ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 26 marzo 2019

L’idea che tutti gli istinti sono buoni

IL PECCATO PIU' GRAVE


Il peccato più grave della contro-chiesa modernista. E' l'aver seminato e diffuso l’idea che tutti gli istinti sono buoni, proprio perché la natura umana sarebbe di per sé innocente: come se il destino umano si compisse quaggiù 
di Francesco Lamendola  

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La contro-chiesa modernista ha oscurato la vera Chiesa di Cristo, occupandone quasi tutti gli spazi visibili, in particolare le Conferenze episcopali, il collegio cardinalizio, i vertici degli ordini religiosi, i direttori della stampa e delle televisioni, e, da ultimo, perfino il soglio pontificio. Lo ha fatto in maniera silenziosa, astuta, metodica e prudente, almeno nella fase iniziale, diciamo dal conclave del 1958 al quello del 2013; a ritmo frenetico e senza più curarsi di nascondere le sue vere intenzioni, negli ultimi sei anni, cioè da quando la mafia di San Gallo, espressione diretta della massoneria ecclesiastica, ha portato al pontificato il signore argentino, con l’esplicito mandato di distruggere quel che ancora restava della ortodossia cattolica. 

E siccome gli uomini della contro-chiesa hanno occupato tutti gli spazi, tutti i pulpiti, tutti i microfoni e tutti i giornali, non c’è verso di udire altra voce che la loro; e se, per miracolo, filtra qualche voce di dissenso, qualche parola che rappresenta lo sgomento dei veri cattolici davanti a tanta desolazione, essi s’incaricano di calunniarla, disprezzarla, minimizzarla, stravolgerla, in modo che chi ha osato pronunciare quelle parole venga bollato come un nemico della Chiesa, oltre che, naturalmente, come un nemico dell’ecumenismo, del dialogo interreligioso, della pace e di chissà di che altro.

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Il peccato gravissimo, umanamente imperdonabile, che bisogna addebitare ai falsi preti della contro-chiesa modernista: è l'aver seminato e diffuso l’idea che tutti gli istinti sono buoni, proprio perché la natura umana sarebbe di per sé innocente: come se il destino umano si compisse quaggiù!

Padroni assoluti dei mezzi di comunicazione, oltre che dei vertici della Chiesa visibile, da essi usurpata, quei signori sono anche padroni del linguaggio: creano le parole o ne piegano il vero significato per contrabbandare, nel giardino della fede cattolica, le erbe velenose e i serpenti dell’eresia e della apostasia. Aggiornamento pastorale? Un cavallo di Troia per stravolgere l’insegnamento della vera Chiesa. Approfondimento della fede perenne? Un cavallo di Troia per storicizzare il Magistero, cioè per togliere la perennità all’insegnamento della Chiesa. Misericordia verso i peccatori? Un cavallo di Troia per sdoganare il peccato in se stesso, e per suggerire perfidamente l’idea che chi condanna il peccato odia anche il peccatore. E così via. La falsificazione del linguaggio si accompagna alla falsificazione e allo stravolgimento della liturgia. Da quando, nel 1969, è stata introdotta la nuova Messa, la Messa di Paolo VI, eliminando l’antica - con un gesto di per sé rivoluzionario, che mai alcun papa aveva osato compiere; infatti la cosiddetta Messa di Pio V non era di Pio V, nel senso che Pio V si era limitato a codificare e definire una forma liturgica già in uso ed estremamente antica – l’atmosfera, nelle chiese, non è più quella di prima: si è volatilizzata la trascendenza, la stessa spiritualità è diventata un optional, a discrezione del singolo sacerdote. Il tutto in un contesto di architettura, pittura e scultura “sacre” che di sacro hanno poco o niente, e con l’ausilio di una musica “sacra” che è semmai musica profana, quando non ci scappa il parroco o il vescovo con la chitarra che intonano canzonette d’amore, o il balletto davanti all’altare, magari da parte di gruppi etnici o di religiosi in vena di scaricare la loro adrenalina, e con la partecipazione dei fedeli bramosi di sfogare tutto il loro narcisismo e il loro esibizionismo. La desacralizzazione del sacro e la profanazione delle chiese parte da lì, dalla riforma liturgica culminata nella nuova Messa del 1969; è da lì che bisogna partire se si vuol capire come sia stato possibile che, oggi, la Comunità di Sant’Egidio trasformi la basilica di Santa Maria in Trastevere in una mensa popolare, o l’arcivescovo di Napoli trasformi il duomo partenopeo in una pizzeria, facendosi lui stesso pizzaiolo e cameriere. Ed è da lì che bisogna partire per capire le confessioni comunitarie, coi fedeli che si “confessano” in blocco davanti al sacerdote, senza bisogno di confessare ciascuno i suoi peccati; e il brutto spettacolo dei fedeli, suore comprese, che reclamano la Comunione in mano e piantano una grana se il sacerdote vorrebbe porgerla loro sulla lingua, perché non sono stati rispettati i loro diritti sindacali; per non parlare della profanazione della santa Eucarestia da parte di divorziati e risposati d’ambo i sessi, i quali, forti di quello sciagurato documento che è Amoris laetitia, §§ 304 e 305, nonché della solidarietà di preti modernisti e vescovi massoni, non si fanno alcun problema a ricevere il Corpo di Cristo pur vivendo oggettivamente e pubblicamente in stato di peccato mortale.

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 La desacralizzazione del sacro e la profanazione delle chiese parte da lì, dalla riforma liturgica culminata nella nuova Messa del 1969!

Tutte queste cose, e moltissime altre, sono ormai divenute pressoché normali, se “normale” indica una cosa estremamente frequente e quasi abituale; e tutte indicano come la strategia – perché di una strategia ben precisa si è trattato, e non di circostanze spontanee – sia stata quella di partire dalla cosiddetta riforma liturgica per modificare, con la scusa dell’aggiornamento, la pastorale, e infine per sostituire alla vera dottrina e alla vera morale cattoliche una dottrina e una morale che di cattolico non hanno più nulla, se non - abusivamente – il nome. Per esempio, ormai è divenuto normale, sempre nel senso sopra indicato, che nelle chiese si tengano delle veglie di preghiera contro l’omofobia, ossia contro i buoni cattolici che hanno il torto di ricordare l’autentico Magistero e l’autentico catechismo riguardo alla pratica omosessuale: sicché si direbbe che il vero peccato, per la contro-chiesa, non sia la sodomia, ma la condanna della sodomia.

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Dei ballerini indu' in esibizione artistica: la Chiesa di Cristo è diventata, oggi la casa di tutte le altre confessioni . . .  tranne che dei Cattolici !

E tuttavia, c’è un peccato ancor più grave di tutti questi peccati, e che, in un certo senso, li compendia, li prepara, li spiega e li giustificata; ed è di questo peccato che vogliamo parlare, e indicarlo all’attenzione di quanti hanno ancora a cuore il destino della vera Chiesa di Cristo, oscurata e sfigurata dalla contro-chiesa del signor Bergoglio e dei suoi servitori e camerlenghi. Si tratta dell’aver eliminato la differenza morale che esiste, nella vera concezione cattolica, fra la vita di fede e la vita del mondo. Il cristiano - si sa - è, dal punto di vista materiale, anche un cittadino del mondo; ma dal punto di vista spirituale, è un membro della Chiesa e perciò, automaticamente, un miles Christi, un soldato di Cristo. Le sue armi sono la preghiera e i Sacramenti; la sua battaglia, quella per il Regno di Dio; il suo nemico, il diavolo, e specialmente le sue strategie di peccato. Il cristiano ha una doppia cittadinanza: ma è la cittadinanza celeste che lo caratterizza, e che, da quando egli ha ricevuto il Battesimo, ne fa un eletto, un chiamato; la cittadinanza terrena vale quello che vale: un certo numero di anni, dopo di che bisogna lasciar tutte le cose umane e ritornare alla terra, perché polvere siamo ed in polvere ritorneremo. Tale gerarchia fra le due cittadinanze, con la chiara superiorità della cittadinanza celeste, soprannaturale, rispetto a quella terrena e naturale, era esplicita e fortemente sentita fino al tempo dello sciagurato Concilio Vaticano II. La Chiesa, il clero, il Magistero, il catechismo, e anche le buone famiglie cattoliche, anzi queste con non minore autorevolezza del clero, facevano in modo che il bambino crescesse con la chiara percezione che esiste una distinzione fra le due cose, fra la cittadinanza terrena e quella ultraterrena, e che non perdesse mai di vista la prima; non si dimenticasse mai che l’obiettivo è restar fedeli alla prima, non alla seconda. I piaceri terreni passano, subentra la delusione, subentra l’amarezza, e infine subentra la morte; ma la beatitudine dell’anima che è in grazia di Dio non passa, non invecchia, non diviene mai obsoleta; e vi è una differenza di grado, ma non di segno, fra la beatitudine terrena e quella ultraterrena, perché chi vive in grazia di Dio è già, in un certo senso, in Paradiso, anche quaggiù, in questa valle di lacrime, in questo pellegrinaggio terreno, cosparso di pene e di difficoltà. Non si trattava e non si tratta di una doppia morale: la morale è una, ed è quella cristiana; si tratta, se vogliamo, di una psicologia articolata, perché il buon cattolico sa godere, in maniera lecita e responsabile, delle cose terrene, e anche delle legittime gioie terrene, ma non ne abusa, non se ne fa prendere la mano, non ne diventa schiavo, non si scorda mai di quel è il vero fine della sua vita: tornare a Dio, e tornarci con l’anima pulita. Perciò il vero fedele ha, in se stesso, una nobile e costante tensione interiore, che lo aiuta a superare le tentazioni che continuamente la vita profana gli presenta, e di cui è scellerata maestra la civiltà moderna. Il vero cristiano si riconosce proprio da ciò: dal fatto che qualsiasi cosa faccia o dica, mai si scorge in lui l’avidità delle cose, la brama del possesso, la sregolatezza dei sensi; mai lo si vede dimentico della vera meta della vita umana; mai lo si vede schiavo delle logiche del mondo, dominate dalla sensualità, dall’ambizione, dall’avidità e dalla superbia. Ebbene la Chiesa pre-conciliare, fedele alla sua missione due volte millenaria, questa tensione spirituale e morale la teneva costantemente viva, partendo dall’educazione dei fanciulli nella più tenera età; e i genitori, ripetiamo, insieme ai nonni e agli altri parenti, cooperavano con il clero nell’indirizzare il bambino verso un tale orientamento di vita, in cui l’importante è conoscere, amare e servire Dio, disprezzare i piaceri inferiori e puntare alla realizzazione spirituale della propria persona, illuminata dall’insegnamento e dall’esempio di Cristo, e sostenuta dalla costante fede nelle Sue promesse e nella Sua redenzione. Ma adesso?

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Vescovi canterini: qui mons. Antonio Stagliano' 


Il peccato più grave della contro-chiesa modernista

di Francesco Lamendola

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