell'agosto del 1868. Klein fu portato ad esso da un beduino locale , anche se nessuno di loro poteva leggere il testo. Prima che potesse essere visto da un altro europeo, l'anno successivo fu distrutto dagli abitanti locali durante una disputa sulla sua proprietà. Una "squeeze" (un'impressione cartacea-mâché ) era stata ottenuta da un arabo locale per conto di Charles Simon Clermont-Ganneau, e frammenti che contenevano la maggior parte dell'iscrizione (613 lettere su circa mille) furono successivamente recuperate e piecate insieme. La strizzata e la stele riassemblata sono ora nel Museo del Louvre .
La stella di Mesha è l' iscrizione più lunga dell'età del ferro mai trovato nella regione, costituisce la principale testimonianza della lingua moabita ed è una "pietra angolare dell'epigrafia semitica e della storia palestinese". La stele, la cui vicenda parallela, con alcune differenze, un episodio nei libri di re di Bibbia (2 Re 3: 4-8) fornisce preziose informazioni sulla lingua moabita e sui rapporti politici tra Moab e Israele in un momento nel IX secolo aC. È l'iscrizione più estesa mai recuperata che si riferisce al regno d'Israele (la "Casa di Omri"); porta il più antico rilievo extra-biblico al dio Jahve, Israelee se la ricostruzione di una parte della linea 31 è corretta, la ricercatrice francese André Lemaire - la prima menzione della "casa di Davide " (cioè il regno di Giuda ). [2] È anche una delle quattro iscrizioni contemporanee conosciute contenenti il nome di Israele, le altre sono la Stele Merneptah , la Tel Dan Stele e il Monolith Kurkh . La sua autenticità è stata contestata nel corso degli anni, e alcune Minimalismo biblico suggerire il testo non era storica, ma un'allegoria biblica, ma la stele è considerato come autentiche e storico dalla stragrande maggioranza deiarcheologi biblici oggi.
La stele è attualmente in esposizione in Francia presso il museo del Louvre e la Giordania ha chiesto il suo ritorno.
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L’iscrizione di Siloam
Nel 2008 ritorna a Gerusalemme una testimonianza dell’affidabilità della Bibbia risalente a 2700 anni fa
In occasione del 60° anniversario della fondazione dello Stato d’Israele, celebrato nel 2008, la Turchia ha dichiarato di essere pronta a concedere in prestito per un anno allo Stato ebraico la cosiddetta “Iscrizione di Siloam” scoperta nel 1880, al tempo della dominazione ottomana della Palestina e per questo finita nel Paese islamico.
L’iscrizione, intagliata nella pietra, usa l’alfabeto paleo-ebraico e si riferisce alla costruzione di un tunnel per l’acqua scavato nella roccia sottostante la città di Davide, il nucleo originario di Gerusalemme.
Il tunnel è risalente al tempo di Ezechia, re di Giuda, che lo fece scavare probabilmente il 701 a.C. La Bibbia si riferisce a quest’opera quando dichiara che Ezechia “…turò la sorgente superiore delle acque di Ghion e le convogliò giù direttamente attraverso il lato occidentale della città di Davide” (2 Cronache 32:30; cfr. 2 Re 20:20).
Il re di Giuda, in questo modo, voleva tagliare l’approvvigionamento idrico agli assiri guidati dal re Sennacherib (704-681), prossimi ad assediare Gerusalemme, e assicurare quello della sua città.
Lo scavo è lungo ca. 533 metri e convogliava l’acqua, tramite un leggero dislivello tra le due terminazioni della galleria, dalla sorgente di Gihon, posta all’esterno delle mura cittadine, al pozzo di Siloam.
Nonostante dopo la scoperta il tunnel di Ezechia fosse stato subito esaminato da eminenti archeologi, a causa delle sedimentazioni calcaree che ne rendevano difficile l’individuazione, l’iscrizione fu scoperta soltanto successivamente, quasi per caso.
Nel 1891 l’iscrizione, una lastra di pietra alta 50 cm. e larga 66 cm., durante un tentativo di furto, fu estratta in maniera impropria dalla parete e ridotta in pezzi, ma grazie agli sforzi del console britannico di Gerusalemme, i frammenti vennero ricomposti e conservati nel Museo dell’Oriente Antico di Istanbul.
L’incisione dichiara che il tunnel fu scavato da due gruppi differenti di operai, i quali lavorarono separatamente, partendo da entrambe le estremità, per incontrarsi a metà: Riga 1 – “[…] il tunnel […] e questa è la storia dello scavo. Quando […] Riga 2 – i picconi scavavano ancora l’uno contro l’altro e restavano ancora tre cubiti da scavare […] la voce di uno […] Riga 3 – si sentiva chiamare dall’altra parte, [perché] c’era una fessura nella roccia, a destra e a sinistra ed il giorno che Riga 4 – il tunnel [fu terminato] i tagliatori di pietra scavarono ognuno verso l’altra parte, piccone contro piccone e Riga 5 – fluì l’acqua dalla sorgente fino al pozzo per 1200 cubiti. E di [100?] Riga 6 – cubiti era l’altezza dalla testa degli scavatori”.
Fonte: Cristiani Oggi, 16-31 gennaio 2008, pag. 7
Nella foto: L’iscrizione di Siloam
Guarda video con descrizione del tunnel
In occasione del 60° anniversario della fondazione dello Stato d’Israele, celebrato nel 2008, la Turchia ha dichiarato di essere pronta a concedere in prestito per un anno allo Stato ebraico la cosiddetta “Iscrizione di Siloam” scoperta nel 1880, al tempo della dominazione ottomana della Palestina e per questo finita nel Paese islamico.
L’iscrizione, intagliata nella pietra, usa l’alfabeto paleo-ebraico e si riferisce alla costruzione di un tunnel per l’acqua scavato nella roccia sottostante la città di Davide, il nucleo originario di Gerusalemme.
Il tunnel è risalente al tempo di Ezechia, re di Giuda, che lo fece scavare probabilmente il 701 a.C. La Bibbia si riferisce a quest’opera quando dichiara che Ezechia “…turò la sorgente superiore delle acque di Ghion e le convogliò giù direttamente attraverso il lato occidentale della città di Davide” (2 Cronache 32:30; cfr. 2 Re 20:20).
Il re di Giuda, in questo modo, voleva tagliare l’approvvigionamento idrico agli assiri guidati dal re Sennacherib (704-681), prossimi ad assediare Gerusalemme, e assicurare quello della sua città.
Lo scavo è lungo ca. 533 metri e convogliava l’acqua, tramite un leggero dislivello tra le due terminazioni della galleria, dalla sorgente di Gihon, posta all’esterno delle mura cittadine, al pozzo di Siloam.
Nonostante dopo la scoperta il tunnel di Ezechia fosse stato subito esaminato da eminenti archeologi, a causa delle sedimentazioni calcaree che ne rendevano difficile l’individuazione, l’iscrizione fu scoperta soltanto successivamente, quasi per caso.
Nel 1891 l’iscrizione, una lastra di pietra alta 50 cm. e larga 66 cm., durante un tentativo di furto, fu estratta in maniera impropria dalla parete e ridotta in pezzi, ma grazie agli sforzi del console britannico di Gerusalemme, i frammenti vennero ricomposti e conservati nel Museo dell’Oriente Antico di Istanbul.
L’incisione dichiara che il tunnel fu scavato da due gruppi differenti di operai, i quali lavorarono separatamente, partendo da entrambe le estremità, per incontrarsi a metà: Riga 1 – “[…] il tunnel […] e questa è la storia dello scavo. Quando […] Riga 2 – i picconi scavavano ancora l’uno contro l’altro e restavano ancora tre cubiti da scavare […] la voce di uno […] Riga 3 – si sentiva chiamare dall’altra parte, [perché] c’era una fessura nella roccia, a destra e a sinistra ed il giorno che Riga 4 – il tunnel [fu terminato] i tagliatori di pietra scavarono ognuno verso l’altra parte, piccone contro piccone e Riga 5 – fluì l’acqua dalla sorgente fino al pozzo per 1200 cubiti. E di [100?] Riga 6 – cubiti era l’altezza dalla testa degli scavatori”.
Fonte: Cristiani Oggi, 16-31 gennaio 2008, pag. 7
Nella foto: L’iscrizione di Siloam
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Sigillo del Primo Tempio
E’ stato scoperto in uno scavo archeologico nella Città di David, a Gerusalemme, un sigillo di pietra che reca il nome di una delle famiglie che servivano nel Primo Tempio e che poi tornarono a Gerusalemme dopo essere state esiliate a Babilonia.
Il sigillo in pietra nera, vecchio di 2.500 anni, che reca inciso il nome “Temech”, è stato trovato questa settimana in mezzo a macerie stratificate nello scavo in atto subito fuori delle mura della Città Vecchia vicino alla Porta dell’Immondizia. Ne ha dato notizia l’archeologa Eilat Mazar che dirige lo scavo.
Secondo il Libro di Neemia, la famiglia Temech era al servizio del Primo Tempio e fu mandata in esilio a Babilonia in seguito alla distruzione del Tempio perpetrata dai babilonesi nel 586 a.C. Secondo la Bibbia, la famiglia era tra quelle che in seguito ritornarono a Gerusalemme.
Il sigillo, acquistato a Babilonia e datato 538-445 a.C, raffigura una comune e popolare scena di culto, spiega Mazar. Sul sigillo ellittico di 2,1 x 1,8 cm sono incise le figure di due sacerdoti barbuti, in piedi ai due lati di un altare di incenso, con le mani levate in posizione di preghiera. Un quarto di luna, simbolo del principale dio babilonese Sin, appare in cima all’altare. Sotto questa scena, dice Mazar, ci sono tre lettere ebraiche che formano il nome Temech.
La Bibbia fa riferimento alla famiglia Temech: “Questi sono i figli della provincia, che uscì dalla cattività, di quelli che erano stati portati via, che il re di Babilonia Nabuccodonosor aveva portato via, e che ritornarono a Gerusalemme e a Giuda, ciascuno nella sua città.” [Neemia 7:6]… “I Nethinim [7:46]”… I figli di Temech.” [7:55]. Il fatto che questa scena di culto si riferisca al principale dio babilonese non sembra aver disturbato gli ebrei, che la usarono sul proprio sigillo, aggiunge Mazar.
Il sigillo di uno dei membri della famiglia Temech, dice Mazar è stato trovato a poche decine di metri dall’area Opel, dove i servitori del Tempio, o “Nethinim”, vivevano al tempo di Neemia.
“Il sigillo della famiglia Temech ci fornisce un collegamento diretto tra archeologia e fonti bibliche ed è una prova dell’esistenza di una famiglia menzionata nella Bibbia. Non si può fare a meno di essere sorpresi dalla attendibilità che il reperto archeologico conferisce alla fonte biblica fornita”.
L’ archeologa, che ha raggiunto fama internazionale per i suoi recenti scavi che potrebbero aver portato alla luce il palazzo di re David, ha recentemente trovato i resti di un muro di Neemia.
Lo scavo è sponsorizzato dal Centro Shalem, un istituto di ricerca di Gerusalemme di cui Mazar è membro anziano, e dalla City of David Foundation.
(Da: Jerusalem Post, 17.01.08)
Fonte: Israele.net – 18-01-2008
Photo: Edwin Trebels courtesy of Dr. Eilat Mazar
Il sigillo in pietra nera, vecchio di 2.500 anni, che reca inciso il nome “Temech”, è stato trovato questa settimana in mezzo a macerie stratificate nello scavo in atto subito fuori delle mura della Città Vecchia vicino alla Porta dell’Immondizia. Ne ha dato notizia l’archeologa Eilat Mazar che dirige lo scavo.
Secondo il Libro di Neemia, la famiglia Temech era al servizio del Primo Tempio e fu mandata in esilio a Babilonia in seguito alla distruzione del Tempio perpetrata dai babilonesi nel 586 a.C. Secondo la Bibbia, la famiglia era tra quelle che in seguito ritornarono a Gerusalemme.
Il sigillo, acquistato a Babilonia e datato 538-445 a.C, raffigura una comune e popolare scena di culto, spiega Mazar. Sul sigillo ellittico di 2,1 x 1,8 cm sono incise le figure di due sacerdoti barbuti, in piedi ai due lati di un altare di incenso, con le mani levate in posizione di preghiera. Un quarto di luna, simbolo del principale dio babilonese Sin, appare in cima all’altare. Sotto questa scena, dice Mazar, ci sono tre lettere ebraiche che formano il nome Temech.
La Bibbia fa riferimento alla famiglia Temech: “Questi sono i figli della provincia, che uscì dalla cattività, di quelli che erano stati portati via, che il re di Babilonia Nabuccodonosor aveva portato via, e che ritornarono a Gerusalemme e a Giuda, ciascuno nella sua città.” [Neemia 7:6]… “I Nethinim [7:46]”… I figli di Temech.” [7:55]. Il fatto che questa scena di culto si riferisca al principale dio babilonese non sembra aver disturbato gli ebrei, che la usarono sul proprio sigillo, aggiunge Mazar.
Il sigillo di uno dei membri della famiglia Temech, dice Mazar è stato trovato a poche decine di metri dall’area Opel, dove i servitori del Tempio, o “Nethinim”, vivevano al tempo di Neemia.
“Il sigillo della famiglia Temech ci fornisce un collegamento diretto tra archeologia e fonti bibliche ed è una prova dell’esistenza di una famiglia menzionata nella Bibbia. Non si può fare a meno di essere sorpresi dalla attendibilità che il reperto archeologico conferisce alla fonte biblica fornita”.
L’ archeologa, che ha raggiunto fama internazionale per i suoi recenti scavi che potrebbero aver portato alla luce il palazzo di re David, ha recentemente trovato i resti di un muro di Neemia.
Lo scavo è sponsorizzato dal Centro Shalem, un istituto di ricerca di Gerusalemme di cui Mazar è membro anziano, e dalla City of David Foundation.
(Da: Jerusalem Post, 17.01.08)
Fonte: Israele.net – 18-01-2008
Photo: Edwin Trebels courtesy of Dr. Eilat Mazar
Sigillo della regina Gezabele
Il dottor Marjo Korpel, dell’università di Utrecht, in un suo studio sostiene che un sigillo scoperto nel 1964 e datato al nono secolo a.C., apparteneva alla regina Gezabele ricordata nell’Antico Testamento.
Fu l’archeologo Nahman Avigad a scoprire il sigillo sul quale si leggeva il nome yzbl scritto in lettere dell’alfabeto ebraico antico. In un primo momento si pensò proprio alla moglie fenicia del re Acab ma, dal momento che il nome era scritto in maniera errata (le consonati non corrispondevano a quelle del nome biblico ndr.), l’attribuzione fu sospesa.
Korpel, dopo un’attenta indagine condotta sui simboli che appaiono sul sigillo, lo ha riattribuito alla legittima proprietaria, Gezabele.
Il sigillo, oltre a segni di chiaro riferimento femminile, porta simboli che designano l’appartenenza a una donna di rango regale. Inoltre ha delle dimensioni maggiori rispetto a quelle di un sigillo appartenente a persone comuni.
Per quanto riguarda il nome Korpel dimostra che nel bordo superiore del sigillo dovevano esserci altre due lettere ora spezzate. Una volta integrate, il nome Gezabele appare corretto.
Il sigillo si trova presso l’Israel Museum di Gerusalemme e fa parte della collezione dell’Israel Antiquities Authority.
Fonte: AlphaGalileo, Press Release – Università di Utrecht (23 October 2007)
Foto: Israel Museum, Gerusalemme
Fu l’archeologo Nahman Avigad a scoprire il sigillo sul quale si leggeva il nome yzbl scritto in lettere dell’alfabeto ebraico antico. In un primo momento si pensò proprio alla moglie fenicia del re Acab ma, dal momento che il nome era scritto in maniera errata (le consonati non corrispondevano a quelle del nome biblico ndr.), l’attribuzione fu sospesa.
Korpel, dopo un’attenta indagine condotta sui simboli che appaiono sul sigillo, lo ha riattribuito alla legittima proprietaria, Gezabele.
Il sigillo, oltre a segni di chiaro riferimento femminile, porta simboli che designano l’appartenenza a una donna di rango regale. Inoltre ha delle dimensioni maggiori rispetto a quelle di un sigillo appartenente a persone comuni.
Per quanto riguarda il nome Korpel dimostra che nel bordo superiore del sigillo dovevano esserci altre due lettere ora spezzate. Una volta integrate, il nome Gezabele appare corretto.
Il sigillo si trova presso l’Israel Museum di Gerusalemme e fa parte della collezione dell’Israel Antiquities Authority.
Fonte: AlphaGalileo, Press Release – Università di Utrecht (23 October 2007)
Foto: Israel Museum, Gerusalemme
L'obelisco di Salmanassar III d'Assiria
L’unica immagine di un re ebreo giunta fino a noi
A scoprire l’obelisco di calcare nero alto circa 2 metri, risalente al tempo del re assiro Salmanassar III (859-824 a.C.), fu il diplomatico inglese Henry Layard (1817-1894), che nel 1845 scavò il sito dell’antica capitale assira Nimrud (la Cala della Bibbia – cfr. Genesi 10:11-12).
Sui bassorilievi scolpiti sulle quattro facce dell’obelisco sono descritti eventi riferibili all'anno 841 a.C.
La seconda delle cinque file di bassorilievi è la più interessante dal punto di vista biblico, in quanto reca l’immagine di Ieu, re d’Israele, nell’atto di prostrarsi davanti al re assiro, mentre tredici uomini lo seguono portando un tributo. È la sola immagine che si possiede di un re ebreo!
A scoprire l’obelisco di calcare nero alto circa 2 metri, risalente al tempo del re assiro Salmanassar III (859-824 a.C.), fu il diplomatico inglese Henry Layard (1817-1894), che nel 1845 scavò il sito dell’antica capitale assira Nimrud (la Cala della Bibbia – cfr. Genesi 10:11-12).
Sui bassorilievi scolpiti sulle quattro facce dell’obelisco sono descritti eventi riferibili all'anno 841 a.C.
La seconda delle cinque file di bassorilievi è la più interessante dal punto di vista biblico, in quanto reca l’immagine di Ieu, re d’Israele, nell’atto di prostrarsi davanti al re assiro, mentre tredici uomini lo seguono portando un tributo. È la sola immagine che si possiede di un re ebreo!
Sopra il bassorilievo si legge: “Tributo di Jaua figlio di Humri: ho ricevuto argento, oro, una ciotola d’oro, dei calici d’oro, delle brocche d’oro, piombo, un bastone regale, un giavellotto”. Jaua è la grafia assira per Ieu e Humri sta per Omri, il re che fondò Samaria, la nuova capitale del regno d’Israele (cfr. 1 Re 16:21-28).
L’episodio del tributo di Ieu non è riportato nella Bibbia, ma è verosimile che egli abbia pagato questo tributo al re assiro per consolidare il suo potere. Dopo la morte del re d’Israele Acab, infatti, avvenuta nel 583 a.C., salì al trono il figlio Acazia, che morì prematuramente dopo soli due anni di regno. Gli successe un fratello, Ieoram, che regnò invece dieci anni, ma fu profondamente malvagio e Dio, nel 841 a.C., fece ungere re al posto suo un capitano dell’esercito, Ieu, comandandogli di distruggere la dinastia di Acab.
Questi eventi sono narrati nel Secondo libro dei Re, dal capitolo 8 al 10. L’obelisco nero, una testimonianza extra
biblica coeva, attesta l’esistenza di Ieu e mostra che questo re israelita, nel primo anno del suo regno, cercò di accattivarsi l’amicizia dell’Assiria pagando un tributo al suo re, Salmanassar III. Ieu regnò per 28 anni e diede vita ad una dinastia della durata di circa 100 anni.
L’obelisco si trova attualmente al British Museum di Londra.
L’episodio del tributo di Ieu non è riportato nella Bibbia, ma è verosimile che egli abbia pagato questo tributo al re assiro per consolidare il suo potere. Dopo la morte del re d’Israele Acab, infatti, avvenuta nel 583 a.C., salì al trono il figlio Acazia, che morì prematuramente dopo soli due anni di regno. Gli successe un fratello, Ieoram, che regnò invece dieci anni, ma fu profondamente malvagio e Dio, nel 841 a.C., fece ungere re al posto suo un capitano dell’esercito, Ieu, comandandogli di distruggere la dinastia di Acab.
Questi eventi sono narrati nel Secondo libro dei Re, dal capitolo 8 al 10. L’obelisco nero, una testimonianza extra
biblica coeva, attesta l’esistenza di Ieu e mostra che questo re israelita, nel primo anno del suo regno, cercò di accattivarsi l’amicizia dell’Assiria pagando un tributo al suo re, Salmanassar III. Ieu regnò per 28 anni e diede vita ad una dinastia della durata di circa 100 anni.
L’obelisco si trova attualmente al British Museum di Londra.
PROBABILE COLLOCAZIONE GEOGRAFICA DI EDEN
La collocazione dell´Eden è data dalla Genesi, 2:10-14:
Fonte: http://www.antikitera.net/news.asp?ID=955
"Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava Quattro corsi. Il primo fiume si chiamava Pison: esso scorre intorno a tutto il paese di Avila, dove c´è l´oro e l´oro di quella terra è fine; qui c´è anche la resina odorosa e la pietra d´onice. Il secondo fiume si chiama Gihcon; esso scorre intorno a tutto il paese d´Etiopia. Il terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre ad oriente di Assur. Ed il quarto fiume è l´Eufrate".
Nel passaggio deve essere notato che l´originale riferimento ebraico riguardante il Fiume Gicon era che esso comprendeva la terra di "Kush" e di "Gush". Questo fu interpretato dal traduttore del XVII secolo, come un riferimento all´Etiopia, molto più lontano verso sud e situato in Africa.
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Fonte: http://www.antikitera.net/news.asp?ID=955
"Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava Quattro corsi. Il primo fiume si chiamava Pison: esso scorre intorno a tutto il paese di Avila, dove c´è l´oro e l´oro di quella terra è fine; qui c´è anche la resina odorosa e la pietra d´onice. Il secondo fiume si chiama Gihcon; esso scorre intorno a tutto il paese d´Etiopia. Il terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre ad oriente di Assur. Ed il quarto fiume è l´Eufrate".
Nel passaggio deve essere notato che l´originale riferimento ebraico riguardante il Fiume Gicon era che esso comprendeva la terra di "Kush" e di "Gush". Questo fu interpretato dal traduttore del XVII secolo, come un riferimento all´Etiopia, molto più lontano verso sud e situato in Africa.
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GERICO: ULTIME SCOPERTE ARCHEOLOGICHE CONFERMANO LA BIBBIA
Dal sito Gesù nella storia (prove storiche da fonti non cristiane)
https://sites.google.com/site/gesunellastoria/home/gerico-ultime-scoperte-archeologiche-confermano-la-bibbia
Qualcuno ha segnalato l’articolo di ieri del quotidiano “Repubblica” in cui si cerca di sostenere con grande enfasi che l’archeologia avrebbe smentito i racconti della Bibbia. L’autrice è la femminista settantenne Vanna Vannuccini, poco competente in materia e che solitamente si concentra sulla sessualità degli anziani. L’articolo si basa sulla nota opinione -la ripete dal 1999- dell’archeologo Zeev Herzog, professore alla Facoltà di archeologia di Tel Aviv.
Innanzitutto occorre premettere che chi pensa di screditare l’Antico Testamento prendendolo alla lettera cade nella stessa imbarazzante situazione dei creazionisti protestanti. Non si tratta di un’opera storica e non è un volume scientifico, non è stato scritto con questi scopi: i suoi obiettivi sono rivelare verità morali, l’istruzione morale del popolo di Israele da parte dei profeti. Tuttavia, per raggiungere questi obiettivi, è stato usato un contesto storico, altre volte immaginario, per questo i libri che compongono l’Antico Testamento sono da secoli u materiale di studio per storici e archeologici. E’ stato ricordato infatti che «La Parola di Dio rivelata, opera ed è presente nel testo biblico, nonostante le contraddizioni storiche, i punti critici e le incongruenze. Una Parola che incide la nostra coscienza, che inquieta e nel contempo dona pace». Qualche anno fa proprio “Repubblica” riconosceva infatti: «Molti studiosi ritengono che la Bibbia, pur basandosi in parte su fatti realmente accaduti, ne distorca lo svolgimento, aggiungendo personaggi e situazioni di fantasia. Quasi tutti concordano sulla veridicità del racconto biblico della storia del popolo di Israele a partire dall’epoca di Davide in poi, dato che esistono altre fonti a corroborare gli eventi». L’opinione di Herzog è comunque controversa: andiamo ad analizzare le sue argomentazioni.
LE MURA DI GERICO.
Nell’intervista Herzog utilizza come “prova regina” della falsità storica della Bibbia la vicenda delle mura di Gerico, assumendo però una posizione che viene respinta perfino dagli studiosi che, in linea generale, concordano con lui. Secondo lui, al contrario di quanto è scritto nel Libro di Giosuè, non furono gli israeliti a far crollare le mura attorno al 1400 a.C, e «le città di Canaan non erano “grandi”, come si legge nella Bibbia, non erano fortificate, non avevano mura “che si levavano alte fino al cielo”. E perciò l’eroismo dei conquistatori, che erano pochi contro i tanti canaaniti ma erano sorretti dall’aiuto di Dio che combatteva per la sua gente, non è che una ricostruzione teologica priva di qualsiasi base fattuale».
Ovviamente né lui né la femminista Vannucchi hanno accennato al fatto che la comunità scientifica respinge questa descrizione e, sopratutto, al fatto che esiste come sempre un confronto di opinioni diverse: dopo gli scavi di Charles Warren e di Ernst Sellin e Carl Watzinger, il primo scavo realizzato con una metodologia moderna è stato quello dell’archeologo John Garstang, il quale nel 1930-1936, ha datato la doppia parete della città crollata al tardo 15° e ai primi del 14° secolo a.C., rilevando che la città venne completamente distrutta in un incendio violento attorno al 1400 a.C.. Ha attribuito la distruzione all’invasione di Israele: «Sintetizzando, la caduta di Gerico ha avuto luogo come descritto nella narrazione biblica. La nostra manifestazione è limitata, però, a osservazioni di rilievo: le mura caddero apparentemente scosse da un terremoto e la città fu distrutta da un incendio, circa nel 1400 a.C. Questi sono i fatti fondamentali risultanti dalle nostre indagini. Il collegamento con Giosuè e gli Israeliti è solo circostanziale, ma sembra essere solido e senza difetto» (J. Garstang, “Jericho and the Biblical Story”, p.1222).
Dopo alcuni anni, Kathleen Kenyon (1952-1958) ha messo in discussione queste conclusioni: Gerico venne distrutta verso la metà del 16° secolo a.C., fu occupata per tutta l’Età del Bronzo ad eccezione di una piccola area occupata per un breve periodo nel 14° secolo a.C. Anche lui, comunque, rilevò la fortificazione delle mura e «pareti e pavimenti erano anneriti o arrossati dal fuoco» (“Excavations at Jericho”, British School of Archaeology in Jerusalem, 1981). Trascorsi oltre vent’anni, Bryant Wood, nel frattempo divenuto uno dei maggiori esperti sull’archeologia di Gerico (nonché direttore dell’Associazione per le Ricerche Bibliche), ha dato nuovamente (Did the Israelites Conquer Jericho? A New Look at the Archaeological Evidence; https://www.biblearchaeology.org/post/2008/05/01/Did-the-Israelites-Conquer-Jericho-A-New-Look-at-the-Archaeological-Evidence.aspx)
ragione a Garstang. Riprendendo in mano i documenti prodotti dall’equipe di Garstang e da quella di Kenyon ha trovato diversi errori metodologici in quest’ultimo, rilevando tre argomentazioni a sostegno delle conclusioni di Garstang. 1) ritrovamenti in ceramica di stile cipriota, «uno dei principali indicatori diagnostici per l’occupazione di Gerico nel periodo del Bronzo Tardo, 1550-1200 a.C.»; 2) considerazioni sulle 20 fasi architettoniche trovate: «Se fosse vero quel che sostiene Kenyon, cioè che Gerico incontrò la sua distruzione finale alla fine del Bronzo Medio (ca. 1550 aC), queste 20 fasi avrebbero dovuto essere concentrate in soli 100 anni, attività poco probabile»; 3) la serie continua degli scarabei trovati, dal 18° secolo a.C. al 14° secolo a.C.: «La natura continua della serie degli scarabeo suggerisce che il cimitero era in uso attivo fino alla fine del periodo del Bronzo Tardo, contraddicendo l’affermazione di Kenyon che la città fu abbandonata dopo il 1550 a.C.». Concludendo la lunga e complessa argomentazione, il prof. Wood ha sostenuto ( Did the Israelites Conquer Jericho? A New Look at the Archaeological Evidence; https://www.biblearchaeology.org/post/2008/05/01/Did-the-Israelites-Conquer-Jericho-A-New-Look-at-the-Archaeological-Evidence.aspx)
nel 2008 che «la correlazione tra le testimonianze archeologiche e la narrazione biblica è sostanziale: “La città era fortificata” (Giosuè 2:5,7,15, 6:5,20); “L’attacco è avvenuto poco dopo il raccolto nel tempo in primavera” (Giosuè 2 :. 6, 03:15, 05:10); “Gli abitanti non hanno avuto la possibilità di fuggire con i loro prodotti alimentari” (Giosuè 6:01); “L’assedio è stato breve” (Giosuè 6:15); “Le pareti erano state livellate da un terremoto” (Giosuè 6:20); “La città non fu saccheggiata” (Giosuè 6:17-18); “La città fu bruciata” (Giosuè 6:20)». Un approfondimento anche Qui
Thursday, December 8, 2011
Walls of Jericho: The Archaeology that Demolishes the Bible;
http://www.ancientdigger.com/2011/12/walls-of-jericho-archaeology-that.html
e qui:
The Walls of Jericho
Archaeology Confirms: They Really Did Come A-tumblin’ Down;
https://answersingenesis.org/archaeology/the-walls-of-jericho/
Al di là delle diverse conclusioni a cui sono arrivati i diversi studiosi, si può osservare che tutti smentiscono la descrizione di Gerico fatta dal prof. Herzog, anche chi concorda con lui in linea generale (Kenyon e altri). Occorre anche ricordare che lo stesso frate Pietro Kaswalder, docente di geografia biblica presso lo Studium Franciscanum di Gerusalemme, ha ricordato che «il racconto biblico oggi non viene più ritenuto come la cronaca fedele della conquista della città. Piuttosto è una rielaborazione tardiva, orientata a spiegare in che modo il possesso del paese dei cananei sia stato opera esclusiva dell’intervento divino. Le trombe, l’arca e i leviti sono il simbolo dell’azione miracolosa di Dio che consegna a Israele la prima città del Canaan». Dunque, anche se avesse ragione Herzog, non ci sarebbe alcuna contraddizione o “smentita”.
L’ESODO.
L’archeologo citato da “Repubblica” sostiene inoltre che «nei tanti documenti egiziani per esempio non c’è traccia dell’esodo, vi si parla invece dell’abitudine di pastori nomadi di entrare in Egitto nei periodi di siccità e accamparsi sulle rive del Nilo. Al massimo l’esodo può aver riguardato qualche famiglia, la cui storia era stata poi allargata e nazionalizzata per ragioni teologiche».
Ancora una volta affermazioni eccessivamente nette, lontane dal dibattito scientifico in corso, che tradiscono gli intenti apologetici di Herzog. Oltre alle importanti riflessioni
ESODO; http://www.treccani.it/enciclopedia/esodo_(Enciclopedia-Italiana)/
del biblista e paleografo Leone Tondelli sull’Enciclopedia Treccani, occorre prendere in considerazione la Stele di Merneptah ;https://en.wikipedia.org/wiki/Merneptah_Stele#Line_27
e il Papiro di Ipuwer (http://ohr.edu/yhiy/article.php/838)
e diverse altre “prove” discusse a sostegno della storicità dell’Esodo. E’ interessante anche valutare le conclusioni dell’archeologo ebreo Emmanuel Anati.
REGNO DI DAVIDE E SALOMONE.
Gli argomenti di Herzog si concludono con il regno di Davide e Salomone, criticandone l’imponenza descritta dalle Scritture, così come la grandezza di Gerusalemme con un tempio centrale e un palazzo reale. Secondo lui, infatti, «Davide e Salomone erano capi di regni tribali che controllavano piccole aree, David a Hebron e Salomone a Gerusalemme».
In questo caso Herzog non soltanto non cita l’esistenza di un dibattito scientifico, ma si dimostra impreparato. Nel 2003 infatti uno studio ha trovato (http://www3.scienceblog.com/community/older/2003/E/20033095.html Hebrew University excavations strengthen dating of archaeological findings to David, Solomon),
a Tel Rehov i segni di una società urbana del 10° secolo a.C. che può essere confrontata con reperti provenienti da altri siti in Israele, come Megiddo, Hazor e Ghezer, attribuiti al regno della Monarchia israelita guidata da re Davide e Salomone. Nel 2012, inoltre, il team di archeologi guidati dal prof. Yosef Garfinkel, docente presso l’Istituto di Archeologia dell’Università ebraica di Gerusalemme, ha scoperto (Cultic shrines from time of King David http://www.mfa.gov.il/mfa/israelexperience/history/pages/cultic_shrines_time_king_david_8-may-2012.aspx)
diversi santuari e una città fortificata in Giudea al tempo di re Davide, concludendo che «le ipotesi di chi nega la tradizione biblica per quanto riguarda Davide e sostiene che egli era una figura mitologica, o un semplice capo di una piccola tribù, vengono ora dimostrate essere errate». I reperti di Khirbet Qeiyafa indicano, inoltre, che uno stile architettonico elaborato si era sviluppato fin dal tempo del re David, così come la formazione di uno stato e la creazione di una élite, con un certo livello sociale e urbanistico. Per quanto riguarda la grandezza di Gerusalemme, uno studio del prof. Avi Ofer condotto nelle colline della Giudea, ha dimostrato (Myth and Reality of King David's Jerusalem http://www.jewishvirtuallibrary.org/jsource/History/davidjer.html)
che nel periodo di re Davide (XI-X° secolo a.C.), la popolazione della Giudea è quasi raddoppiata rispetto al periodo precedente e un forte centro della popolazione esisteva sul bordo della regione. Gerusalemme è la candidata più probabile per questo grande centro abitativo, tanto da essere citata in documenti egiziani.
Rispetto a re Salomone, nel 2012 Eilat Mazar dell’Università di Gerusalemme, ha scoperto( Archaeologist discovers Jerusalem city wall from tenth century B.C.E. https://www.sciencedaily.com/releases/2010/02/100222094757.htm)
un’antica muraglia della città di Gerusalemme risalente al X secolo a.C., lunga 70 metri e alta 6, confermando il racconto che la Bibbia fa delle gesta di Salomone. Nella stessa area sono stati scoperti un corpo di guardia interno per l’accesso al quartiere reale della città, una struttura reale adiacente al corpo di guardia e una torre d’angolo che si affaccia su una considerevole sezione della vicina valle Kidron. «Il muro dell’antica città che è stato scoperto», ha detto Mazar, «testimonia una presenza dominante. La forza e la forma della sua costruzione indicano un alto livello di ingegneria. Un confronto tra questi ultimi reperti e le mura e le porte della città del periodo del Primo Tempio, oltre al vasellame trovato sul sito, ci permette di stabilire con un alto grado di certezza che il muro appena scoperto è quello che fu costruito da re Salomone a Gerusalemme nella seconda parte del X secolo a.C. È la prima volta che viene trovata una struttura di quell’epoca che può essere messa in correlazione con le descrizioni per iscritto delle costruzioni di Salomone a Gerusalemme». Oltre alla torre è stato scoperto il palazzo reale di Gerusalemme, proprio quello negato da Herzog. Qui un approfondimento.(Did Eilat Mazar Find David's Palace? Biblical Archaeology Review Sept/Oct 2012: 47-52, 70.
http://www.academia.edu/2044777/Did_Eilat_Mazar_Find_Davids_Palace_Biblical_Archaeology_Review_Sept_Oct_2012_47-52_70)
In conclusione di questa risposta al prof. Herzog, possiamo oggettivamente rilevare che in alcuni casi le sue affermazioni sono viziate dall’ideologia, tanto da censurare la complessità delle posizioni in campo e limitando la sua tesi a tre argomenti, dimenticando tutte le ulteriori scoperte dell’archeologia biblica. In altri casi, le sue dichiarazioni sono semplicemente false e chiaramente smentite dalle scoperte. «L’archeologia è alleata della fede, nel senso che dà consistenza al nostro rapporto con Dio», ha spiegato Simone Venturini, biblista e scrittore, ricercatore dell’Archivio Segreto Vaticano e docente di Scienze Bibliche alla Pontificia Università della Santa Croce. Lo aveva certamente intuito Werner Keller, divulgatore scientifico e autore del celebre volume “La Bibbia aveva ragione“, bestseller sulle scoperte dell’archeologia biblica, tradotto in 24 lingue, adottato nelle scuole e venduto in milioni di copie in tutto il mondo.
La redazione
http://www.uccronline.it/2014/04/30/larcheologia-conferma-la-bibbia-risposta-al-prof-herzog/
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Qualche anno fa proprio “Repubblica” riconosceva infatti: «Molti studiosi ritengono che la Bibbia, pur basandosi in parte su fatti realmente accaduti, ne distorca lo svolgimento, aggiungendo personaggi e situazioni di fantasia. Quasi tutti concordano sulla veridicità del racconto biblico della storia del popolo di Israele a partire dall’epoca di Davide in poi, dato che esistono altre fonti a corroborare gli eventi». L’opinione di Herzog è comunque controversa: andiamo ad analizzare le sue argomentazioni.
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Dall'Esodo alle mura di Gerico, si cercano
le prove storiche della cultura giudaico-cristiana
Le verità degli archeologi
e la Verità della Bibbia
La ricostruzione archeologica di società ed eventi particolarmente remoti è sempre un affare spinoso. Ma gli studi sulla storicità degli avvenimenti narrati nel Vecchio Testamento sono un vero campo minato, dove le diverse posizioni religiose o ideologiche pesano in misura determinante, a fronte di una carenza quasi assoluta di documenti scritti precedenti all'epoca di Salomone (intorno al 1000 a.C.). L'archeologica biblica indaga soggetti che stanno alla base dell'intera cultura occidentale e se alcune delle vicende narrate nel Libro sacro sono state confermate dalla scienza, per altre non ci sono, e forse non ci saranno mai, prove certe e indiscutibili.
Molti studiosi ritengono che la Bibbia, pur basandosi in parte su fatti realmente accaduti, ne distorca lo svolgimento, aggiungendo personaggi e situazioni di fantasia. Quasi tutti concordano sulla veridicità del racconto biblico della storia del popolo di Israele a partire dall'epoca di Davide in poi, dato che esistono altre fonti a corroborare gli eventi. Ma tutto il periodo precedente è oggetto di acerrime diatribe, che vedono gli esperti schierati su fronti contrapposti e spesso impossibili da conciliare. Tralasciando il problema della Creazione, che vede ancor oggi, specialmente negli Usa, potenti gruppi creazionisti combattere l'insegnamento dell'evoluzione nelle scuole di ogni ordine e grado, tutta la parte della Bibbia che riguarda i patriarchi, l'Esodo e la conquista della Palestina rimane in un limbo scientifico.
Gli archeologi biblici si dividono tra massimalisti, per i quali la Bibbia è una vera e propria guida per la ricerca archeologica, e minimalisti, che la considerano come un testo religioso privo di alcuna oggettività. In mezzo ai due schieramenti esiste una fascia piuttosto ampia di moderati che escludono le interpretazioni letterali ma accettano una generica base storica del Libro sacro.
Uno dei periodi più dibattuti è quello dell'Esodo, del quale non c'è notizia nelle cronache egiziane del tempo, malgrado l'eccezionalità degli eventi provocati dalle piaghe d'Egitto. Le vicende della conquista della Palestina da parte di Giosuè sarebbero invece completamente smentite dai reperti archeologici: gli scavi effettuati a Gerico non hanno trovato traccia della sua distruzione nell'epoca indicata. Le prove certe della storicità della Bibbia, almeno per adesso, sono davvero rare. Un rilievo murario di Luxor rappresenta gli antichi israeliti ed è stato utilizzato assieme ad altri reperti per provare che una popolazione con questo nome esisteva effettivamente più di tremila anni fa.
Un'iscrizione trovata nel nord di Israele parla di "Casa di Davide" e di "Re di Israele", mentre altri reperti dimostrano l'estrema antichità del Libro dei Numeri e forse l'effettiva esistenza del profeta Geremia. In più, la scoperta a nord della striscia di Gaza di una figurina di bronzo argentato che rappresenta un vitello è stata collegata al Vitello d'Oro citato nell'Esodo. Ritrovamenti utili, ma certo insufficienti. La speranza degli studiosi è di scoprire, prima o poi, un archivio di documenti ufficiali precedente al 1000 a.C., simile a quelli trovati per molte delle civiltà dello stesso periodo e della stessa area. C'è anche chi pensa di averne identificato la collocazione: Hazor, nella Galilea settentrionale, un sito talmente ampio che ci vorranno anni ed anni per completarne lo scavo. La scoperta decisiva, insomma, è ancora lontana. (c.d.g.)
(22 novembre 1997)
http://www.repubblica.it/www1/cultura_scienze/arca/bibbia/bibbia.html
Vedi anche: https://www.academia.edu/34116579/Esodo_suggestioni_teorie_indizi_prove
Ritrovate presso il monte del Tempio monete di bronzo risalenti alla prima rivolta ebraica
Monete di bronzo, gli ultimi resti di una rivolta ebraica di quattro anni contro l'Impero Romano sono state trovate vicino al Monte del Tempio a Gerusalemme. Queste monete di bronzo sono state scoperte dall'archeologo dell'Università Ebraica Dr. Eilat Mazar durante i nuovi scavi presso l'Ophel, situati sotto la parete meridionale del Monte del Tempio.
Queste monete in bronzo da 1,5 cm sono state perse da residenti ebrei che si nascosero in una grande grotta (7 × 14 metri) per quattro anni (66-70 d.C.) - dall'assedio romano di Gerusalemme, fino alla distruzione del Secondo Tempio e del città di Gerusalemme.
Queste monete in bronzo da 1,5 cm sono state perse da residenti ebrei che si nascosero in una grande grotta (7 × 14 metri) per quattro anni (66-70 d.C.) - dall'assedio romano di Gerusalemme, fino alla distruzione del Secondo Tempio e del città di Gerusalemme.
Mentre molte delle monete risalgono ai primi anni della rivolta, la stragrande maggioranza provengono dal suo ultimo anno, altrimenti noto come "Anno Quattro" (69-70 EV). Significativamente, durante l'ultimo anno, l'iscrizione ebraica sulle monete è stata cambiata da "Per la libertà di Sion" a "Per la redenzione di Sion", un cambiamento che riflette l'umore mutevole dei ribelli durante questo periodo di orrore e carestia.
"Una scoperta come questa - antiche monete con le parole" Libertà "e" Redenzione "- appena prima del Festa ebraica della liberazione - la Pasqua - è incredibilmente commovente", ha condiviso il dott. Mazar.
Oltre alle iscrizioni ebraiche, le monete erano decorate con simboli ebraici, come le quattro specie vegetali bibliche: palma, mirto, cedro e salice, e un'immagine del calice che veniva usata nel servizio del Tempio.
Molte grotte di vasi rotti, tra cui vasetti e pentole, sono stati trovati anche nella grotta. Secondo Mazar, è degno di nota il fatto che questa grotta non sia mai stata scoperta dai successivi abitanti di Gerusalemme, né riutilizzata dopo il periodo del Secondo Tempio. In questo modo la grotta agisce come una vera capsula temporale della vita a Gerusalemme sotto l'assedio e durante la rivolta di quattro anni contro l'Impero Romano.
Questi reperti risalgono all'epoca della ribellione e sono stati trovati nella grotta Ophel direttamente sopra uno strato di Periodo Hasmoneano che si trovava alla base della grotta. Una relazione più completa di questi risultati sarà pubblicata nel terzo volume degli scavi di Ophel; il secondo è stato già pubblicato.
Secondo Mazar, le monete erano ben conservate, probabilmente perché sono state in uso per così poco tempo. Un numero simile di monete "Anno Quattro" sono state trovate vicino all'Arco di Robinson, vicino al Muro Occidentale, dal Professor Benjamin Mazar, nonno di Eilat Mazar. Ha diretto gli scavi del Monte del Tempio subito dopo la guerra dei sei giorni di Israele, per conto dell'Istituto di archeologia dell'Università ebraica.
m
Gli scavi dell'Ophel si trovano all'interno del Parco Nazionale del "Muro intorno a Gerusalemme", che è gestito dall'Authority National Parks and Gardens e dalla Eastern Development Company. Il finanziamento è stato generosamente offerto dall'Herbert W. Armstrong College di Edmond, in Oklahoma, i cui studenti partecipano agli scavi.
Credito fotografico: Eilat Mazar / Hebrew University
L'Università Ebraica di Gerusalemme è la principale istituzione accademica e di ricerca di Israele, che produce un terzo di tutta la ricerca civile in Israele. Per ulteriori informazioni, visitare http://new.huji.ac.il/en
"Una scoperta come questa - antiche monete con le parole" Libertà "e" Redenzione "- appena prima del Festa ebraica della liberazione - la Pasqua - è incredibilmente commovente", ha condiviso il dott. Mazar.
Oltre alle iscrizioni ebraiche, le monete erano decorate con simboli ebraici, come le quattro specie vegetali bibliche: palma, mirto, cedro e salice, e un'immagine del calice che veniva usata nel servizio del Tempio.
Molte grotte di vasi rotti, tra cui vasetti e pentole, sono stati trovati anche nella grotta. Secondo Mazar, è degno di nota il fatto che questa grotta non sia mai stata scoperta dai successivi abitanti di Gerusalemme, né riutilizzata dopo il periodo del Secondo Tempio. In questo modo la grotta agisce come una vera capsula temporale della vita a Gerusalemme sotto l'assedio e durante la rivolta di quattro anni contro l'Impero Romano.
Questi reperti risalgono all'epoca della ribellione e sono stati trovati nella grotta Ophel direttamente sopra uno strato di Periodo Hasmoneano che si trovava alla base della grotta. Una relazione più completa di questi risultati sarà pubblicata nel terzo volume degli scavi di Ophel; il secondo è stato già pubblicato.
Secondo Mazar, le monete erano ben conservate, probabilmente perché sono state in uso per così poco tempo. Un numero simile di monete "Anno Quattro" sono state trovate vicino all'Arco di Robinson, vicino al Muro Occidentale, dal Professor Benjamin Mazar, nonno di Eilat Mazar. Ha diretto gli scavi del Monte del Tempio subito dopo la guerra dei sei giorni di Israele, per conto dell'Istituto di archeologia dell'Università ebraica.
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Gli scavi dell'Ophel si trovano all'interno del Parco Nazionale del "Muro intorno a Gerusalemme", che è gestito dall'Authority National Parks and Gardens e dalla Eastern Development Company. Il finanziamento è stato generosamente offerto dall'Herbert W. Armstrong College di Edmond, in Oklahoma, i cui studenti partecipano agli scavi.
Credito fotografico: Eilat Mazar / Hebrew University
L'Università Ebraica di Gerusalemme è la principale istituzione accademica e di ricerca di Israele, che produce un terzo di tutta la ricerca civile in Israele. Per ulteriori informazioni, visitare http://new.huji.ac.il/en
Israele: trovate vicino ad Haifa i resti di un’officina per la preparazione della tinta blu citata nei testi sacri
Haifa probabilmente non è una fra le città più interessanti di Israele, ma dopo questa scoperta potrebbe diventarlo! Finora la sua principale attrazione sono sempre stati i giardini pensili del Mausoleo del Báb (che contiene i resti mortali del fondatore del bábismo): splendidi terrazzamenti verdi che scendono dolcemente dal mausoleo, situato sul Monte Carmelo la cui cupola dorata svetta in posizione dominante, fino alla città. Già noti erano i reperti archeologici rinvenuti a Tel Shikmona, lungo la costa di Haifa: il sito è immerso in una bella location naturalistica dichiarata parco nazionale, ma non è mai stato tenuto molto in considerazione per l’importanza dei reperti rinvenuti risalenti a diverse epoche, dall’età del Bronzo al tardo impero Bizantino, fino a quando qualche mese fa gli esperti sono riusciti a capire a cosa servissero tutti quei contenitori, vasellame e strumenti, vecchi di 3000 anni: servivano probabilmente a produrre il colore tekhelet, una tintura viola-bluastra menzionata 49 volte nella Bibbia ebraica. Un colore molto importante dal punto di vista storico e culturale, oggetto di numerose indagini e ricerche sia scientifiche che religiose.
Il tekhelet fu utilizzato per gli abiti da cerimonia del sommo sacerdote, per il velo del Tempio di Salomone, gli arazzi del Tabernacolo e le nappe o i fiocchi affissi agli angoli del proprio capo e del vestito (il Tallit indossato durante la preghiera) come monito a ricordare i precetti di Dio. Presso il sito, che all’epoca era un insediamento fenicio, si produceva dunque questo colore estremamente prezioso, ricavandolo da un tipo particolare di mollusco lo Hillazon, associato ad un gasteropode del genere Murex trunculus che si trovava sulle rive del Mar Mediterraneo nel nord di Israele.
Dopo la distruzione del tempio a Gerusalemme da parte dei Romani, l’effettiva origine della fonte del tekhelet andò perduta e ormai da qualche secolo gli studiosi si stanno impegnando a scoprire e ricavare l’esatta tonalità di blu che ancora non è certa. In una conferenza allo Shenkar College of Engineering and Design di Ramat Gan, il professor Zvi C. Koren direttore del Edelstein Center for the analysis of ancient artifacts, analizzando un piccolo pezzo di tessuto tinto d’azzurro che risale a duemila anni fa recuperato a Masada, ha così definito il colore biblico:
Tekhelet è effettivamente il colore del cielo, ma non è il colore del cielo così come lo osserviamo normalmente, è il colore del cielo a mezzanotte. E’ come quando sei tutto solo di notte e raggiungi Dio, e questa emozione è ciò che il tekhelet vuole forse richiamare.
https://www.fratesole.com/2020/05/israele-trovate-vicino-ad-haifa-i-resti-di-unofficina-per-la-preparazione-della-tinta-blu-citata-nei-testi-sacri/?ref=newsletter
Il tekhelet fu utilizzato per gli abiti da cerimonia del sommo sacerdote, per il velo del Tempio di Salomone, gli arazzi del Tabernacolo e le nappe o i fiocchi affissi agli angoli del proprio capo e del vestito (il Tallit indossato durante la preghiera) come monito a ricordare i precetti di Dio. Presso il sito, che all’epoca era un insediamento fenicio, si produceva dunque questo colore estremamente prezioso, ricavandolo da un tipo particolare di mollusco lo Hillazon, associato ad un gasteropode del genere Murex trunculus che si trovava sulle rive del Mar Mediterraneo nel nord di Israele.
Dopo la distruzione del tempio a Gerusalemme da parte dei Romani, l’effettiva origine della fonte del tekhelet andò perduta e ormai da qualche secolo gli studiosi si stanno impegnando a scoprire e ricavare l’esatta tonalità di blu che ancora non è certa. In una conferenza allo Shenkar College of Engineering and Design di Ramat Gan, il professor Zvi C. Koren direttore del Edelstein Center for the analysis of ancient artifacts, analizzando un piccolo pezzo di tessuto tinto d’azzurro che risale a duemila anni fa recuperato a Masada, ha così definito il colore biblico:
Tekhelet è effettivamente il colore del cielo, ma non è il colore del cielo così come lo osserviamo normalmente, è il colore del cielo a mezzanotte. E’ come quando sei tutto solo di notte e raggiungi Dio, e questa emozione è ciò che il tekhelet vuole forse richiamare.
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