La paziente rivoluzione di Francesco

Su omosessualità e divorzio nel sinodo è mancato l'accordo, ma alla fine a decidere sarà il papa. E i cambiamenti che vuole introdurre li ha già in mente, anzi, li mette già in pratica. Un commento di Paul Anthony McGavin

di Sandro Magister




ROMA, 24 ottobre 2014 – Non è vero che Francesco sia stato zitto, nelle due settimane del sinodo. Nelle omelie mattutine a Santa Marta martellava ogni giorno gli zelanti della tradizione, quelli che caricano sugli uomini fardelli insopportabili, quelli che hanno solo certezze e nessun dubbio, gli stessi contro cui si è scagliato nel discorso di congedo con i padri sinodali.

È tutto tranne che imparziale, questo papa. Ha voluto che il sinodo orientasse la gerarchia cattolica verso una nuova visione del divorzio e dell'omosessualità e ci è riuscito, nonostante il numero risicato dei voti favorevoli alla svolta, dopo due settimane di discussione infuocata.

In ogni caso sarà lui alla fine a decidere, ha ricordato a cardinali e vescovi che ancora avessero qualche dubbio. Per rinfrescare la loro memoria sulla sua potestà "suprema, piena, immediata e universale" ha messo in campo non qualche raffinato passaggio della "Lumen gentium" ma i canoni rocciosi del codice di diritto canonico.

Sulla comunione ai divorziati risposati si sa già come il papa la pensi. Da arcivescovo di Buenos Aires autorizzava i "curas villeros", i preti inviati nelle periferie, a dare la comunione a tutti, sebbene i quattro quinti delle coppie neppure fossero sposate. E da papa non teme di incoraggiare per telefono o per lettera qualche fedele passato a seconde nozze a prendere tranquillamente la comunione, subito, senza nemmeno quei previ "cammini penitenziali sotto la responsabilità del vescovo diocesano" prospettati da qualcuno nel sinodo, e senza nulla smentire quando poi la notizia di questi suoi gesti trapela.

I poteri assoluti di capo della Chiesa, Jorge Mario Bergoglio li esercita anche così. E quando preme affinché l'insieme della gerarchia cattolica lo segua su questa strada sa benissimo che la comunione ai divorziati risposati, numericamente poca cosa, è il varco per una svolta ben più generalizzata e radicale, verso quella "seconda possibilità di matrimonio", con conseguente scioglimento del primo, che è ammessa nelle Chiese ortodosse d'oriente e che lui, Francesco, già poco dopo la sua elezione a papa disse "si debba studiare" anche nella Chiesa cattolica, "nella cornice della pastorale matrimoniale".

Era il luglio del 2013 quando il papa rese pubblica questa sua volontà. Ma in quella stessa intervista sull'aereo di ritorno dal Brasile egli aprì il cantiere anche sul terreno dell'omosessualità, con quel memorabile "chi sono io per giudicare?" universalmente interpretato come assolutorio di atti da sempre condannati dalla Chiesa ma ora non più, se compiuti da chi "cerca il Signore e ha buona volontà".

Nel sinodo una svolta in questa materia non ha avuto vita facile. È stata invocata in aula da non più di tre padri: dal cardinale Christoph Schönborn, dal gesuita Antonio Spadaro, direttore del "La Civiltà Cattolica", e dall'arcivescovo malese John Ha Tiong Hock.

Quest'ultimo si è appoggiato su un parallelo fatto da papa Francesco tra il giudizio della Chiesa sulla schiavitù e quello sulla concezione che l'uomo d'oggi ha di sé, omosessualità compresa, per dire che come il primo è cambiato così può mutare anche il secondo giudizio.

Mentre padre Spadaro ha portato l'esempio fatto dal papa di una bambina adottata da due donne, per sostenere che bisogna trattare queste situazioni in modo positivo e nuovo.

Per aver poi inserito nel documento di lavoro di metà discussione tre paragrafi che incoraggiavano la "crescita affettiva" tra due uomini o due donne "integrando la dimensione sessuale", l'arcivescovo Bruno Forte, voluto dal papa segretario speciale del sinodo, è stato sconfessato in pubblico dal cardinale relatore, l'ungherese Péter Erdõ. E la successiva discussione tra i padri sinodali ha fatto a pezzi i tre paragrafi, che nella "Relatio" finale si sono ridotti a uno solo e senza più un briciolo di novità, nemmeno superando il quorum dell'approvazione.

Ma anche qui papa Francesco e i suoi luogotenenti, da Forte a Spadaro all'arcivescovo argentino Víctor Manuel Fernández, hanno centrato l'obiettivo di far entrare questo tema esplosivo nell'agenda della Chiesa cattolica, ai suoi più alti livelli. Il seguito si vedrà.

Perché la rivoluzione di Bergoglio procede così, "a lunga scadenza, senza l'ossessione dei risultati immediati". Perché "l'importante è iniziare i processi più che possedere spazi". Parole della "Evangelii gaudium", programma del suo pontificato.

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Questa nota è uscita su "L'Espresso" n. 43 del 2014, in edicola dal 24 ottobre, nella pagina d'opinione dal titolo "Settimo cielo" affidata a Sandro Magister.

Ecco l'indice di tutte le precedenti note:

> "L'Espresso" al settimo cielo

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Il discorso di Francesco a chiusura del sinodo, con la riaffermazione dei suoi poteri assoluti di capo della Chiesa:

> Discorso del Santo Padre

> Il testo integrale della "Relatio" finale:

> Relatio Synodi

E quello della "Relatio" prodotta a metà discussione:

> Relatio post disceptationem

L'intervento in aula del direttore de "La Civiltà Cattolica":

> Intervento di p. Antonio Spadaro S.I.

Il soddisfatto bilancio del sinodo espresso sul quotidiano argentino "La Nación"  dall'arcivescovo Víctor Manuel Fernández, l'amico e confidente più stretto di papa Francesco:

> "El Papa espera más apertura de los obispos"

A una domanda dell'intervistatrice Elisabetta Piqué sul "deludente" paragrafo finale sull'omosessualità Fernández ha risposto:

"Il fatto che questo breve paragrafo non abbia raggiunto i due terzi non si spiega per un voto negativo dei settori conservatori, bensì anche per un voto negativo di alcuni vescovi più sensibili al tema, che non sono rimasti soddisfatti con il poco che si è detto. […] Probabilmente ci è mancata la volontà di dire con papa Francesco: 'Chi siamo noi per giudicare i gay?'. Ma molte cose potrebbero maturare meglio col tempo, perché questa era soltanto una prima tappa di esplorazione".

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Una conferma che nel cantiere aperto dal sinodo i lavori non si sono affatto interrotti è data dal moltiplicarsi dei commenti. Molti dei quali appaiono già proiettati verso la sua seconda e ultima sessione, nell'ottobre del 2015.

Tra i commenti più originali c'è questo di padre Paul Anthony McGavin, un teologo australiano che i lettori di www.chiesa hanno potuto apprezzare per un paio di suoi precedenti interventi.

McGavin non è un "fan" di Bergoglio, al quale non risparmia critiche. Ma condivide in pieno il modo con cui l'attuale papa considera la tradizione della Chiesa come un organismo vivente, non fissato una volta per sempre, e agisce di conseguenza.

Ecco qui di seguito un passaggio del commento del teologo australiano.

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TO DEFEND WHAT POPE FRANCIS IS DOING

by Paul Anthony McGavin



[…] It might surprise readers who tend toward a fixed-tradition position to hear me say that personally I am not attracted to the present Holy Father.

I think he needs to step out of his Latin American emotivism. I think he needs to step out of his Jesuit authoritarianism. There are things in his first sole-authored major writing as Pope, "Evangelii gaudium", that I think are unsustainable.

Yet, as I wrote in my critical appreciation of that Apostolic Exhortation, Jorge Bergoglio in important respects brings an acute and essential methodology to the problems of the Church in our era.

This methodological perspective involves a critical approach to the manners of thinking that the Pope in his Closing Synod Address names as “do-gooders” and “progressives and liberals”.

It also involves critical approach to the manners of thinking that he names as “traditionalists” or who name themselves as “traditionalists”.

It is not a "via media" of compromise that is commended. It is a dialogue in truth that is needed, and a dialogue that comprehends how differing syntaxes in thought, differing cultures in thought, differing contexts in thought may be made and can be made integral to the tradition that derives from the past: the “unchanging Gospel”. […]

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Il testo integrale del commento di Paul Anthony McGavin è in quest'altra pagina di www.chiesa:

> Discerning the Bergoglio mission to revivify Catholic tradition



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24.10.2014 

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