Diocesi di Roma

Anche all’interno del Vicariato di Roma si sta consumando una vera e propria guerra da parte dei laici ai danni dei chierici. Le scelte di Papa Francesco fatte in questi anni non hanno fatto altro che esacerbare divisione e hanno demonizzato la figura sacerdotale. Ci sono realtà nelle quali addirittura Bergoglio ha detto che non avrebbe voluto presbiteri perché questi sarebbero – a suo dire – corrotti e incompetenti.

Ci ritroviamo, quindi, sempre al punto di partenza di questo Pontificato: colpire il ministero ordinato a tutti i costi. Probabilmente il Papa si comporta in questo modo per due ragioni: in primo luogo ha vissuto cattive esperienze con i sacerdoti e vive assai male il proprio sacerdozio; in secondo luogo, si è reso conto che i presbiteri non lo compatiscono più. La soluzione, pertanto, è quella di scegliere laici che non gli possano dire tutto ciò che il prete si sente libero di dirgli. Il laico che lavora al servizio del Papa, qui in Vaticano o in giro per il mondo, solitamente pensa solo ad una cosa: “Ho famiglia, devo portare il pane a casa”. Di più non è dato avere.

All’interno del Palazzo Lateranense, a seguito della Riforma, sono state portate – fra gli altri – due donne. Una è la signorina Cristiana Odoardi ed è stata sistemata alla direzione dell’Ufficio amministrativo e l’altra è Maria Teresa Romano, piazzata alla guida della Cancelleria.

Quest’ultima è stata chiamata a sostituire il Reverendo Monsignor Giuseppe Tonello che si era macchiato – lo avevamo spiegato in questo articolo – del grave delitto di lesa maestà.

Una vera e propria operazione di marketing portata avanti dal vescovo di Roma: due laiche, due donne. Ma ciò che più rassicurava Francesco è stata propria la provenienza di queste due illustrissime esperte: Renato Tarantelli.

La guerra ai vescovi

Mentre in passato a ricoprire questi ruoli vi erano presbiteri con curriculum vitae belli lunghi, oggi abbiamo addirittura delle donne che non sono neppure sposate e convivono conviventi more uxorio con i loro compagni. Del resto con Papa Francesco abbiamo imparato che non esistono più i principi, le leggi ma gli umori del sovrano.

Queste laiche hanno iniziato una vera e propria lotta contro i sacerdoti e i vescovi presenti nel Palazzo Lateranense. Chiaramente sono guidate dal principe del foro Renato Tarantelli il quale – è risaputo – non gode di molta stima fra il clero ed è uno dei “chiamati dell’ultim’ora”.

Il Regolamento Generale del Vicariato di Roma – il quale ancora non è stato reso pubblico se non da Silere non possum – ha istituito (art. 14) tre Commissioni interne al Vicariato. Si tratta delle commissioni per l’Arte Sacra e i Beni Culturali, per il Patrimonio Immobiliare, per gli Enti.

L’8 febbraio 2024 la signora Cancelliera ha preso carta e penna ed ha scritto al Vicegerente Baldo Reina: «Avendo ricevuto da Lei l'elenco delle tre Commissioni interne al Vicariato istituite con il nuovo Regolamento del Vicariato di Roma (art. 14), Le sottopongo alcune considerazioni. In particolare: è stato inserito un Vescovo membro del Consiglio Episcopale». Alla new entry questa scelta non piace e sottolinea che: «Va tuttavia evidenziato che le Commissioni nascono con la specifica finalità di migliorare l'efficacia e l'efficienza del lavoro comune che coinvolge trasversalmente più Uffici e si caratterizzano dall'essere composte da tecnici/esperti in determinati ambiti, scelti prevalentemente tra i Direttori degli Uffici del Vicariato, per fornire al Consiglio Episcopale tutti gli elementi valutativi e tecnici per poter giungere ad una decisione ponderata. La natura e le finalità delle Commissioni (cf. art. 35, § 2, IEC) richiedono che i membri debbano poter esprimere liberamente e senza condizionamenti di sorta i propri pareri, confrontandosi apertamente, per svolgere al meglio il proprio compito».

La canonista però sembra non aver letto l’articolo che richiama. Questo, infatti, recita: «Il Cardinale Vicario, sentito il Consiglio Episcopale, può costituire Commissioni diocesane con carattere consultivo, che nella loro attività fanno riferimento agli Uffici competenti in materia».

Romano afferma: «La presenza del Vescovo potrebbe essere, seppur involontariamente, condizionante per il lavoro interno alla Commissione stessa. Ugualmente, in fase di pronunciamento in seno al Consiglio Episcopale, il Vescovo potrebbe essere condizionato da quanto accaduto durante la fase formativa del parere richiesto alla Commissione di cui fa parte e non disporre quindi, suo malgrado, di quel grado di indipendenza insito nella "separazione" tra momento istruttorio e momento decisionale. Costituisce infatti un aspetto rilevante la necessità di non creare vincoli e limitazioni in chi è chiamato a formulare il parere e in chi dovrà poi riceverlo per poi giungere alla decisione».

In realtà quanto afferma la Cancelliera è assolutamente senza senso. La presenza del Vescovo all’interno della Commissione garantisce un processo molto più consapevole e permette anche a questo di portare nel Consiglio Episcopale le questioni di maggiore rilevanza. Non è ben chiaro che idea abbiano questi laici del Vicariato di Roma ma non è una azienda e, soprattutto, nessuno deve difendersi da nessun altro. Altrimenti significa che qualcosa non funziona. Probabilmente al momento questo potrebbe essere un elemento sul quale riflettere quando si fanno i pranzetti con Albanese e le signorine “esperte di comunicazione” che il Vicariato di Roma paga (con quali soldi non si sa!?) al fine di difendersi da ciò che dice Silere non possum.

Nella sua missiva Romano continua: «In tal senso ne fornisce un chiaro esempio l'art. 43 del Regolamento del Vicariato di Roma laddove richiama il principio della separazione delle funzioni interne al Vicariato di Roma per "evitare il conflitto di interessi tra colui che svolge il procedimento e colui che compie il provvedimento finale"». Nel suo copia e incolla, però, dimentica che questo articolo del Regolamento Generale del Vicariato di Roma riguarda l’ambito dell’Amministrazione dei beni e delle risorse e non la composizione di una commissione.

Interessante, poi, il fatto che questo “conflitto d’interesse” la Signora Cancelliera non lo evidenzi nel caso della nomina di Renato Tarantelli quale DPO.

Libanori obbliga i prefetti a fare scudo

Dopo aver chiesto i soldi alle parrocchie e dopo aver fatto una guerra contro le varie rettorie del centro, Daniele Libanori ha iniziato ad accusare qualcuno in Vicariato dicendo che sta portando avanti una battaglia contro di lui. Ha fatto nomi e cognomi e Silere non possum come di consueto ne ha prova. Certo, secondo il ragionamento che porta avanti il vescovo gesuita allora qualche malevola mente potrebbe dire che fu lui a portare avanti una lotta pubblica contro Marko Ivan Rupnik. Qualcuno avrebbe potuto pensare: «Forse era lui la mente dietro a tutto?». 

Lo psicologo in questi giorni ha cercato di trovare alleati nel consiglio episcopale e nel consiglio presbiterale ma ha ricevuto porte in faccia. Qualcuno ha fatto notare che per contrastare ciò che dice Silere non possum bisognerebbe portare prove che smentiscano i documenti (con tanto di protocollo e firme dell'Augusto Pontefice). Visto che Libanori non riesce a smentire i documenti e quanto vi è scritto su questo portale di informazione non può far altro che "obbligare" i prefetti a scrivere un comunicato di manzoniana memoria. In queste ore, infatti, sta girando un comunicato che recita: «I Prefetti del Settore centro storico della diocesi di Roma, si uniscono per esprimere solidarietà e vicinanza al loro vescovo, Sua Eccellenza Daniele Libanori, fatto oggetto di continui attacchi diffamatori.  Vogliamo esprimere il nostro affetto e la nostra stima, insieme al nostro ringraziamento per il servizio appassionato che rende al nostro settore. Lo riconosciamo come guida e pastore onesto, dedito a tutti noi a servizio del Vangelo. Come San Paolo nell’Aeropago, anche noi oggi siamo chiamati ad annunciare e testimoniare nel mondo contemporaneo la Parola del Risorto, che il nostro vescovo di settore ha messo come fondamento del suo ministero in mezzo a noi. La vogliamo proclamare senza gridare, senza alzare il tono, tantomeno mettendoci in cattedra con la pretesa di sentirsi giudici degli altri, ma con l'umiltà di appartenere ad un mistero più grande di tutti noi. Perché la verità della resurrezione non ha padroni, ma solo testimoni».

Innanzitutto ricordiamo ai prefetti che il loro vescovo è il Papa. Una mezza verità in questo comunicato la troviamo. Libanori nella sua attività ha messo al centro la Parola. Lo abbiamo visto durante il periodo pandemico, in particolare. Più di una volta ha ribadito che l’Eucarestia è importante il giusto ma ciò che importa è la Parola. Che dire, bisogna commentare? 

Forse qualcuno potrebbe far notare a Libanori che abbiamo fatto un passo in più come cattolici e abbiamo un Dio che si è fatto carne. È proprio su questo forse sarebbe il caso di soffermarci. Abbiamo un Dio che ci ha dimostrato quanto contino i fatti. Anche Libanori potrebbe concentrarsi sui fatti nel suo ministero e prendere atto che c’è qualcosa su cui bisogna lavorare. 

È interessante anche quanto sottolinea questo comunicato scritto a tavolino. «La vogliamo  proclamare senza gridare, senza alzare il tono,  tantomeno mettendoci in cattedra con la pretesa di sentirsi giudici degli altri, ma con l'umiltà di appartenere ad un mistero più grande di tutti noi». I prefetti mettono la firma sotto questo testo? Chi è che urla? Forse stanno parlando di Libanori, il quale nel consiglio episcopale, nel consiglio presbiterale e nelle riunioni di settore si scaglia contro tutto e tutti? 

Nel consiglio presbiterale si è addirittura scagliato contro il vescovo Paolo Ricciardi e alle sua uscite con i sacerdoti per la diocesi di Roma. Un momento che serve a creare comunione ma che Libanori ritiene futile perché “bisogna fare corsi di teologia perché i preti sono ignoranti”.  I prefetti del settore centro, quindi, si ritengono ignoranti. Buono a sapersi. Come è già stato detto a Libanori nei giorni scorsi, se si ritiene diffamato può procedere a querelare chi lo diffama. Se in una aula di tribunale riuscirà a dimostrare che video, audio e documenti sono falsi, si rechi subito in tribunale. Ci sarà da ridere. I prefetti possono anche chiedere questi documenti di smentita al loro vescovo, altrimenti possono evitare di fare la figura dei “servi”. Bisognerebbe comprendere che "essere cristiani" non significa "essere ignavi" oppure "essere figli della menzogna". La Verità - leggiamo il Vangelo - a volte va anche gridata. Con carità ma sempre gridata. 

F.P.

Silere non possum