“Mai avrei pensato di provare tanta perplessità…”

Ho ricevuto da un sacerdote questa lettera.

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Sono un sacerdote della diocesi di Genova e non avrei mai pensato di arrivare a nutrire così grande perplessità verso colui che siede sulla cattedra di Pietro. Ho sempre pensato al papa come a un riferimento inamovibile nel mio essere cristiano. Chi come me è cresciuto con Giovanni Paolo II ha visto nei pontefici  grandi esempi di fede vissuta nel concreto e nella santità.

Ho accolto con dispiacere le dimissioni di papa Benedetto XVI. Non usava mai parole a caso, era sapiente, mi aiutava a elevarmi verso il trascendente: un uomo di Dio.

L’elezione dell’arcivescovo di Buenos Aires l’ho vissuta senza pregiudizi: non lo conoscevo, e poi d’altronde il papa è il papa.

Per mesi ho ascoltato con interesse le sue parole, vedendo in lui una semplicità che mi faceva dire: “Considerata la sua capacità di entrare nel cuore della gente, la sua sensibilità verso chi soffre,  riuscirà forse a essere più incisivo nell’annuncio di Cristo e delle verità della fede, in modo da svegliare i popoli occidentali da questa anestesia delle coscienze”.

Giorno dopo giorno però ho incominciato a  percepire un crescendo di ambiguità molto sottile. Notavo nei suoi messaggi qualcosa di distorto. Inizialmente non ho capito bene, ma era come dalle sue parole, dalle sue battute, dalle sue interviste emergesse uno sguardo tutto orizzontale sulla vita, con esclusione del piano verticale e del giudizio di Dio e con un disprezzo ben poco misericordioso verso chi ha altre opinioni.

Oggi devo dire che nella Chiesa cattolica mi sento quasi in una religione diversa da quella in cui sono stato cresciuto da bambino. L’ossessione per i temi sociali è insopportabile. Sembrano dimenticati i grandi santi della carità, per i quali l’attenzione al fratello nasceva dalla contemplazione e dall’adorazione di Cristo.  Gli appelli di  Bergoglio suonano come quelli di un politico. La Chiesa “in uscita” e “ospedale da campo” è vista come un’agenzia di servizi sociali.

Francamente, pur condividendo l’importanza dell’assistenza ai poveri e ai bisognosi, una Chiesa così non mi attira, non è la comunità dei salvati da Cristo.

Resto colpito poi dall’ambiguità sui temi della famiglia. A volte i discorsi del papa sembrano belli ma poi, ripensandoci, mi accorgo che non trasmettono una visione chiara. La stessa Amoris letitiae a che cosa ha portato? Gran confusione. In concreto oggi tutti fanno quello che vogliono, mettono l’uomo al primo posto e dimenticano il comandamento divino.

Questa confusione, questa poca chiarezza, è inquietante: sembra voluta. Ma perché?

Nella fede io cerco chiarezza, solidità. Cerco la salvezza. Ma oggi sembra che il papa ci dica che basta fare un po’ di bene all’altro e per il resto va bene tutto. Non c’è più l’annuncio di Cristo come unico salvatore, non c’è più il richiamo alla vita eterna e alle cose del cielo.

Mai avrei pensato di provare tanta perplessità verso la figura del successore di Pietro, ma francamente non lo capisco, mi sento smarrito. Vado avanti perché senza il Signore la vita è solo disperazione e cerco di restare fedele a quel depositum fidei bimillenario che non può essere cancellato. Mi nutro con le vite dei santi, ascolto le parole di Maria nelle apparizioni che richiamano al senso verticale della vita. E confesso con dolore che nella Messa fatico a pronunciare il nome del nostro papa. Fatico a vederlo in tv e quando le persone mi chiedono di lui cerco di cambiare argomento. Mi opprime il pensiero che colui che dovrebbe essere la guida della Chiesa in terra per me è solo un ostacolo che oramai preferisco evitare.

Dove ci sta conducendo il successore di Pietro? Dove vuol condurci questa Chiesa che non indica il peccato mortale e non ci aiuta a evitarlo? Che cosa ci vuol dire quando dimentica di affermare che Cristo è l’unico salvatore e che le religioni non sono tutte uguali? Ci vuol portare in paradiso o altrove?

Un prete

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