AVVENTO – La “gioiosa-tristezza” del Natale e i doni della piccola Teresa di Liseaux

di Corrado Gnerre


C’è un detto di Teologia Spirituale che dice che non bisogna fare del Natale un Venerdì Santo né un Venerdì Santo un Natale. Che vuol dire che per ogni tempo bisogna assumere i giusti atteggiamenti spirituali: un conto è la contrizione del Venerdì Santo, altro la gioia del Natale.

Quando si scambiano le due cose bisogna stare molto attenti, perché il demonio ci gioca su queste cose… eccome se ci gioca.

Detto questo, c’è però da aggiungere dell’altro. Ovvero che il compito del cristiano è quello di conformarsi totalmente alla volontà di Dio. Se Dio permette momenti di desolazione nei giorni in cui è giusto gioire, bisogna accettare ciò che Dio permette e trovare la “gioia” e la “pace” conformandosi totalmente a ciò che Lui vuole.

E’ quindi possibile che nei giorni di Natale ci si possa sentire tristi, provati, desolati, ma non per questo non si deve essere “gioiosi”.

Non si tratta solamente di apparire tali (anche questo), bensì di capire che offrendo al Signore la tristezza si fa la Sua Gioia. Non si ha gioia, ma, accettando questo stato d’animo e offrendolo a Lui, si fa la Sua Gioia. E questo diviene anche la propria “gioia”. Sembra un giocare con le parole, ma non è così. E’ tutto perfettamente logico, sapiente e vero.

D’altronde qual è la vera gioia cristiana? Non certo l’alternativa ad ogni sofferenza (questa, quando arriva, arriva), bensì l’alternativa alla disperazione, cioè il dover soffrire senza un perché, senza un motivo, senza un Qualcuno a cui poter offrire le proprie angustie.

C’è un episodio di Santa Teresina di Liseux che può dirci molto.

Era la mattina di Natale del 1886 e Teresa aveva 13 anni. Ella era molto sensibile, piangeva per poco. Aveva involontariamente sentito dire dal babbo che con quell’anno sarebbe finita la tradizione di mettere i regali nelle calze. L’anno successivo le figliuole sarebbero state tutte grandi perché potesse continuare quel “rito” familiare. Teresa, a quelle parole, si rattristò molto. Sapeva che andando a prendere i regali nella calza sicuramente avrebbe pianto, ma volle prenderli ugualmente. Scrive nella sua Autobiografia:

“Teresa non era più la stessa ragazza. Gesù l’aveva cambiata. Repressi le mie lacrime, scesi di sotto e presi le mie scarpe. Tirai fuori i miei regali ostentando grande gioia. Papà rise e Céline pensò di sognare… L’amore riempiva il mio cuore, avevo dimenticato me stessa e quindi ero felice.”

Teresa aveva capito che era emersa dall’infanzia, ma attenzione: da quel tipo d’infanzia, non dall’infanzia come giusto atteggiamento. Infatti, cosa aveva fatto sì che la piccola Teresa non piangesse? Il desiderio di accettare il tempo come “dono”. Dio adesso voleva che Teresa non fosse più legata ai regali nella calza. E così, ella decise di rinnovare quello stesso stato di animo infantile e indirizzarlo verso il più grande dono che possa esistere: la compagnia di Colui che è il Signore dell’universo intero.

Si trattava di un dono incommensurabilmente più grande dei doni che si sarebbero potuti trovare nella calza di Natale.


Dio è Verità, Bontà e Bellezza

Il Cammino dei Tre Sentieri

 

 

 

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