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Vittorio Feltri, Becciu e il documento "dimenticato" che lo scagiona: "Papa Francesco lo sapeva?"

Vittorio Feltri
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C'è una carta-bomba firmata dal cardinale Pietro Parolin, numero due del Papa, che assolve il cardinale Angelo Becciu, il numero 3. Dice che Becciu poteva spendere dove, come e quanto volesse i denari depositati. Una totale liberatoria. Fa cascare la colonna portante dell'accusa. E che cioè Becciu avesse ingannato il Papa, il povero Parolin (che infatti si è costituito parte civile) e soprattutto i poveri per i bisogni immediati dei quali doveva essere speso il tesoretto della Segreteria di Stato dove confluisce l'Obolo di San Pietro che raccoglie le elemosine dei fedeli. In una solenne dichiarazione alla direzione del Crédit Suisse, dove giacevano i fondi, il Segretario di Stato, primo ministro della Santa Sede, citando espressamente Becciu, scrive il 21 dicembre 2016: «Non sussiste limitazione alcuna per quanto attiene all'utilizzo del credito summenzionato». Insomma: va bene quindi investirli per il palazzo di Londra... I promotori di giustizia (pm) del Vaticano l'hanno avuta tra le mani, ma invece di benedirla, usarla come arma di accusa contro Parolin, se mai avesse tradito il Numero 1, o quale prova di buona fede di Becciu, l'hanno sepolta. Libero l'ha ritrovata tra le 29mila pagine degli atti depositati in vista del processo del 27 luglio, il primo nella storia della Città-Stato che veda alla sbarra un principe della Chiesa.

 

 

 

 




TOGHE E OMISSIONI - I magistrati inquirenti, tanto più quelli che in questa storiaccia adempiono anche al ruolo di giudici istruttori, avrebbero l'obbligo di valorizzare non solo quel che giova all'accusa ma anche quel che rischia di smontarla, perché il loro scopo dovrebbe essere la ricerca della verità. Ma forsesono un po' tradizionalista, per la Chiesa del nuovo millennio. Magari come il giudice Baumgartner di Londra, il quale aveva avvisato il mondo che le toghe della Santa Sede in quest' inchiesta stavano procedendo inanellando «omissioni», «distorsioni» e «travisamenti» pur di averla vinta. E dunque, com' è potuto accadere che di quella carta firmata e timbrata non ci sia sentore nel poderoso e pignolo mattone di circa 500 pagine dal quale ogni giorno i vari giornali estraggono carinerie contro Becciu? Distrazione? Negligenza? Malizia? Ci sarà pure qualcuno che possa dare spiegazioni. Per capire la portata clamorosa della pagina vidimata in alto loco, è necessario riferire per estrema sintesi i capi d'accusa (e le argomentazioni per sostenerli) contenuti nelle 488 pagine della sentenza-ordinanza di rinvio a giudizio (in vaticanese «richiesta di citazione») nei confronti del prelato detto don Angelino, nativo di Pattada, diocesi di Ozieri, Sardegna. I crimini dei quali si sarebbe macchiato il porporato, defenestrato da papa Bergoglio il 24 settembre del 2020, sono peculato e abuso di ufficio. La vicenda cardine è, come noto, quella del palazzo di Sloane Avenue 60 a Chelsea (Londra). Non sto a discutere se l'investimento in questo immobile sia stato un affare o no, non capisco lo stracciarsi le vesti però: constato che puntare sul mattone è una tradizione ecclesiastica. Il Vaticano, secondo dati ufficiali forniti dall'Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica (Apsa), possiede 4.041 tra appartamenti, terreni, palazzi e, suppongo, garage. Becciu avrebbe illegalmente disposto dei denari giacenti sui conti vaticani. Erano, secondo i pm, destinati esclusivamente ai bisognosi. Invece il Sostituto della Segreteria di Stato (vice primo ministro e ministro dell'Interno) ci avrebbe voluto speculare, comprando una dimora lussuosa del valore di centinaia di milioni di sterline. Per rubare? Questa l'ipotesi successiva dei pm. Ma sono rimasti con ragnatele e pinzillacchere in mano. Infatti, pur avendo esplorato in lungo ein largo, i segugi della Gendarmeria papale coadiuvati dalla Guardia di finanza italiana non hanno trovato un soldo riferibile al cardinale in alcun anfratto bancario del mondo. Hanno perciò dovuto ripiegare sulle quisquilie, inchiodando maldestramente Becciu ad alcuni lavori di falegnameria affidati al fratello artigiano per sedi delicate quali le nunziature dell'Angola e di Cuba, ed eccependo su versamenti a dei poveri sì, ma con il torto di essere sardi e pure della diocesi di origine di don Angelino, dove la Caritas conta tra i suoi collaboratori un altro suo fratello. Ed ecco che l'impianto accusatorio si liquefà, dato che si regge sulla colonna che Parolin con la sua dichiarazione demolisce. Infatti tutto nasce dalla denuncia del revisore generale dei conti del Vaticano, Alessandro Cassinis Righini, in sostanza il capo dell'anticorruzione d'Oltretevere, secondo cui il peccato originale di Becciu sta nell'aver usato i soldi dell'Obolo di San Pietro senza rispettare il «vincolo di destinazione» di quei soldi in opere caritatevoli. Falso. Attestato nero su bianco dallo stesso Parolin. Che poi ci sia stato del marcio in quella storia di Londra è un'altra questione, anch' essa tutta da provare.

 

 

 

 




ILLEGALITÀ CONCLAMATA - E qui c'è un altro problema. C'è un'affermazione incredibile, una specie di confessione pubblica di illegalità conclamata, nelle 488 pagine firmate dai promotori di giustizia (?). A pagina 29 si legge: «Con l'avvio dell'indagine, stante la sua complessità, il Santo Padre, con apposito provvedimento in data 5-7-2020, autorizza l'Ufficio del Promotore di Giustizia ad adottare, sino alla conclusione delle indagini, le forme della istruzione formalee ad assumere, ove necessario anche in deroga alla disposizioni vigenti, qualunque tipo di provvedimento di natura cautelare nelle attività di accertamento dei fatti collegati alle denunce dello Iore del Revisore Generale». Riscrivo perché non ci credo: il Papa autorizza «in deroga alla disposizioni vigenti, qualunque tipo di provvedimento di natura cautelare». Cioè ha dato «carta bianca» agli inquisitori, in deroga a tutto il diritto codificato. Non credo sia mai accaduto nella storia, nemmeno ai tempi della Santa Inquisizione. È un unicum che pone la giurisdizione vaticana in contrasto con i più elementari principi di certezza del diritto. Quando i magistrati italiani e inglesi e i nostri finanzieri hanno agito, sono stati informati dell'abrogazione dell'habeas corpus deciso dal Papa? Ma - soprattutto - il Papa lo sapeva?


 

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