MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

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LEZIONI SULL'EPISTOLA DI PAOLO AI ROMANI LEZIONE V


RM-1 1-2

8 gennaio 1948


   Dice il Ss. Autore:
  «Più esatta di una pittura che ritragga alla perfezione il vero, più esatta di una cronaca che riporti fedelmente gli avvenimenti e i costumi di un’epoca, ecco che l’epistola paolina descrive i costumi di quest’epoca che si insata­nassa.
   Ogni parola è una pennellata di colore per delineare l’uomo di quest’epoca, i nove decimi degli uomini di quest’epoca. Tutte le sfumature necessarie a dipingere non l’uomo figlio di Dio, come Dio avrebbe voluto che fosse, non l’uomo, superuomo, come credono di essere questi mostri dall’aspetto umano che sono i nove decimi degli uomini, ma a dipingere l’antiuomo, il degenere figlio di Dio, il frutto pauroso del connubio dell’Umanità con la Corruzione, il servo di Satana, sono usate nella pittura perfetta.
   E le tinte meno atroci sono date dagli epiteti: sussurroni, millantatori, stolti, disordinati. Poi le tinte si incupiscono sempre più, sino alle tinte che già hanno il colore del più profondo inferno delle colpe contro natura, così diffuse ora, e usate non solo a soddisfazione del loro reprobo senso, ma bensì a soddisfazione della loro avidità di ricchezze.
   Ma per quanto Paolo parlasse a uomini del tempo suo, a uomini viventi in mezzo ai pagani - più che a pagani: a senza dio alcuno (perché se ancor avessero rispettato un dio, ossia una legge morale, anche se imperfetta, perché anche l’uomo assolutamente ignorante di ogni codice religioso sente istintivamente, quando non è uno che non vuole sentire, la esistenza di un Ente Supremo al quale il suo spirito aspira per sua propria natura spirituale, per cui cerca, come spirituale che è, di riunirsi allo Spirito dal quale ebbe principio) a senza alcun dio, volutamente voluto ignorare per non avere alcun freno di legge morale anche sol naturale - per quanto Paolo parlasse a questi uomini viventi fra questi mostri, no, ancora ha lasciato la tinta più fosca del quadro.
   Perché l’ha lasciata? Perché la ignorava. Egli è salito con lo spirito al terzo cielo e molte verità ha conosciuto, anche quelle sugli ultimi tempi. Ma non ha conosciuto una perversità di questi tempi semifinali, una perversità che prepara l’avvento dell’apostasia e la manifestazione dell’uomo del peccato.
   Egli scriveva ai Tessalonicesi: “Già il mistero dell’iniquità è in azione”, ma confutava poi dicendo: “Solamente v’è chi ora lo trattiene e lo tratterrà finché sia tolto di mezzo”.
   Ma quando i nove decimi dell’Umanità respingono Colui che trattiene l’evolversi del mistero dell’iniquità sino a farsi, da mistero, realtà orrenda, con il nefando regno della Bestia che si proclamerà Dio pretendendo onori divini; ma quando già alla Bestia sono dati onori divini; ma quando è invocata ed evocata con riti osceni, per il suo onore; può Dio continuare a fare difesa contro l’avanzarsi del Serpente d’Abisso?
   E che nome Io darò ai riti osceni, alle orrende orge terminanti in copule sataniche nelle quali signore e sacerdote è lo stesso Satana?
   E che nome Io userò per chiamare col giusto nome questo peccato supremo, questa religione satanica, superiore in atrocità ad ogni più barbara religione antica o ancora esistente fra selvaggi?
   Qui non si immolano agli dèi i corpi di vittime innocenti, come un tempo a Moloc. Qui non si uccidono uomini civili per farne omaggio all’idolo selvaggio. Qui si immola l’Immolato, qui si colpisce l’Innocente, qui si dà in sacrificio all’Avversario l’Incarnato Figlio di Dio, vivente nel Ss. Sacramento col suo Corpo Sangue Anima e Divinità.
   Oh! come deve ridere del suo orrendo riso Lucifero, in queste sue epoche e ore di gloria! È - egli, il maledetto, il fulminato, lo scacciato da Dio - sul suo trono, su quel trono che gli uomini gli innalzano, e al suo orrendo dileggio è offerto l’Agnello, Colui che egli mai non vinse, Colui nel quale mai egli poté entrare, Colui che lo vinse cento e mille volte, e lo vince da venti secoli, e lo vincerà sino alla fine, liberando gli spiriti di buona volontà dalla sua potestà infame.
   Sarà vinto. Ma intanto ha una parvenza di vincitore. E il Sacramento dei sacramenti, questo mistero d’amore per il quale anche il più serafico amore d’uomo è sempre insufficiente a dargli il degno onore, è dato da uomini come mezzo a Satana per il suo effimero trionfo.
   Questo Paolo non lo conobbe. No. La misericordia di Dio gli tenne occulto questo peccato che fa fremere il Cielo tutto. E - ascoltate bene, o voi che col Cielo fremete d’orrore - e se coloro che profanano le Sacre Specie ignorassero che in esse è il Cristo vivo e vero, così come fu in Terra ed è in Cielo, se non credessero alla sua Presenza nelle Specie consacrate, a semplice atto di magia si ridurrebbero le loro pratiche. Ma essi sanno. E questo costituisce il loro peccato senza perdono.
   Non è applicabile per loro la preghiera del Redentore, perché essi “sanno ciò che fanno”. Non è applicabile la parola di Paolo - “Avendo conosciuto che la divinità, quale che sia pensata e creduta, premia i giusti e punisce i malvagi, perché un concetto di giustizia, anche se molto imperfetto, lo pensa ogni credente nella divinità che si è creata, o che conosce di essere vera ed unica, non compresero che chi fa tali cose è degno di morte” - perché essi comprendono, e ciononostante compiono la profanazione suprema.»