«Quattro anni di Bergoglio basterebbero per cambiare le cose...», sussurra un porporato amico di lunga data dell’arcivescovo di Buenos Aires. C’è il nome di un cardinale che non entra nelle rose dei «papabili» di questi giorni, a motivo della sua età: quello del settantaseienne gesuita Jorge Mario Bergoglio, di origini torinesi, arcivescovo della capitale argentina. Il candidato che alla terza votazione del rapidissimo conclave del 2005 ottenne una quarantina di consensi risultando il candidato più votato dopo Ratzinger. Negli ultimi anni il suo prestigio si è accresciuto nella Chiesa latinoamericana e anche all’interno del collegio cardinalizio. Non è escluso che possa ancora raccogliere dei voti, ma certamente sarà una delle figure chiave destinate ad avere peso nelle congregazioni generali e sul conclave. Nella sua diocesi, già da tempo la Chiesa va nelle strade, nelle piazze, nelle stazioni per evangelizzare e amministrare i sacramenti.

«Tutta l’attività ordinaria della Chiesa si è impostata in vista della missione - ha detto Bergoglio parlando dell’evangelizzazione - Questo implica una tensione molto forte tra centro e periferia, tra la parrocchia e il quartiere. Si deve uscire da se stessi, andare verso la periferia. Si deve evitare la malattia spirituale della Chiesa autoreferenziale: quando lo diventa, la Chiesa si ammala. È vero che uscendo per strada, come accade a ogni uomo e a ogni donna, possono capitare degli incidenti. Però se la Chiesa rimane chiusa in se stessa, autoreferenziale, invecchia. E tra una Chiesa accidentata che esce per strada, e una Chiesa ammalata di autoreferenzialità, non ho dubbi nel preferire la prima».

In occasione del concistoro del febbraio 2012, celebrato nel pieno della bufera dei vatileaks, Bergoglio aveva affermato che il «peccato peggiore nella Chiesa» è «l’atteggiamento della mondanità spirituale», nel quale rientrano anche «il carrierismo e la ricerca di avanzamenti». A lui potrebbero guardare coloro che si augurano un significativo cambio di passo.

Della possibilità di eleggere un candidato proveniente dall’America Latina ha parlato il cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio consiglio per i testi legislativi: «A mio parere è giunto il momento di guardare anche fuori dall’Italia e dall’Europa e in particolare di considerare l’America Latina». I questa direzione potrebbero orientarsi anche porporati che sono stati nunzi apostolici in quei Paesi, come il presidente del Governatorato Giuseppe Bertello e il prefetto della Congregazione delle Chiese orientali Leonardo Sandri. Ma anche curiali navigati ormai emeriti come Giovanni Battista Re. Uno dei nomi che viene fatto con maggiore frequenza è quello dell’arcivescovo di San Paolo del Brasile, Odilo Pedro Scherer, 63 anni, un prelato che non ha - e questo potrebbe non giovargli - un carattere «latino» e brasiliano. Dal 1994 al 2001 è stato officiale della Congregazione dei vescovi. E oggi è inserito nelle commissioni cardinalizie che sovrintendono lo Ior e gli affari economici e finanziari della Santa Sede. Un altro possibile candidato dell’aerea geografica latinoamericana è l’arcivescovo di Guadalajara, il messicano José Francisco Robles Ortega, 64 anni. Ma i cardinali elettori dell’America Latina voterebbero per un loro connazionale? È possibile che alcuni di loro dirigano le preferenze verso altri candidati, come ad esempio il canadese Marc Ouellet, che ha abitato per molti anni in Sudamerica.

Per quanto riguarda invece i «papabili» europei, nei pourparler si consolidano, in vista delle prime votazioni, le posizioni dell’arcivescovo di Milano Angelo Scola, 71 anni, e dell’arcivescovo di Budapest Peter Erdö, 60 anni.

Un elemento comune che emerge è la voglia di un cambiamento di rotta, innanzitutto nella gestione della Curia romana, ma non solo. In quale direzione attuarlo, sarà oggetto delle discussioni nelle congregazioni generali che iniziano lunedì. La settimana prossima sarà decisiva per sapere quale Papa uscirà dal conclave.

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