La breve storia di Sofia

Sofia Varvaro (Palermo 1941-Roma 1972) è stata una delle prime italiane a entrare nell’Opus Dei. Per seguire la chiamata di Dio, dalla Sicilia si è recata prima a Milano e poi a Roma, città nella quale nel 1964 ha contribuito all’apertura di una scuola alberghiera. Dalle sue numerose lettere, in buona parte indirizzate ai genitori, risalta la bellezza di una vita fondata sulla fede.

Sofia Varvaro, con gli occhiali, vicino a san Josemaría.

Sofia Varvaro è morta ancor giovane, il 26 dicembre 1972, a causa di un tumore. In occasione del 40° anniversario della sua morte, è stata organizzata a Roma una tavola rotonda sulla sua vita, con particolare riferimento al ruolo che ebbe agli inizi della scuola alberghiera Safi. Maria Gaspari, prima direttrice della scuola, e Jose Villa, prima responsabile dei servizi di base, hanno ricordato parecchi episodi riguardanti il lavoro di quei giorni esaltanti che hanno preceduto e poi seguito l’apertura di quel centro sociale di dimensioni allora inusitate: un piccolo gruppo di ragazze poco più che ventenni, armate soltanto della propria fede, alle prese con un’opera assai più grande di loro.

Per undici anni Sofia inviò ai genitori una media di due lettere al mese – allora si usava ancora scrivere lettere! –, nelle quali raccontava la sua vita quotidiana. Vi si possono leggere notizie di prima mano sulla scoperta della propria vocazione, sulla sua fede in Dio e sulla fiducia nei progetti che san Josemaría ispirava e suggeriva alle prime fedeli dell’Opera in Italia.

Sofia Varvaro, con gli occhiali, vicino a san Josemaría.

Dal momento in cui, a 17 anni, chiese di essere ammessa nell’Opus Dei come numeraria, Sofia si era dichiarata disponibile per qualsiasi necessità. Pur avendo conseguito il diploma di interprete, a 23 anni si era lanciata nell’avventura di avviare una scuola alberghiera.

La Safi è sorta per il desiderio, che Giovanni XXIII aveva manifestato al fondatore dell’Opus Dei, di aiutare i giovani dei quartieri periferici di Roma a prepararsi professionalmente per il futuro.

Copertina del libro che raccoglie la corrispondenza tra Sofia e i suoi genitori.

Nelle sue lettere Sofia racconta in ogni particolare gli inizi di questo sogno: e così, dopo che nei primi mesi tutte le giovani allora disponibili si adoperarono per rendere abitabile la nuova struttura, alcune di esse cominciarono a percorrere le regioni del centro Italia – Lazio, Abruzzo, Molise, Umbria, ma anche Sardegna… – per “pubblicizzare” la nuova scuola e incoraggiare le ragazze del luogo a iscriversi ai corsi che sarebbero cominciati in ottobre.

Inizialmente Sofia si assunse l’incarico della lavanderia, destinata alle necessità di ben 250 persone, perché alla scuola alberghiera si affiancava il Centro Elis, dove numerosi ragazzi di tutta Italia avrebbero frequentato i corsi di specializzazione nelle professioni manuali: elettricisti, saldatori, meccanici, orologiai, ecc. Va aggiunto che sia la Safi che l’Elis sono strutture residenziali, poiché ospitano studentesse e studenti fuori sede, e debbono assicurare loro ogni tipo di servizio di base.

Per farsi un’idea di quello che sarebbe stato il suo lavoro principale, Sofia andò a visitare la lavanderia più grande della capitale; ma quando poi arrivarono alla Safi e furono montate le nuove macchine e la lavanderia assunse il suo aspetto definitivo, Sofia scrisse apparentemente allarmata, ma anche con l’allegria e l’ironia che le erano congeniali: “Il locale suggerisce più che altro l’idea di una centrale atomica [...]. Non puoi immaginarti quanti rubinetti di acqua calda, fredda e depurata, quante manopole di vapore e quanti contatori bisogna controllare”. Dovette studiare molto per capire come funzionavano le varie macchine: “… due lavatrici enormi, due essiccatrici e una centrifuga”.

Arrivarono anche i mobili e le attrezzature di vario genere. Sofia ne parla in un’altra lettera: “Qui ogni cosa deve essere moltiplicata per 10: non bisogna trasportare 22 materassi ma 220, e così per tutto il resto”. Lo stesso valeva per le coperte, le sedie, ecc. In attesa che montino gli ascensori – scrive ancora –, “per trasportare lenzuola e asciugamani da un piano all’altro ci siamo sistemate lungo il percorso e ce le siamo lanciate, ottenendo un ottimo risultato e avendo persino l’illusione di fare ginnastica ritmica”.

Le macchine della lavanderia, agli inizi della Safi.

Il giorno più bello fu quando finalmente si ebbe la possibilità di celebrare “la prima Messa in casa, in una stanza trasformata in oratorio, perché quello definitivo non è ancora pronto”. Alla fine “… hanno lasciato il Signore. Questa naturalmente è la cosa più importante ed è anche il momento più emozionante quando si comincia in una casa nuova: accendere per la prima volta la lampada davanti a un nuovo Tabernacolo, sapendo che ormai non si spegnerà più [...]. Adesso la casa è centrata e tutto andrà come deve andare”. Così scrisse a sua madre.

Nel frattempo alcune delle alunne che frequentavano la scuola cominciarono a interessarsi della formazione cristiana offerta dall’Opus Dei. Alla fine di novembre fu organizzato per loro un primo ritiro spirituale; alcune partecipavano con Sofia alla messa infrasettimanale, altre cominciarono ad assistere alle lezioni di dottrina cattolica e non mancarono alcune che scoprirono la chiamata di Dio come numerarie ausiliari. La famiglia di Sofia cresceva.

Malgrado le difficoltà iniziali, Sofia scriveva alla cognata: “Comunque, a nessuno di noi dispiace vivere questi tempi, anzi il contrario; fra un po’ di anni tutto questo sarà qualcosa di molto importante, ma noi soltanto sapremo la bellezza degli inizi e le difficoltà dei primi tempi”.

Oggi la Safi è una realtà ampiamente sviluppata. È diventata un Istituto Professionale di servizi di Enogastronomia e Ristorazione. I suoi corsi, della durata di cinque anni, permettono di accedere in seguito all’università.

E Sofia guarda dal Cielo e sorride.