Il cibo nell’arte XXV parte

Ci sono certe nature morte-vanitas che appaiono assai cupe e minacciose nel loro inquietante realismo, se le pensiamo appese in sala da pranzo penso che tolgano se non la fame di sicuro il piacere della tavola, come ad esempio quelle dipinte da Harmen Steenwijck, (1612 -1656) un pittore del secolo d’oro olandese che si è concentrato principalmente su nature morte-vanitas.  

Harmen Steenwijck- Natura morta- vanitas con teschio, libri e frutta

Non si capisce bene il mostrare da parte degli olandesi questa profusione di nature morte-vanitas raffiguranti tavolate con tovaglie damascate, ricche di stoviglie preziose e di ogni ben di dio di cibo, con ovvio riferimento alla loro ricchezza benvoluta dal Signore, ma con questo sentimento della caducità della fortuna, quasi una premonizione. Gli olandesi li potremmo anche chiamare i primi capitalisti, visto che la coltivazione dei tulipani in Olanda causò la prima bolla speculativa: tutti convinti che i prezzi dei bulbi avrebbero continuato la salita all’infinito: nei primi anni del Seicento un bulbo di tulipano di una varietà pregiata poteva costare come un palazzo signorile, tutti pazzi, tutti investitori, poi ci fu il crollo nel 1637, i bulbi come una bolla punta da uno spillo sgonfiarono di valore d’un botto, fu una catastrofe finanziaria ed economica terribile.

Floris van Dyck- Parte di banchetto- 1622

In contrapposizione alle vanitas coi teschi e coi rimandi alla caducità della vita, ci sono i pittori specializzati in  banchetti o le cosiddette piccole colazioni, che sono come dei ricchi buffet o tavole imbandite, tanto realistiche da far aumentare la saliva in bocca per l’acquolina, trionfi per gli  occhi che solleticano i trionfi per lo stomaco e che ci fanno pensare alla ricchezza della borghesia protestante, la cui etica era fondata sul lavoro come vocazione religiosa, il successo e la ricchezza significavano essere apprezzati da Dio.

Pieter Claesz- Natura morta con torta e tacchino- 1627

Il Seicento per l’Olanda fu un periodo florido, il commercio, le scienze e le arti olandesi primeggiavano in Europa, non solo il ricco viveva bene, ma tramite le opere che ci ha lasciato Jan Steen (1626 -1679) un pittore olandese che mostra un’insolita ironia, possiamo notare che anche le classi medie e basse della società se la passavano bene, tanto che una sua opera è intitolata ‘La famiglia felice’… tuttavia Steen  lascia intendere che il troppo riempirsi la pancia porti al vizio, invitando piuttosto alla moderazione che a copiare questi atteggiamenti.

Jan Steen- La famiglia felice-1668

Una delle scene di genere più famose, luminose e palpitanti è il dipinto ‘La lattaia’ di Jan Vermeer (1632 – 1675) un pittore arcinoto in grado di ottenere colori trasparenti e luminosi, quasi brulicanti, con un impianto geometrico tale da rendere la lattaia quasi mistica, avvolta dal sontuoso grembiule blu egizio, mentre tranquilla e assorta versa a filo il latte nell’orcio preparando una sana colazione, quel pane e quel latte che ci ricorda la nostra infanzia. 

  

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Jan Vermeer -La Lattaia- Rijksmuseum-Amsterdam

Il cibo nell’arte XXIV parte

Evaristo Baschenis (1617 -1677), pittore bergamasco, è conosciuto soprattutto per le nature morte con strumenti musicali, era infatti anche un musicista, tuttavia raffigurò con maestria tavole imbandite con frutta e cacciagione. In Baschenis spesso la natura morta è allegoria della vita e della sua caducità, della vanità dei beni terreni e dell’insensatezza di coloro che s’affannano a ottenerli, richiamando la frase biblica ‘Vanitas vanitatum et omnia vanitas’, ovvero… vanità delle vanità, tutto è vanità.

Evaristo Baschenis-Cucina-1660 ca- Collezione privata

Così appaiono teschi e candele spente con ovvio riferimento alla morte, orologi e clessidre per lo scorrere del tempo, bolle di sapone e calici di vetro significando la fragilità delle cose terrene, strumenti musicali e oggetti preziosi rappresentano i piaceri e le ricchezze terrene che sono effimere, i fiori e i frutti la caducità, l’opulenza che si decompone e imputridisce.

Evaristo Baschenis- Natura morta di Strumenti Musicali- 1670 ca- Musées royaux des Beaux-Arts- Bruxelles 

I cibi in genere hanno un significato allegorico, spesso religioso: vino, pane, pesci e uva rimandano a Cristo, la mela e il fico rammentano il peccato originale, burro e formaggio alludono all’opulenza, il melograno all’abbondanza, le arance alla fecondità e all’amore, il limone all’inganno in quanto bello e luminoso fuori e aspro dentro, le ostriche alla voluttà e via così. Tuttavia anche un’alzata con succose e vellutate pesche, incoronate da fiori di gelsomino e pere cotogne può nascondere un messaggio poco simpatico. Fede Galizia (1578-1630) pittrice milanese autrice non solo di nature morte, ma anche di ritratti e di pale religiose ci presenta un’opera all’apparenza piacevole e rilassante, ma la presenza in primo piano della piccola e innocua locusta è simbolo di devastazione e di morte, nonché di invidia e di superbia.

Fede Galizia-Alzata in vetro con pesche, gelsomino, mele cotogne e una locusta-1607  

Particolari sono le nature morte di Sebastian Stoskopff (1597-1657) un pittore tedesco che insiste sulla fragilità della vita proponendosi con diverse rappresentazioni di bicchieri e bottiglie, spesso in primo piano vi inserisce un calice in frantumi.  

 

Sebastian Stosskopff- Natura morta con cesto di oggetti di vetro -1644

Georg Flegel (1566 -1638) altro pittore tedesco uno tra i primi nel suo Paese a dedicarsi alla pittura di nature morte, le sue opere si propongono certune assai raffinate, luminose ed eleganti, altre più semplici e rustiche altre delle vanitas alquanto particolari, come in “Natura morta con pane, brocca, calice e topo”, il dolce in questo caso frutta e fichi, non ci alletta per niente. 

Georg Flegel- Natura morta con biscotti e dolci

il topo e gli insetti ci ricordano con triste ineluttabilità la fine che faremo e Flegel non è delicato come Fede Galizia, il topo sembra sinistramente osservarci, mentre gli insetti sembrano quasi correre, creando l’allegoria di una morte che può essere vicina. 

 

Georg Flegel – sec. XVI/ XVII – Natura morta con pane, brocca, calice e topo

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Il cibo nell’arte XXIII parte

Nel 1600/1700 non solo si ci innamora della cioccolata ma si ama molto anche il caffè, si diffondono i liquori, i gelati e le bevande rinfrescanti e digestive come limonate e cedrate, vendute nelle spezierie.

Alla corte francese aumenta l’abbondanza, vi è il lusso più raffinato e ricercato, un secolo d’oro per i cuochi, forse più di oggi, che inventano salse come la besciamella o la maionese e che decretano la Francia regina del cibo, nel Seicento, forse non per caso, si diffonde il genere pittorico della natura morta.

Vincenzo Campi- I mangiafagioli-1580 circa

Questo termine fu coniato nel Settecento in senso dispregiativo, prima si definiva ‘natura immobile’ in contrapposizione alla ‘natura vivente’ della pittura di storia incentrata sulla figura umana, un genere quindi di poco conto; le Accademie d’Arte che stavano sorgendo un po’ ovunque avevano degli statuti che gerarchizzavano la pittura, la natura morta era all’ultimo posto assieme a quella di genere, tuttavia dalla celebre canestra di frutta del Caravaggio, dai bodegones in Spagna e dalla pittura fiamminga la natura morta si diffonde a macchia d’olio con risultati a volte eccezionali.

Annibale Carracci- Mangiafagioli- 1584/1585- Galleria Colonna- Roma

Il genere natura morta si diffonde soprattutto nell’Europa del Nord, in Italia e in Spagna. Tutta una serie di artisti più o meno famosi si specializzano con opere sul tema del cibo o scene di genere con tavole imbandite, angoli di cucina, botteghe e banchi del mercato con ogni tipo di merci, non mancano le macellerie, con le carni o i quarti di bue attaccati ai ganci; vengono rappresentati gli strati più umili della popolazione, ma la carne resta costosa, per rappresentare il cibo povero sostitutivo della carne potevano mancare le opere sui mangiatori fagioli?

Bartolomeo Passerotti- Macelleria- 1590- Galleria nazionale d’arte antica- Roma

Dove è nata la natura morta? I critici d’arte sono divisi, chi sostiene la nascita italiana adducendo al fatto  che in Italia vi era una tradizione antica risalente ai romani che raffigurava in piccoli quadretti chiamati Xenia, i regali di frutta e altri alimenti donati agli ospiti dal padrone di casa, i sostenitori della linea fiamminga affermano invece il primato fiammingo in quanto vi era stata l’assenza di gerarchizzazione della pittura in bassa o alta e vi era il protestantesimo che favorì la diffusione di soggetti non religiosi e la celebrazione delle merci e della ricchezza come successo materiale e spirituale. 

Pietro Longhi- La venditrice di frittole- 1755- Ca’ Rezzonico-Venezia

Caratteristico e assai interessante è il pittore veneto Pietro Longhi (1701-1785) che ebbe fama per le scene di vita quotidiana veneziana, notorietà testimoniata da Goldoni che a un matrimonio lesse un sonetto che iniziava così … Longhi tu che la mia Musa sorella /chiami del tuo pennel che cerca il vero e proseguiva … Tu coi vivi colori, ed io col canto. Così Longhi è testimone del Settecento veneziano e raffigura ‘La bottega del caffè’ oppure ci mostra che il cibo da strada non è un’invenzione di oggi, in ‘La venditrice di frittole’ ci riporta un mestiere che al tempo aveva una sua Corporazione, un luogo fisso di vendita vicino alla Ca’ d’oro e ogni venditore aveva una sua ricetta che si tramandava gelosamente di generazione in generazione. Come raffigura Longhi le frittole venivano infilzate in uno stecco e spolverate con abbondante zucchero, si mangiavano durante il passeggio. Lo zucchero era assai costoso ma grazie ai suoi commerci orientali Venezia fu la prima città in Europa a utilizzarlo, poi riuscì a produrlo con le piantagioni di canna da zucchero a Candia (Creta) e Cipro… non per niente candito è una parola che deriva da Candia. 

Seguace di Pietro Longhi- La bottega del caffè- 1750/1770-Gallerie d’Italia – Vicenza