Mistero tutto case e Chiesa

Dagli affari stentati in Italia al fatturato milionario oltreoceano. Così padre e figlio Follieri comprano immobili dalle diocesi USA, con la consulenza del nipote del cardinal Sodano. Da "L'espresso" n. 23 del 15 giugno 2006

di Gianluca Di Feo

Lei è "il diavolo che veste Prada", lui vuole guadagnarsi la santità facendo affari con le diocesi: insieme formano una delle coppie più ammirate e sorprendenti degli States. Lei è Anne Hathaway, la protagonista femminile di "Brokeback Mountain" e ora star del film ispirato alla direttrice di "Vogue"; lui si chiama Raffaello Follieri, viene da Foggia, tra pochi giorni compirà 28 anni e guarda New York dall'alto della terrazza che fu di Onassis, collezionando operazioni immobiliari per 250 milioni di dollari. La loro storia d'amore tutta romanticismo tra Gargano e Hollywood gli ha fatto conquistare l'attenzione dei paparazzi e delle riviste patinate. E di sicuro il ragazzo pugliese con il ciuffo ha trovato l'America, anche se la vertiginosa carriera del giovane passato in quattro anni dalle aule della Sapienza alla conquista di Manhattan continua ad alimentare inchieste della stampa cattolica più critica. Perché è veramente difficile capire le ragioni di un successo tanto clamoroso, tale da ridicolizzare i record di qualunque furbetto del quartierino.

A volere approfondire le vicende del Follieri Group si rischia di scivolare dai loft di Park Avenue ai bassifondi dove il lecito sconfina nel discutibile, innescando più di un interrogativo. Così partendo dalle prime imprese dell'enfant prodige degli immobili si scopre che ha fatto un salto nell'iperspazio dagli assegni protestati ai contratti con sei zeri. Mentre il padre Pasquale, presidente della holding americana, è finito sotto processo in Italia per una storiaccia di massoneria e appalti chiusa con una duplice assoluzione. Per non parlare della strana alternanza dei partner che hanno segnato lo sviluppo della loro impresa: c'è stato il progetto con il rampollo di una delle grandi dinastie mafiose di New York mentre prosegue il rapporto consolidato con il nipote prediletto del cardinale più importante. E, dulcis in fundo, “l'amicizia con il presidente Bill Clinton e la senatrice Hillary”, come conferma lo stesso Raffaello.

Mafia, logge, Vaticano, Casa Bianca, Hollywood: troppi ingredienti, tanto da far pensare a un copione cinematografico così carico di trame da apparire inverosimile. E troppi soldi, che in soli 36 mesi hanno portato una famiglia della buona borghesia foggiana a firmare “contratti per 150 milioni di dollari”. Tutto troppo, insomma. Eccessivo persino per venire giustificato dalla presenza di Andrea Sodano, nipote del segretario di stato e consulente principe della holding. Un asso nella manica determinante per un'impresa che ha come scopo rilevare i patrimoni immobiliari della Chiesa cattolica statunitense, ridotta sul lastrico per i risarcimenti dello scandalo pedofili. Perché il Follieri Group ha come ragione sociale quella di essere “sensibile agli imperativi della Chiesa cattolica” e vanta “antichi rapporti con le gerarchie vaticane”. “Tutto trasparente, tutto legale”, replica da New York mister Follieri, con il piglio di chi si è addestrato a fronteggiare i media. E ha la sicurezza di “essere stato il primo ad avere l'idea vincente”: mattoni, fede, affari, una trinità dove il sacro si transfigura in lucro.

In una stagione di bolla inarrestabile, le diocesi del Nord America possono mettere sul tavolo uno dei patrimoni più appetibili del mondo: decine di seminari, scuole, canoniche, monasteri e persino chiese che sono deserte per il crollo delle vocazioni e il calo dei fedeli. Palazzi di pregio, in zone chiave delle metropoli, dove ogni metro quadrato vale oro massiccio. Tutti gli immobiliaristi del mondo ci hanno messo gli occhi sopra. Finché non sono arrivati i Follieri. E quel consulente dal cognome Sodano, che spalanca le porte di qualunque ente ecclesiastico.

I Follieri, padre e figlio, si materializzano a New York con uno sbarco in grande stile nel 2003. Casa e ufficio nell'angolo più esclusivo di Park Avenue, si sono dati subito da fare. Sul sito del loro gruppo hanno presentato dei curriculum elegiaci. Ma anche, stando a quanto risulta a "L'espresso", abbastanza gonfiati.

Quello del giovane è il ritratto del bravo ragazzo di provincia: nasce a San Giovanni Rotondo nel 1978 e la benedizione di Padre Pio finora non gli è mancata. Liceo classico a Foggia, università a Roma. E quel fiuto per la bellezza che lo porta direttamente dalle lezioni della Sapienza all'industria dei cosmetici. Con dei coetanei, tutti ventenni, crea delle piccole società che si occupano di shampoo e body care. Secondo il suo sito una di queste, la Beauty Planet ha un “tremendous success”. Peccato che i bilanci ufficiali mostrino un panorama desolante: nel 2001 perde 31.702 euro. E lascia una manciata di assegni protestati nell'autunno 2002: cinque in tutto, due di Raffaello e tre della società, meno di 50 mila euro. Spiccioli, se paragonati ai giri di oggi. Che però restano impressi come un marchio nel database delle camere di commercio: “Elevata rilevanza storica dei fenomeni di insolvenza”. Ma in realtà è una storia del tubo. Letteralmente, come spiega l'interessato: “Tutta colpa di un fornitore di Arzano che non ci ha consegnato i tubi necessari per la produzione. Ci ha bloccato la fabbrica per mesi. Questo fece scattare l'insolvenza. Ma abbiamo una causa civile aperta per quella vicenda”. Disceso dal pianeta della bellezza, Raffaello approda a ben altre avventure, sempre preziose: “Sono stato in Africa sei mesi, occupandomi di compravendite di diamanti e oro. Ma è stata solo una parentesi”.

L'attività chiave restano gli immobili, con una società lussemburghese basata a Londra, la EFFE holding. Cosa fa? “Abbiamo acquisito proprietà di enti statali, in Spagna e in Italia. Cartolarizzazioni? Sì, certo”. E come si riesce a passare dai bilanci risicati della Beauty Planet alle privatizzazioni varate dai governi di Roma e Madrid? “I capitali venivano da un fondo statunitense, l'Apollo Real Estate. C'era poi il rapporto con Inter Allied Management, altra società americana”.

Da Londra parte il balzo verso New York. Un salto mortale? Non sembra. I Follieri trovano i consulenti giusti. Nella squadra spicca Richard Ortoli, avvocato poliglotta e presidente internazionale della comunità corsa: da almeno vent'anni assiste con discrezione gli investitori italiani e europei che vogliono buttarsi nel mattone a stelle e strisce. Appassionato di lirica, Ortoli è anche un'autorità nella finanza offshore: uno dei pochi dalle pagine di "Forbes" a contestare la legislazione antiterrorismo che nel 2001 rischiava di decretare la fine dei paradisi bancari. A rimpiazzare Ortoli nel 2005 provvede poi Paul Hastings, un impero della consulenza legale e commerciale: tra l'altro è lo studio che cura il piano finanziario di Alitalia.

Con simili compagni di viaggio, i risultati arrivano in fretta: “Sino a oggi abbiamo firmato contratti con le istituzioni ecclesiastiche per 150 milioni di dollari e abbiamo trattative in fase molto avanzata per altri cento milioni”. Le prime caselle di questo monopoli dove santità e business si mescolano sono state occupate a Philadelphia: la ex parrocchia della Trasfigurazione, poi quella di San Clemente. Altri due passi avanti nella diocesi di Chicago e una nei sobborghi di Atlantic City: al posto dei seminari che da anni non vedono novizi si progettano abitazioni per i dipendenti dei casinò, dove c'erano canoniche si pensa a condomini di lusso. E così via, seguendo la mappa della crisi del cattolicesimo USA, ancora più afflitto dall'onda lunga dello scandalo pedofili e dalla necessità urgente di racimolare fiumi di dollari per i risarcimenti alle vittime. La sola diocesi di Boston in tre anni ha già venduto palazzi per 200 milioni di dollari.

Ma all'inizio della sua maratona newyorchese il giovane Follieri ha anche qualche frequentazione imbarazzante. Raffaello Follieri viene visto spesso con Vincent Ponte. Secondo quanto riporta il combattivo blog Bettnett.com, la prima versione del sito del Follieri Group indica Vincent Ponte come membro del “management team”. Nulla di illegale. Ma a Manhattan Ponte è un cognome che pesa. Angelo Ponte, padre di Vincent, è stato protagonista della più clamorosa inchiesta di mafia degli anni Novanta. Negli USA una fetta consistente delle ricchezze di Cosa nostra viene dal racket della raccolta rifiuti, gestito da società private: è la trama dei telefilm dei Sopranos, era la realtà nella New York di Angelo Ponte. A smascherarlo fu un infiltrato che spinse Vincent Ponte a pagare una tangente da 10 mila dollari e raccolse prove contro tutta l'organizzazione, legata ai clan Bonanno e Genovese. Quando scattò la retata, il padrino settantaduenne fece una mossa senza precedenti: si presentò in tribunale e si dichiarò colpevole. Pena da due a cinque anni di carcere, interdizione perpetua dal tesoro dei rifiuti. La resa di Angelo Ponte mise il resto degli imputati con le spalle al muro. Ma la corte fu clemente con il figlio Vincent: solo cinque anni di probation, una messa in prova, senza nessuna accusa di mafia. Il resto del patrimonio di famiglia rimase intatto: stabili e lotti a Tribeca, l'area più promettente di Manhattan. E un ristorante da gourmet. Proprio davanti alle leccornie del F.lli Ponte, Raffaello Follieri spiega di avere conosciuto il rampollo della dinastia newyorchese, tornato a pieno titolo nel giro degli affari. “Abbiamo studiato delle iniziative comuni su alcuni terreni di Tribeca, ma non sono arrivate a buon punto. E la cosa è finita lì”. Ma siete ancora amici? “Non c'è stata una lite, ma non siamo amici e non ci frequentiamo: se ci incontriamo, ci salutiamo”. Vincent ha mai avuto incarichi formali nel vostro gruppo? “Mai. Nessuna partecipazione. Aveva solo un ruolo nel procacciare quei suoli a Tribeca. Non c'è niente da nascondere”.

È chiaro che in un mercato dai lunghi coltelli come quello di New York l'incauta frequentazione di Raffaello è diventata un'arma da usare, soprattutto per gettare ombre sui legami ecclesiastici. Nel fare lobby con le diocesi però i Follieri non hanno sbagliato un colpo. Sono sempre ai tavoli giusti. A novembre 2005 c'è la cena per raccogliere fondi destinati alla missione vaticana all'ONU. Pasquale siede con il cardinale Renato Martino, ministro degli esteri della Santa Sede; con il vescovo Gabriel Montalvo, ambasciatore del Vaticano negli USA; con il vescovo Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede nel palazzo di Vetro, e con Jean Pierre Mazery, cancelliere dell'Ordine di Malta. Pochi giorni dopo Raffaello è a Washington alla conferenza dei vescovi USA. Poi papà Follieri riesce ad avere un posto accanto a Prodi e D'Alema in una delle cene di gala del "controvertice" di Clinton sull'ambiente.

Merito della sagacia di Pasquale, avvocato navigato ai rituali del potere, ma anche manager di società pubbliche e giornalista. “È lui che ha saputo conquistare la fiducia dei fondi americani”, riconosce il figlio. Il legale, che gli amici chiamano Paqui, si fregia sul sito del titolo di "Honorable"e sfoggia un curriculum con alcune macroscopiche gonfiature. Come quando dichiara di essere stato il “sole attorney” ossia l'avvocato esclusivo di IntesaBci gestione crediti, banca dove invece il suo nome risulta sconosciuto. C'è la sua carriera giornalistica: corrispondente dell'ANSA, direttore del mensile dell'ordine degli avvocati, la nomina “da parte di Gianni Letta a direttore editoriale delle edizioni meridionali del "Tempo"”. È stato poi giudice di Cassazione, giudice tributario, curatore di bancarotte. Ma soprattutto ha creato per conto della Regione l'ASI, il consorzio per lo sviluppo industriale della provincia di Foggia. Insomma, tantissime cose ma niente che possa far prevedere una carriera da 500 miliardi di lire.

Prima delle tavole eccellenti, in Puglia le cronache lo hanno descritto sul banco degli imputati. E hanno raccontato della sua vicenda processuale: un'inchiesta che a Foggia fece scalpore, anche perché aveva un titolo evocativo: "Il gruppo dei cento". E un capo d'imputazione inquietante: violazione della legge Anselmi, quella che punisce le associazioni clandestine creata dopo lo scandalo della P2. In più, a rendere pepata la vicenda, ore di intercettazioni in dialetto con i piani della presunta trama. Tutti quei nastri registrati dalla DIGOS con una microspia nascosta in un laboratorio medico secondo la procura dovevano dimostrare come il circolo culturale battezzato Il gruppo dei cento fosse in realtà un complotto per conquistare municipio, amministrazione provinciale e ASL. Al vertice, secondo gli inquirenti, il professor Giulio Gentile, docente di diritto bancario e, guarda caso, esperto di cartolarizzazioni, all'epoca candidato sindaco. Tra i gregari di spicco l'avvocato Follieri. Accuse fantasmagoriche, tanto che persino gli avversari politici le ridimensionarono: “Sono solo dei peracottari...”. Infatti il carattere massonico è svanito in fretta dalle carte del pm. E anche l'ipotesi di associazione segreta non ha retto al processo: tutti assolti in primo grado e in appello. “La sentenza ora è definitiva. I magistrati avevano confuso un'associazione culturale per una banda illegale, ma è stato un errore grave. E prima che mio padre venisse assolto sono passati dieci anni”, ricorda il figlio.

In questo decennio Pasquale non è certo rimasto fermo. E ha consolidato il legame con Andrea Sodano: “L'ingegner Sodano ha collaborato con mio padre nelle attività della Federazione dei consorzi industriali. Poi nel 2002 il rapporto è proseguito con la EFFE”. Ingegnere da 30 anni, vicepresidente della Fondazione Cassa di Risparmio, ex capitano del Palio, Sodano è una celebrità nella sua Asti. Sorprendente la somiglianza con lo zio cardinale: è facile immaginare l'impressione che può esercitare sui prelati chiamati a trattare con gli emissari del Follieri Group. Ma adesso che Angelo Sodano sembra prossimo a lasciare la segreteria di stato, il sogno americano dei Follieri svanirà? Le porte del paradiso immobiliare si chiuderanno, tagliando fuori il Gruppo dal santo business? “L'ho già ripetuto più volte. Noi non vinciamo i contratti grazie all'ingegnere Sodano. Conta la competitività delle nostre offerte. Conta il fatto che un quinto di tutti i guadagni viene investito in attività benefiche, in acquisto di medicinali a prezzi scontati per i parrocchiani poveri, in case popolari. Contano i programmi umanitari in Sudamerica. Nessun vantaggio dal nepotismo, cogliamo solo i frutti della nostra idea”, ribatte il giovane manager.

Raffaello adesso in Italia ci torna soprattutto in vacanza. Porta la fidanzata e i suoi amici da Oscar in gita alle Tremiti. Segue le cronache, ma non ha piani di investimento immediati. A quale imprenditore italiano si ispira? “Marco Tronchetti Provera, di sicuro”. Beh, persino Tronchetti non poteva vantare 250 milioni di dollari di investimenti prima del ventottesimo compleanno... “L'America è diversa. Qui un giovane che ha idee può realizzarle e bruciare le tappe”. E i nostri immobiliaristi: quali sono le differenze tra lei e uno come Stefano Ricucci? “Non penso che le rispettive esperienze possano venire paragonate. Qui negli USA più che l'aspetto immobiliare conta quello finanziario”. Si torna al punto di partenza, al nodo del garbuglio. È fin troppo facile evocare la frase clou del "Caimano" di Moretti e chiedere a Raffaello Follieri ancora una volta: “Da dove vengono tutti quei soldi?”. “Fondi istituzionali, che la legislazione americana controlla severamente. Poi ci sono accordi come quello con Yucaipa, l'equity fund guidato dal miliardario Ron Burkle e che ha Bill Clinton nel suo consiglio. I Clinton? Certo, l'ex presidente e la senatrice Hillary sono nostri amici”. E pensare che solo dieci anni fa nei nastri della DIGOS l'avvocato Follieri veniva chiamato "il presidente degli amici". Ma all'epoca l'America era lontana.



__________
15.6.2006 

rss.gif