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venerdì 16 febbraio 2024

Israele, emergono i possenti resti del campo della VI Legio Ferrata

Israele, gli scavi della base militare romana
(Foto: stilearte.it)

I resti architettonici di una possente base militare romana di 1800 anni fa, sono stati scoperti in un recente scavo condotto dall'Autorità per le antichità israeliane ai piedi di Tel Megiddo, vicino all'antico villaggio di Kfar Othanay (il greco Capercotnai). Le strutture portate alla luce appartenevano al comando della Legio VI Ferrata, così chiamata per le armature e per le protezioni pesanti che portavano i soldati. Un'unità militare corazzata.
Lo scavo è stato diretto da Yotam Tepper e Barak Tzin e finanziato dalla Netivei Israel National Infrastructure Company. Nel corso dell'indagine archeologica sono stati scoperti estesi e impressionanti resti architettonici della via Pretoria (la strada principale del campo), oltre ad un podio a forma semicircolare e aree pavimentate in pietra che facevano parate di un grande edificio pubblico monumentale.
Quella della VI Legione è l'unica base militare romana di queste dimensioni che è stata localizzata e scoperta in Israele. Una cittadella militare costruita come una "piccola Roma". 
"Il campo della VI Legio romana fu una base militare permanente per oltre 5.000 soldati romani per più di 180 anni, dal 117-120 al 300 d.C. circa. - Ha affermato il Dottor Yotam Tepper, direttore degli scavi. - Due strade principali si incrociano al centro del campo. Una ha 550 metri di lunghezza, l'altra, che segna la larghezza del campo stesso, è di 350 metri. All'incontro tra le due strade sono stati eretti gli edifici di comando (e fu stabilito l'umbilicus). Fu da questo punto base che tutte le distanze lungo le strade imperiali romane fino alle principali città del nord del Paese, furono misurate e segnate con pietre miliari. Gli antichi resti dell'edificio non furono conservati in altezza poiché la maggior parte delle pietre da costruzione furono rimosse, nel corso del tempo, per essere riutilizzate in progetti edilizi realizzati durante il periodo bizantino e primo islamico".
Il Dottor Tepper ha sottolineato che la scoperta della base legionaria non è stata accidentale, poiché nell'ultimo decennio sono stati condotti sondaggi e sei stagioni di scavi archeologici nell'ambito di un progetto di ricerca geografica-storica congiunto diretto dal Dottor Tepper e dal Dottor Matthew J. Adams, nell'ambito del Jezreel Valley Research Project, realizzato per conto dell'Albright Institute of Arcaheology di Gerusalemme.
Sondaggi preliminari dell'area del campo hanno indicato che l'intera base romana e tutti i suoi componenti erano alla base degli attuali campi di grano del kibbutz Megiddo. "Il contributo unico dei risultati di questo progetto di ricerca risiede nella rarità di tali scoperte archeologiche. - Ha affermato il Dottor Tapper. - Ciò che è stato portato alla luce è notevole. Fino ad oggi i campi militari romani conosciuti in Israele sono campi d'assedio temporanei o piccoli accampamenti di divisioni ausiliarie. Nessuno è paragonabile all'intero complesso della base legionaria. Fonti storiche e alcune informazioni parziali indicano l'esistenza di una base legionaria romana permanente della X Legio Fratensis a Gerusalemme, ma il campo rimane da scoprire".
Nello scavo sono state portate alla luce monete, parti di armi, frammenti di ceramica e frammenti di vetro. E tegole, trovate in enormi quantità. Le tegole del tetto, alcune delle quali recano i timbri della VI Legione, furono utilizzate per vari scopi. Oltre che per i tesse, vennero usate per la pavimentazione delle stanze e per il rivestimento delle pareti.
La Legio VI Ferrata - che dal 193 d.C. fu chiamata Legio VI Ferrata Fidelis Constans Felix - aveva radici antiche. Fu adonata nell'agosto del 47 a.C. da Cesare, nelle province della Gallia Cisalpina e dell'Illirico. Deve il suo nome al pesante armamento metallico dei soldati e, - nell'estensione più tarda del suo nome stesso - alla fedeltà verso l'imperatore Settimio Severo. La legione aveva come simbolo un toro, non disgiunto dalla presenza dell'effigie della Lupa Capitolina.
La VI Ferrata aveva svolto un ruolo notevolissimo nella battaglia di Zela (47 a.C.), in Turchia, combattuta contro Farnace II, figlio di Mitridate VI re del Ponto, che era dilagato in Armenia manifestando altre mire espansionistiche. La Legio si scontrò anche con i soldati di Pompeo in Hispania, poi fu al seguito di Marco Antonio e definitivamente nell'esercito di Augusto, con base in Siria.
Nel 35 d.C. aveva varcato il fiume Eufrate e si era poi mossa contro i Giudei che avevano rifiutato di collocare l'immagine di Caligola nel Tempio di Gerusalemme. Dal 50 al 60 d.C. la Legio VI Ferrata seguì Corbulone in Armenia per arginare la minaccia partica; nel 67 d.C. fu accorpata all'esercito con il quale Cestio Gallo mosse contro i Giudei insieme alla Legio XII Fulminata.
Nel 72 d.C. ebbe parte predominante nell'invasione del regno della Commagene. Con Traiano mosse contro i Parti e nel 105 conquistò la nuova provincia d'Arabia, posta tra il fiume Giordano e il Mar Morto, area importantissima per i commerci con la Persia, l'India ed altri ricchi centri quali Petra e Bosra.
Adriano la spostò dislocandola in Palestina per combattere la terza guerra giudaica, che ebbe fine nel 135, con la distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte della Legione. Nel 193 la VI Ferrata si dimostrò favorevole a Settimio Severo contro Pescennio Nigro  e per tale motivo fu chiamata Fidelis Constans. Alla fine del III secolo d.C. le notizie relative alla Legio diminuiscono drasticamente e alcuni studiosi avevano ipotizzato il suo scioglimento o la distruzione in combattimento, anche se studi recenti paiono aver identificato tracce della sua sussistenza ancora nel 303-304, presso la fortezza legionaria di Udruh, non lontano da Petra.

Fonte:
stilearte.it

domenica 29 ottobre 2023

Israele, la Grotta delle Lettere e la tunichetta di un bambino

Israele, la tunichetta rinvenuta nella Grotta delle Lettere
(Foto: Israel Antiquities Authority)

Nel 1952, mentre conducevano al pascolo le loro bestie, un gruppo di pastori beduini scoprì una grotta, vicino al Mar Morto, la cui entrata si apriva a 15 metri d'altezza nella parete del canyon Nahal Hever.
All'interno di questa grotta, una decina d'anni più tardi, l'archeologo israeliano Yigael Yadin rinvenne 40 rotoli di pergamena e oltre 30.000 frammenti di altri testi, che determinò il nome del sito quale Grotta delle Lettere. La quantità e la varietà di testimonianze scritte restituite dal sito lo rendono un sito tra i più importanti per lo studio dell'archeologia e della storia del popolo ebraico.
I testi rinvenuti si datano in maniera uniforme al cosiddetto "Periodo del Secondo Tempio di Gerusalemme" (516 a.C. - 70 d.C.), concentrandosi soprattutto tra I e II secolo d.C., riflettendo le condizioni della comunità ebraica durante il periodo di sottomissione all'Impero Romano. Tra questi scritti, abbondano sezioni della Bibbia, fondamentali per filologi e biblisti per capire ed interpretare le modifiche ed evoluzioni subite dal testo biblico nel corso dei secoli. Non mancano poi testi di natura giuridico-amministrativa (testamenti, contratti matrimoniali, accordi commerciali...), che gettano luce sulla vita quotidiana, gli usi e i costumi del popolo ebraico durante il periodo sopra citato. Abbondano poi testi religiosi quali inni e preghiere, estremamente importanti per comprendere la vita e la cultura ebraiche, così intimamente legate alla loro religione.
I documenti certamente più interessanti, tuttavia, sono le decine e decine di lettere, di carattere privato e ufficiale, che delineano nella maniera più chiara e diretta possibile i tratti delle comunità ebraiche nel loro quotidiano. Dalla corrispondenza ufficiale tra i leader di diverse comunità giudaiche (tra cui alcune epistole collegate alla rivolta di Bar Kokhba, l'ultima grande e sanguinosissima sollevazione del popolo ebraico contro il giogo romano, repressa a viva forza dalle truppe dell'imperatore Adriano), ai carteggi tra autorità locali e governatori romani, fino alle più minute e personali lettere private di persone comuni, questo enorme epistolario, nella sua ecletticità, risulta tra i più preziosi della storia.
Ma non c'erano solo lettere, nella grotta, sono stati rinvenuti anche molti reperti che ne testimoniano la frequentazione come abitazione o, più probabilmente, come rifugio, pensato sia per i pastori nomadi sia, a tratti, per dissidenti in fuga dalle persecuzioni romane. La stessa tesaurizzazione di tutti i documenti sopra citati in questo luogo sembra suggerire che si trattasse di un rifugio segreto rimasto ignoto alle autorità imperiali. Tra questi reperti, recentemente è stato rinvenuto anche un fragilissimo e commovente capo di abbigliamento: una tunichetta, interpretata come "camicia da notte" dagli esperti, appartenuta ad un bambino.
Il piccolo indumento, cucito artigianalmente unendo due lembi di tessuto con un filo di lino lungo la linea delle spalle e dei fianchi, presenta chiari segni di un lungo utilizzo e buchi dovuti all'usura meccanica. Un altro particolare lo rende quasi unico nel suo genere: ai lembi inferiori parte del tessuto è stato cucito in piccoli nodi, tutti realizzati attorno ad un piccolo nucleo di materiali diversi, quali resina, sale, solfato di ferro, henné, semi e altro ancora. Queste piccole tasche sigillate sono state interpretate come amuleti, intimamente incorporati alla tunichetta, e questa curiosa caratteristica unita alla tecnica di realizzazione piuttosto grezza e imprecisa, ha lasciato intendere che l'abito sia stato realizzato da un non professionista, forse la madre stessa del bambino, per il suo piccolo, al duplice scopo di vestirlo e proteggerlo dal male.

Fonte:
mediterrraneoantico.it


sabato 21 ottobre 2023

Israle, la signora dello specchio...

Israele, lo specchio ritrovato in una tomba di 2300
anni fa (Foto: Emil Aladjem)

In Israele gli archeologi hanno scoperto quelli che credono siano i resti di una cortigiana greca. Si tratta dei resti di una giovane donna, rinvenuti sepolti in una grotta accanto ad uno specchio pieghevole in bronzo perfettamente conservato. La località del rinvenimento non è lontana da Gerusalemme.
Si ritiene che la sepoltura risalga ad un periodo compreso tra la fine del IV secolo e l'inizio del III secolo a.C., secondo uno studio congiunto condotto dall'Università di Tel Aviv e dall'Autorità Israeliana per le Antichità (IAA).
Gli archeologi impegnati nello scavo ritengono che i resti rinvenuti nella grotta appartengano ad un'hetaira, una sorta di cortigiana dell'antica Grecia. Probabilmente la giovane donna accompagnava una dei funzionari del governo ellenistico o un alto generale. L'età ellenistica, nel Medio Oriente e nel Mediterraneo orientale, individua un periodo compreso tra la morte di Alessandro Magno nel 323 a.C., e la conquista dell'Egitto da parte di Roma nel 30 a.C. Probabilmente la giovane donna è stata una dei primi Greci arrivati nella regione.
Lo specchio rinvenuto nella tomba è il secondo di questo tipo scoperto in Israele a tutt'oggi. Sono 63 gli specchi del genere conosciuti nel mondo ellenistico. La qualità dello specchio che accompagnava la giovane defunta è così elevata che è stato conservato in condizioni eccellenti. Specchi pieghevoli simili a questo sono stati documentati in tombe e templi del mondo greco ellenistico. Di solito erano decorati con incisioni o rilievi di figure o divinità femminili.
Solitamente le donne di alto rango ricevevano uno di questi specchi come parte di una dote, ma nel caso della donna sepolta nella grotta è del tutto improbabile che si tratti di una dote, in quanto le donne sposate raramente lasciavano le loro case in Grecia. Anche questa eventualità depone in favore dell'individuazione della defunta come hetaira.
Anche il fatto che i resti siano stati cremati può essere un indizio sulle origini della donna. La cremazione, infatti, era estranea nella terra d'Israele ed era altrettanto sconosciuta nella religione. La cremazione era vietata nel giudaismo e non sarebbe stata praticata nemmeno nell'impero persiano che, all'epoca della morte della donna, dominava la regione.
I quattro chiodi di ferro trovati assieme ai resti cremati della donna e allo specchio erano solitamente utilizzati per proteggere i defunti ma anche i vivi dai morti. I corpi venivano letteralmente inchiodati per garantire che non tornassero a disturbare i vivi.

Fonte:
edition.cnn.com


domenica 24 settembre 2023

Israele, antichi idoli utilizzati per cerimonie magiche

Antico manufatto scoperto sull'antica rotta Darb al-Hajj
da il Cairo alla Mecca (Foto: arkeonews.net)

Secondo uno studio appena pubblicato, i manufatti rinvenuti negli anni '90 sull'antica rotta Darb al-Hajj dal Cairo alla Mecca, potrebbero essere stati utilizzati in rituali magici.
Uno studio recentemente pubblicato dal Dottor Itamar Taxel, dell'Autorità Israeliana per le antichità, ha analizzato una raccolta di manufatti scoperti in un sito archeologico sulle montagne di Eilat. Qui correva un antico percorso che collegava il Cairo a La Mecca. Gli oggetti comprendono frammenti di sonagli di argilla, simili a palline da ping pong, contenenti piccole pietre che producevano un suono quando venivano scosse. Sono stati rinvenuti anche due manufatti simili ad altari votivi in miniatura per bruciare l'incenso, unitamente a diverse statuette, tra le quali quella di una donna, forse una divinità femminile, nuda con le mani alzate. Secondo lo studio appena citato, questi artefatti erano utilizzati per scongiurare il malocchio, curare le malattie e altro ancora.
L'analisi dei manufatti in ceramica ha rivelato che provenivano dall'Egitto. La rotta del Dar al-Hajj iniziava a il Cairo e percorreva la penisola del Sinai, la regione di Eilat, raggiungeva la città di Aqaba per poi proseguire nella penisola arabica. Questa rotta venne utilizzata fin dai primi secoli successivi l'ascesa dell'Islam (VII secolo d.C.) fino al XIX secolo.
Nelle vicinanze dei monti Eilat sono stati rinvenute diverse tracce di insediamenti e strutture per l'ospitalità dei pellegrini, utilizzati soprattutto durante il periodo mamelucco e quello ottomano (XIII-XIV secolo). Molti dei manufatti rinvenuti erano in frantumi, il che sembrerebbe suggerire che fossero stati distrutti intenzionalmente durante le cerimonie religiose.
Secondo gli studiosi questi rituali magici erano eseguiti sul posto da una o più persone specializzate in cerimonie magiche. Le fonti letterarie parlano di una richiesta notevole di rituali magici, proveniente da persone di diversi ceti sociali. Questi rituali erano eseguiti quotidianamente insieme ai rituali religiosi formali, anche nel mondo musulmano.

Fonte:
arkeonews.net


Israele, trovate in una grotta quattro spade romane intatte

Israele, le spade romane rinvenute di recente
(Foto: finestresullarte.info)
Importante scoperta in Israele: in una grotta della riserva naturale di Ein Gedi, sulle rive del Mar Morto, sono state trovate quattro spade romane e la testa di un giavellotto, durante un sopralluogo di routine fatto da un gruppo di ricercatori che si trovavano in zona per fare rilevazioni.
Potrebbe trattarsi, secondo i ricercatori che hanno studiato i reperti, di un bottino di guerra che alcuni ribelli ebrei sottrassero ai romani durante un'incursione. Le grotte che si aprono lungo le rive del Mar Morto erano, infatti, abituale nascondiglio dei ribelli ebrei: le spade risalgono, secondo gli studiosi, al I secolo d.C., all'epoca della conquista e dell'annessione della Giudea all'Impero Romano.
Nella stessa grotta, circa 50 anni fa, furono scoperti i resti di un'iscrizione ebraica su stalattite, realizzata con dell'inchiostro, utilizzando l'antica forma di scrittura del periodo del Primo Tempio (X-V secolo a.C.). La grotta è situata a nord di Ein Gedi, all'interno della riserva, in un'area rocciosa isolata e di difficile accesso. La scoperta delle spade è ritenuta eccezionale anche perché è legata proprio al ritrovamento di questa iscrizione: il Dottor Assaf Gayer, del Dipartimento di Archeologia dell'Università di Ariel, il geologo Boaz Langford, dell'Istituto di Scienze della Terra e del Centro per la ricerca sulle caverne dell'Università Ebraica di Gerusalemme e Shai Halevi, un fotografo del dipartimento delle antichità, si erano recati nella grotta con l'obiettivo di fotografarla, impiegando la fotografia multispettrale per decifrare alcune parti non visibili a occhio nudo.
Nel corso di questa operazione, mentre si trovava nella parte superiore della grotta, il Dottor Geyer ha rinvenuto, in un'area stretta e profonda, la testa del giavellotto in uno stato di conservazione straordinario e in una fessura poco lontana ha trovato anche alcuni pezzi di legno lavorato che si sono rivelati parte dei foderi delle spade. In seguito al ritrovamento, i ricercatori hanno comunicato la scoperta al gruppo di ricerca del dipartimento delle antichità preposto su questo specifico soggetto, che si è recato nella grotta per un'attenta analisi di tutti gli anfratti.
Nel corso di questa seconda esplorazione, in una fessura stretta e profonda situata tra due stalattiti, i ricercatori hanno scoperto le quattro spade di periodo romano, occultate anticamente e ottimamente conservate: tre di esse sono state ritrovate addirittura all'interno dei rispettivi foderi, realizzati in legno e cuoio e con alcune parti in metallo.
Alla base dell'incredibile stato di conservazione ci sono le condizioni di temperatura e di ridotta umidità garantite dalla grotta che hanno bloccato il deterioramento delle parti non in metallo, permettendo di trovare molto ben conservate anche le parti lignee delle impugnature delle spade.
La lunghezza della lama di tre delle spade è di circa 60-65 centimetri, dato che permette di classificarle come Spatha Romana, un particolare arma fornita di lama più lunga rispetto a quella del gladio, che solitamente aveva una lunghezza attorno al mezzo metro o di poco superiore (la spatha, invece, poteva avere una lama anche di 80-100 centimetri). Era un'arma solitamente usata dai legionari a cavallo, che avevano necessità di una lama più lunga per colpire i nemici che si trovavano più lontani. La quarta lama misura, invece, 45 centimetri, lunghezza che la rende ascrivibile alla tipologia delle spade con pomello ad anello. Complessivamente l'analisi dei reperti dopo il loro assemblaggio ha permesso di comprendere che le armi ritrovate sono spade standard, utilizzate dai soldati dell'esercito di stanza nella Terra d'Israele durante il periodo romano.
"L'occultamento delle spade e della testa del giavellotto all'interno di profonde fessure di una grotta isolata a nord i Ein Gedi", spiega il Dottor Eitan Klein, direttore del Judean Desert Survey Project, "suggerisce che le armi furono sottratte come bottino i soldati romani o portate via dal campo di battaglia e che furono deliberatamente nascoste dai ribelli ebrei per poter essere riutilizzate. E' probabile che i ribelli non volessero essere sorpresi con le armi addosso nell'evenienza di uno scontro con le autorità romane. Siamo solo all'inizio del percorso di ricerca relativo a questa grotta e al set di armi rinvenute al suo interno, e il nostro obiettivo e cercare di scoprire a chi appartenessero le spade, dove vennero realizzate, quando e da chi. Cercheremo di capire quale sia l'evento storico che portò alla rimozione delle armi dalla grotta e se possa essere connesso alla ribellione di Bar Kochba, avvenuta tra il 133 ed il 135 d.C. Questa scoperta che tocca un momento storico è agghiacciante ed emozionante. Non tutti sanno che a causa delle condizioni climatiche secche, nel deserto si conservano reperti che non sono sopravvissuti in altre parti del Paese. Si tratta di una capsula del tempo davvero unica".

Fonte:
finestresullarte.info

sabato 15 aprile 2023

Gerusalemme esposti i gioielli di una ragazza di 1800 anni fa

Gerusalemme, alcuni dei gioielli esposti appartenenti
ad una donna romana (Foto: shalom.it)

Per gli archeologi è un grandissimo evento: per la prima volta sono stati esposti i monili d'oro provenienti da una tomba del Monte Scopus, a nordest di Gerusalemme, ritrovati nel 1971. Gli splendidi gioielli in oro e con gemme sono stati mostrati in pubblico al 48esimo Congresso Archeologico organizzato dall'Israel Antiquities Authority e dell'Israel Archaeological Association, oltre 50 anni dopo il loro ritrovamento e possono raccontare la storia di chi li indossava.
Dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme e l'esodo della popolazione ebraica, la Gerusalemme tardo romana, ribattezzata Aelia Capitolina, aveva una popolazione cosmopolita. Durante quel periodo, alcune ragazze furono sepolte adornate con gioielli in oro pregiato. I gioielli furono scoperti in una bara di piombo sul Monte Scopus, durante gli scavi guidati dal defunto archeologo Yael Adler del Dipartimento di Antichità israeliano.
Il ritrovamento comprendeva orecchini d'oro, una forcina, un ciondolo d'oro, perline d'oro, perline di corniola e una perlina di vetro e portano il simbolo di Selene, divinità romana rappresentante la Luna: questo dettaglio fa pensare che i gioielli fossero portati per tutto il corso della vita della fanciulla, per poi accompagnarla anche durante la morte e continuare a proteggerla nell'aldilà. Scoperti nel 1971, i reperti non sono stati mai esposti da allora, ma soltanto studiati. Si riferiscono, secondo i ricercatori, ad un periodo dopo che Gerusalemme fu quasi interamente distrutta in seguito all'assedio del 70 d.C.
Gerusalemme, uno dei gioielli rinvenuti nel 1971
(Foto: shalom.it)
Le divinità romane ebbero molta diffusione nella nuova città di Adriano. A quel tempo agli ebri era vietato entrare a Gerusalemme, occupata dai legionari romani. Se mai avessero avuto l'ardire di farlo, per loro c'era la pena di morte.
I gioielli esposti sono noti nel mondo romano e sono caratteristici delle sepolture delle fanciulle, forse fornendo prove delle persone sepolte in questi siti. La nuova Gerusalemme, Aelia Capitolina era popolata all'epoca da persone provenienti da diverse parti dell'Impero Romano, che avevano portato un diverso insieme di valori, credenze e rituali.
I ricercatori ritengono che i gioielli d'oro siano stati utilizzati come amuleto contro il malocchio dalle giovani ragazze pagane. Per questo sono stati sepolti con chi li possedeva, per continuare a proteggere le giovani donne anche nell'aldilà.
Le attuali ricerche sui monili sono state condotte da Ayelet Dayan, Ayelet Gruber e Yuval Baruch dell'IAA. Non si tratta dell'unico ritrovamento di questo tipo avvenuto in Israele. Due orecchini d'oro molto simili sono riemersi in un altro scavo, effettuato da Vassilios Tzaferis, sempre per conto del Dipartimento di Antichità, sul Monte degli Ulivi nel 1975. La ragazza alla quale apparteneva la tomba era stata sepolta con un preziosissimo corredo di gioielli d'oro di cui facevano parte una coppia di orecchini, un fermaglio per capelli ed una catenella con un ciondolo a forma di lunetta (lunula) allusivo al culto della Luna.

Fonti:
ilmattino.it
storiearcheostorie.com

martedì 7 marzo 2023

Israele, segni di trapanazione del cranio in una sepoltura di Tell Megiddo

Megiddo, i resti di due fratelli sepolti sotto le assi del
pavimento della loro casa, uno con un foro nel cranio
(Foto: Kalisher et al., 2023, PLOS One)

Durante gli scavi di una tomba di 3500 anni fa a Tell Megiddo, in Israele, gli scienziati hanno scoperto un teschio con una sorprendente caratteristica: un foro quadrato che è la chiara prova di un'antica operazione al cervello.
Non è possibile sapere se il paziente fosse stato in qualche modo narcotizzato o quanto tempo sia sopravvissuto all'intervento.
Nella sepoltura giacevano i resti di due fratelli vissuti nell'Età del Bronzo (1550-1450 a.C.) e sepolti insieme in un quartiere d'élite di Tell Megiddo. Gli scheletri di entrambi i fratelli mostrano segni di problemi di sviluppo e tracce di malattie croniche. Uno di loro mostra il foro relativo ad un'operazione al cervello.
Quest'ultima procedura prevedeva di praticare un foro nella scatola cranica del paziente. Questo tipo di intervento chirurgico è stato accertato tra i popoli antichi di tutto il mondo, ma è relativamente raro trovare prove di trapanazione cranica nel Medio Oriente.
La teoria degli archeologi è che lo status sociale dei fratelli potrebbe aver permesso loro di accedere a cure e risorse che avrebbero permesso di sopravvivere alla loro malattia più a lungo dei meno fortunati. Dopo la morte di un fratello l'altro potrebbe aver chiesto un intervento chirurgico al cranio nel disperato tentativo di alleviare i forti dolori di cui doveva soffrire.
I due scheletri sono stati identificati come quelli di due fratelli grazie all'analisi del DNA. Vennero sepolti sotto il pavimento della loro abitazione, nella ricca città dell'Età del Bronzo, situata a cavallo delle rotte commerciali tra Egitto, Siria-Mesopotamia e Anatolia. Il centro urbano di Tell Megiddo è fortificato e ricco di templi e architetture monumentali.
La particolare sepoltura dei due fratelli era una residenza di lusso nella quale sono stati rinvenuti ottimi esempi di ceramica, ossa lavorate e metalli preziosi ad indicare una famiglia benestante. Il sito si trovava in una posizione privilegiata, vicino all'ingresso principale della città. Ai due fratelli, inoltre, venne concessa una sepoltura degna dei ranghi superiori della società, accompagnati da ceramiche pregiate ed offerte di cibo.
L'analisi della deposizione e dei corpi ha rivelato che uno dei due fratelli morì nella tarda adolescenza o verso i vent'anni e venne sepolto da uno a tre anni prima dell'altro. Quando il secondo fratello morì a seguito del tentativo di operazione al cranio, il fratello che era morto precedentemente venne riesumato, in modo che potesse essere sepolto insieme con lui. Una pratica comune durante l'Età del Bronzo.
Gli scheletri dei due fratelli mostrano che soffrivano di diversi disturbi: anomalie congenite o dello sviluppo, denti aggiuntivi che non sono spuntati. Il fratello al quale venne trapanato il cranio aveva le ossa di quest'ultimo che non si erano ben chiuse. Le ossa di entrambi, poi, mostrano anche lesioni infettive dovute ad una malattia ancora non individuata, probabilmente la lebbra.
Segni di tagli sul cranio indicano dove è stato tagliato il cuoio capelluto, primo passo della procedura di trapanazione. Poi l'antico chirurgo ha rimosso un pezzo quadrato dell'osso frontale, in apparenza praticando una serie di tagli paralleli simili a scanalature e successivamente staccando pezzi di cranio trovati tra i resti dei due fratelli.
I ricercatori ritengono che il paziente fosse vivo quando venne eseguita l'operazione. Il colore e la smussatura dei bordi del foro mostrano che il taglio è stato praticato sull'osso vivo e che si è prestata attenzione a non perforare il tessuto che ricopre il cervello. Poiché, però, non esistono segni di crescita ossea postoperatoria, sembra probabile che il paziente sia morto durante l'intervento o poco dopo.
La trapanazione era praticata in tutto il mondo antico, sia per ragioni mediche - come alleviare il dolore da trauma cranico - sia per ragioni in apparenza rituali, come liberare gli spiriti maligni che si riteneva albergassero nella testa. Prove di tali interventi chirurgici risalenti a migliaia di anni fa sono state trovate in tutta l'Africa, addirittura alcuni ricercatori ritengono di averne scoperto un esempio già 7000 anni fa in Sudan. Una donna mummificata rinvenuta in una sepoltura nella regione dello Xinjiang, in Cina, mostra che la trapanazione era già pratica, in quella regione, nel 1600 a.C. I Greci e i Romani adottarono, in seguito, questa pratica, che continuò ad essere adottata anche in epoca medioevale.
Ma l'antica chirurgia cerebrale sembra essere stata più comune nelle Americhe, tra le Ande in Perù e Bolivia. L'antropologo della Tulane University, John Verano, ha documentato più di 800 casi nella regione, tanti quanti tutti quelli documentati nel resto del mondo antico messi insieme. Tra il 1400 ed il 1500 d.C. i tassi di sopravvivenza tra gli Incas raggiunsero l'incredibile percentuale del 75-80%.
"La spiegazione più verosimile del perché la trapanazione fosse così comunemente pratica in Perù è quella che venisse utilizzata per trattare le fratture del cranio ed altre complicazioni conseguenti a colpi alla testa", ha affermato il Dottor Verano. La pratica può alleviare la pressione sul cervello dei fluidi che provocano anche gonfiore.

Fonte:
smithsonianmag.com

sabato 11 febbraio 2023

Gerusalemme, il vago d'oro perduto 1600 anni fa

Gerusalemme, il vago composto da perline dorate
(Foto: Koby Harati, City of David)

Un vago di collana d'oro puro, databile ad almeno 1600 anni fa e realizzato con tecnica sopraffina, è stato trovato a Gerusalemme all'interno dell'imponente struttura di epoca romana tornata alla luce nello scavo di Pilgrimage Road, la strada realizzata in età romana per consentire ai pellegrini di raggiungere il Tempio. 
L'autrice del ritrovamento è Hallel Feidman, diciottenne volontaria di Bnei Ayish, che stava partecipando al progetto di scavo curato dalla Israel Antiquities Authority, l'Autorità israeliana per le Antichità. "Ho svuotato il contenuto del secchio sul setaccio e ho iniziato a lavare il materiale, che proveniva dagli scavi in corso nella Città di David", racconta. "All'improvviso ho visto qualcosa di luccicare nell'angolo e ho chiamato l'archeologo; allora si è scatenato l'entusiasmo generale".
Il ritrovamento è veramente particolare, si tratta di una perlina che, molto probabilmente era parte di una collana o di un bracciale appartenente ad una persona facoltosa.
Secondo Shlomo Greenberg e Ari Levy, i due direttori dello scavo, il piccolo ma prezioso oggetto proviene dal grande edificio di epoca romana, lungo almeno 25 metri, che si affacciava sulla via battuta dai pellegrini, dove sono già riemersi raffinate ceramiche d'importazione e un pavimento a mosaico decorato, a loro volta testimonianza del benessere raggiunto da chi lo abitava. E' possibile, aggiungono i ricercatori, che il vago risalga a un periodo precedente rispetto alla struttura, ma molto probabilmente chi lo indossava lo smarrì quando il monile di cui era parte si ruppe.
Il ritrovamento è importante in primis per la sua rarità. Oggetti simili, ma d'argento, sono infatti stati riportati alla luce nel 1979 a Ketef Hinnom, non lontano dalla città di David (il nucleo originario di Gerusalemme, posto sul monte Sion) all'interno di grotte sepolcrali risalenti a 2500 anni fa (fine del periodo del Primo Tempio) in occasione degli scavi effettuati da Gabriel Barkay. Reperti di questo tipo in oro sono poco frequenti e assommano a qualche decina.
Quel che colpisce maggiormente è però la realizzazione del vago, ottenuto tramite la saldatura di piccole sfere d'oro. Una tecnica di oreficeria molto complessa, elaborata probabilmente in Mesopotamia circa 4500 anni fa e che richiede un'ottima conoscenza dei materiali e delle loro proprietà, ma anche dei meccanismi di regolazione della temperatura: il calore è indispensabile per saldare insieme le minuscole sfere, ma occorre assolutamente evitare il surriscaldamento perché altrimenti l'oro si scioglie. Una tecnica simile poteva essere padroneggiata solo da un artigiano professionista e di grande abilità.
Gli archeologi pensano che il vago possa essere d'importazione: realizzato fuori da Israele, sarebbe giunto a Gerusalemme con le carovane di mercanti e qui acquistato, verosimilmente, già come parte integrante del gioiello. La collana (o il bracciale) potrebbe essere stato donato, ma è altrettanto possibile che fosse un monile di famiglia poi lasciato in eredità e tramandato di generazione in generazione.

Fonte:
storiearcheostorie.com

giovedì 2 febbraio 2023

Gerusalemme, il mistero della mano sul muro di un fossato

Israele, la misteriosa impronta di una mano
(Foto: Yoli Schwartz, Autorità Israeliana per le Antichità)

Sotto la Città Vecchia di Gerusalemme è stato scoperto un fossato che, un tempo, fungeva da ostacolo per gli eserciti crociati. Durante lo scavo dell'antica linea di difesa, gli archeologi si sono imbattuti anche in un'impronta di mano scolpita nel muro del fossato, ma non sono stati in grado di offrire una spiegazione a questo misterioso bassorilievo ed al suo significato.
Il fossato circondava le famose mura della città e si pensa che sia stato scavato non più tardi del X secolo d.C. Secondo il direttore degli scavi della Israel Antiquities Authority, Zubair Adawi, il fossato era largo almeno 10 metri e profondo tra i due ed i sette metri. "La sua funzione era impedire al nemico che assediava Gerusalemme di avvicinarsi alle mura e di irrompere nella città", ha spiegato Adawi. "I fossati, solitamente pieni d'acqua, sono ben noti da fortificazioni e castelli in Europa. Qui il fossato era asciutto, la sua larghezza e profondità presentavano un ostacolo che rallentava l'esercito attaccante".
Le mura e le porte della città, che oggi circondano la Città Vecchia, furono costruite nel XVI secolo dal sultano ottomano Solimano I il Magnifico, ma le antiche fortificazioni che proteggevano Gerusalemme prima di queste mura erano molto più impenetrabili, a detta degli archeologi.
Data l'età del fossato, è molto probabile che abbia assistito a qualche azione seria durante le Crociate, poiché gli eserciti europei tentarono ripetutamente di prendere Gerusalemme tra l'XI ed il XIII secolo. "Gli storici che hanno accompagnato la Prima Crociata, descrivono l'arrivo dei crociati alle mura di Gerusalemme nel giugno 1099", dice Amit Re'em, direttore regionale di Gerusalemme presso l'Autorità per le Antichità d'Israele. "Sfiniti dal viaggio, si fermarono di fronte all'enorme fossato, e solo dopo cinque settimane riuscirono ad attraversarlo a costo di molto sangue, sotto il fuoco pesante dei difensori musulmani ed ebrei".
Tra gli elementi più intriganti scoperti dagli archeologi, c'è un'impronta di una mano all'interno del muro del fossato. Una mano misteriosa. Forse si tratta di un simbolo oppure di uno scherzo. Gli archeologi stanno cercando risposte.

Fonte:
iflscience.com


venerdì 6 gennaio 2023

Gerusalemme, la sepoltura del monaco incatenato

Gerusalemme, la sepoltura del monaco bizantino
(Foto: arkeonews.net)

Uno scheletro incatenato con anelli di ferro è stato scoperto a Khirbat el-Masani, a quattro chilometri a nordovest di Gerusalemme, lungo l'antica via che collegava Lod alla città santa, attraverso Nebi Samuel/Nabi Samwill.
Lo scheletro risale a 1500 anni fa ed appartiene ad un monaco bizantino. Alla ricerca della salvezza, dell'espiazione del peccato o della spiritualità, i monaci asceti conducevano una vita segnata dall'astinenza dai piaceri sensuali. Forme più estreme di ascetismo includevano il dolore autoinflitto e la sofferenza volontaria, l'incatenamento del corpo alle rocce o il tenerlo in una cella, la preghiera fatta seduti su un pilastro e l'isolamento.
Gli archeologi dell'Autorità israeliana per le antichità avevano in precedenza scoperto una chiesa triabsidata di epoca bizantina a Khirbat el-Masani, che un tempo faceva parte di un monastero con una locanda per ospitare i pellegrini di passaggio. La chiesa è in parte scavata nella roccia ed è costruita con conci di calcare (pietra finemente lavorata), e potrebbe essere dedicata a San Zaccaria dal sacerdote Sabino.
In passato il sito è stato esaminato dalla Jerusalem Survey Map ed è stato anche condotto un piccolo scavo dall'archeologo Dottor Gaby Mazor, dell'Autorità per le Antichità Israeliane, scavo che ha portato a rivelare la parte anteriore di due delle absidi.

Particolare della sepoltura del monaco bizantino incatenato
(Foto: Autorità israeliana per le antichità)
Un vasto scavo condotto nel sito nel 2017, diretto dagli archeologi dell'Autorità israeliana per le antichità Zubair Adoi e Kafir Arbiv e finanziato dalla Moriah Jerusalem Development Corporation, ha portato alla luce un grande complesso architettonico, comprendente il monastero, una locanda e, soprattutto, la chiesa, permettendo di comprendere la pianta, le modalità costruttive e la datazione della chiesa.
Gli archeologi hanno recentemente scoperto che lo scheletro di un monaco, incatenato con anelli di ferro intorno al collo, alle mani e ai piedi, è stato sepolto in una tomba a cista accanto a due piccole celle chiuse simili a nicchie nell'abside centrale della chiesa. Il sepolto era probabilmente un monaco asceta che viveva dentro o vicino al complesso della chiesa, che portava le catene come parte della sua devozione.
La pratica ebbe origine in Siria nel IV o V secolo d.C., ma la scoperta della sepoltura nei pressi di Gerusalemme mostra che durante il periodo bizantino questa forma di estremo ascetismo si diffuse a sud della Siria fino alla regione di Gerusalemme.
L'archeologa dell'Autorità israeliana per le antichità Elena Kogan-Zehavi ha fatto una scoperta simile nel 1991 a Khirbat Tabaliya (Givat Ha-Matos), situata tra Gerusalemme e Betlemme.

lunedì 26 dicembre 2022

Israele, trovata una sepoltura ritenuta quella di Salome

Israele, incisioni in greco antico all'interno di un sepolcro
(Foto: Menahem Kahana/AFP/Getty Images)
Gli archeologi israeliani hanno scoperto delle lampade di pellegrini ed altri interessanti reperti all'interno della tomba di Salome, un luogo di sepoltura che prende il nome da una delle donne che, secondo la tradizione cristiana, assistette alla nascita di Cristo.
La tomba è stata scoperta dai tombaroli negli anni '80 del secolo scorso, in quello che oggi è il parco nazionale di Tel Lachish, ad ovest di Gerusalemme. Successivi scavi da parte degli archeologi hanno portato alla luce una camera sepolcrale ebraica risalente al periodo romano, occupata in seguito da una cappella cristiana in epoca bizantina. Un'iscrizione rinvenuta sulle pareti della grotta ha portato i ricercatori a concludere che questo luogo fosse dedicata a Salome, una figura associata comunemente alla nascita del Cristo nella tradizione ortodossa orientale.
Il ruolo di Salome come assistente dell'ostetrica alla nascita di Cristo è raccontato nel Vangelo di Giacomo, un testo abbandonato dalle versioni del Nuovo Testamento utilizzate nella maggior parte delle chiese occidentali.
Fuori dalla grotta gli archeologi hanno trovato i resti di un cortile colonnato di 350 metri quadrati, che fa pensare ad un vero e proprio culto della figura di Salome. Attorno al cortile sorgevano delle botteghe che vendevano lampade di argilla ed altri oggetti ad uso dei pellegrini, alcuni dei quali risalenti al IX secolo d.C., duecento anni dopo la conquista musulmana. Alcune iscrizioni all'interno della grotta sono in arabo e questo ha sorpreso molto gli studiosi.

Fonte:
theguardian.com


giovedì 22 dicembre 2022

Israele, cotone...Neolitico

Israele, un timbro-sigillo di 7000 anni
(Foto: Vladimir Nayhin)

Circa 7000 anni fa, qualcuno giunse in un villaggio preistorico nell'attuale Israele del nord con una merce di pregio: il cotone.
Il cotone non era noto alle prime civiltà del Vicino Oriente, perché non è originario di quella regione. Ora a Tel Tsaf sono state rilevate tracce di questa pianta, la prima traccia di cotone trovata nel Vicino Oriente da secoli. Si pensa che questo cotone sia venuto dalla valle dell'Indo ma non si esclude un'origine africana.
Il cotone è arrivato a Tel Tsaf con il commercio. Tel Tsaf presenta le rovine di un villaggio che sorse tra i 7300 ed i 7200 anni fa e prosperò per 500 anni. Dopo venne abbandonato per ragioni che rimangono ancora sconosciute.
I ritrovamenti in mezzo secolo di scavi comprendono il più antico oggetto di rame presente in questa parte del Medio Oriente (ve n'è uno più antico rinvenuto in Iraq), un modello in argilla per un silos per il grano, che si pensa essere legato ad un rituale sulla coltivazione e conservazione del cibo, e un sigillo a timbro di 7000 anni fa. Il che sembra suggerire che Tel Tsaf fosse un luogo straordinariamente ricco tra gli insediamenti del tardo Neolitico.
Alcune fibre di cotone rinvenute a Tel Tsaf sono state tinte e questo potrebbe fornire un'ulteriore indicazione delle relazioni commerciali nella regione, all'apice della transizione dal tardo Neolitico al primo Calcolitico. Il cotone più antico ritrovato sinora si trovava a Dhuweila, nella Giordania orientale, e risale ad un periodo compreso tra 6400 e 5000 anni fa.
Prima del cotone, le persone della regione utilizzavano fibre di lino. Il cotone viene da lontano e giunse a Tel Tsaf prima che la pianta venisse addomestica. E, per giunta, le fibre arrivarono già tinte. Il cotone trovato a Tel Tsaf era tinto nei toni del blu, del rosa, del viola, del verde e del marrone/nero.
La pianta del cotone prospera nei climi tropicali e subtropicali se ha a disposizione molta acqua. Questo esclude che sia stato coltivato nell'Israele preistorico, ma nel contempo conferma che sicuramente venne coltivato nella valle dell'Indo e nel nord Africa.
La prima attestazione dell'utilizzo del cotone nel periodo Neolitico pre-ceramico è stata attestata nel sito sepolcrale di Mehrgarh, nel Balochistan centrale, in Pakistan. I fili di cotone erano prevalentemente utilizzati per infilare perline di rame. Il più antico tessuto di cotone conosciuto è un minuscolo frammento di tessuto reale attaccato al coperchio di un vaso d'argento rinvenuto a Mohenio-daro, sempre in Pakistan. Si tratta di un tipo di cotone "selvaggio", apparentemente la pianta non sarebbe stata addomesticata subito. Sulla base principalmente delle prove dei semi, si pensa che l'addomesticamento sia avvenuto durante il periodo della civiltà Harabba (2600-1900 a.C.).

Fonte:
haaretz.com

sabato 17 dicembre 2022

Israele, rinvenuti proiettili con iscrizioni

Israele, un proiettile greco con la dicitura greca "Vittoria"
(Foto: Dafna Gazit, Israel Antiquities Authority)

Un proiettile da fionda in piombo di 2200 anni è stato recentemente scoperto dall'Autorità Israeliana per le Antichità (IAA) nella città israeliana di Yavne, recante un'iscrizione magica, in greco, evocativa di vittoria e che forse apparteneva ad un soldato greco.
Sul proiettile c'è l'iscrizione greca "Vittoria di Eracle e Hauronas", una coppia che era considerata i "divini patroni di Yavne" nel periodo ellenistico.
L'iscrizione su un proiettile da fionda è la prima prova archeologica dell'esistenza dei due patroni di Yavne scoperta all'interno della città. Finora la coppia era conosciuta solo da un'iscrizione rinvenuta sull'isola greca di Delo. Il proiettile è lungo 4,4 centimetri e doveva essere lanciato per mezzo di alcune imbracature.
Le iscrizioni trasmettono un messaggio di unità dei guerrieri con l'obiettivo di sollevare il morale delle truppe e spaventare il nemico. Erano parti della guerra psicologica, il cui scopo principale era terrorizzare l'avversario.

Fonte:
i24news.tv

venerdì 11 novembre 2022

Israele, la prima traccia di scrittura cananea su...un pettine per pidocchi

Israele, pettine d'avorio del 1700 a.C. con una frase di
protezione dai pidocchi (Foto: Dafna Gazit)

Incisa su una parte di un pettine d'avorio di quasi 4000 anni fa c'è una frase, l'espressione di un desiderio: "Possa questa zanna togliere i pidocchi dai capelli e dalla barba".
Questa frase è nella lingua primitiva degli antichi cananei e rappresenta il primo esempio conosciuto di una frase completa scritta utilizzando un alfabeto fonetico, a detta dell'archeologo Yosef Garfinkel dell'Università Ebraica di Gerusalemme.
Il sistema di scrittura dei Cananei, vissuti in una regione chiamata Levante circa 2000 anni fa, servì in seguito come base principale per molti alfabeti moderni. Questo rende il pettine "l'oggetto più importante che abbia mai trovato in uno scavo", ha detto il Dottor Garfinkel. Pochi documenti scritti sono sopravvissuti della civiltà cananea.
Il pettine è stato portato alla luce nel 2016 tra le rovine dell'antica città di Lachis, nell'attuale Israele, un tempo facente parte dell'importante regno di Giuda. Negli anni successivi, quando il pettine venne inviato in laboratorio per cercare tracce di pidocchi, qualcuno notò dei deboli simboli incisi su un lato. Uno sguardo più attento ha rivelato che i simboli componevano, in realtà, una frase. Sul pettine sono state trovate tracce di una ninfa di pidocchio grande mezzo millimetro.
Il pettine misura 3,5 centimetri di lunghezza per 2,5 di altezza. L'iscrizione è composta da 17 lettere, alcune delle quali grandi appena un millimetro, che formano 7 parole e getta un pò di luce sui popoli antichi: il problema dei pidocchi. Un problema che era molto comune, evidentemente anche tra la gente abbiente. Per quanto riguarda le sue condizioni, il pettine è usurato ed ha perso i denti, ma i monconi rimasti mostrano che un tempo da un lato aveva sei denti distanziati tra loro per rimuovere i grovigli di capelli, mentre dall'altro erano presenti 14 denti per rimuovere i pidocchi e le uova.
La scoperta potrebbe offrire uno sguardo sulla vita di uno dei ricchi abitanti di Lachis. Il fatto che la frase si riferisca anche ad una barba, suggerisce che il pettine sia appartenuto ad un uomo dell'élite locale, poiché l'avorio era un bene costoso che doveva essere importato dall'Egitto. Inoltre l'iscrizione, con le sue particolari caratteristiche, alcune delle quali uniche, colmano lacune nella conoscenza della cultura dell'Età del Bronzo.

Fonti:
sciencenews.org
onanotiziarioamianto.it
lastampa.it

giovedì 13 ottobre 2022

Israele, sepoltura con...oppio

Israele, resti di un uomo sepolto con brocche contenenti
residui di oppio (Foto: Autorità Israeliana per le Antichità)

La prima prova dell'uso dell'oppio nel mondo antico è stata scoperta in una sepoltura della Tarda Età del Bronzo nell'Israele centrale.
Residui del narcotico, prodotto utilizzando le capsule di semi della pianta di papavero, sono stati trovati all'interno di alcuni vasi in ceramica risalenti a 3500 anni fa, nel sito di Tel Yehud, appena fuori Tel Aviv, una regione conosciuta, un tempo, come Canaan.
Gli archeologi dell'Israel Antiquities Authority e del Weizmann Institute of Science hanno scoperto la tomba che conteneva questi vasi nel 2012. All'interno vi è stato sepolto un uomo di circa 40-50 anni di età, i cui resti sono stati rinvenuti nel 2017.
I ricercatori hanno analizzato il contenuto dei 22 vasi e brocche trovati nella sepoltura ed hanno scoperto che otto vasi contenevano tracce di di oppio. Alcune tracce sembravano simili alla forma bulbosa di una capsula di papavero. Parte della ceramica ritrovata nella tomba è stata importata dall'isola di Cipro.
Secondo uno studio della rivista Nature, il papavero da oppio era presente nel Mediterraneo almeno dalla metà del VI millennio a.C. e qui era coltivato dalle comunità pioniere del Neolitico. Non è ancora ben chiaro il motivo per cui questa droga sia stata collocata in una sepoltura.
Documenti storici provano che i sacerdoti Sumeri usavano l'oppio per raggiungere uno stato di spiritualità superiore, mentre gli Egizi lo riservavano sia ai guerrieri che ai sacerdoti, forse con intenti psicoattivi ma anche come medicinale, dal momento che il composto principale dell'oppio è la morfina, utilizzata per alleviare il dolore. Forse l'oppio era utilizzato anche come offerta agli dei e, quindi, poteva essere utile al defunto per il suo viaggio nell'aldilà.

Fonte:
livescience.com

Israele, trovata una pietra con inciso i nomi di Cristo e di Maria

Israele, la pietra recante l'iscrizione con il nome di Cristo
(Foto: secoloditalia.it)
Una pietra, incisa in greco, che recita "Cristo nato da Maria", è stata ritrovata a el-Taiyiba, nella Valle di Jezreel, nell'Alta Galilea, in Israele. Originariamente faceva parte dell'architrave di una chiesa bizantina del V secolo d.C. 
La chiesa faceva parte dell'autorità religiosa della metropoli di Bet She'an, che comprendeva el-Taiyiba, dove gli scavi sono stati diretti dagli archeologi Tzachi Lang e Kojan Haku. L'iscrizione è stata decifrata dalla Professoressa Leah Di Segni, dell'Università Ebraica di Gerusalemme. A far porre la scritta "Cristo nato da Maria" era stato il timoratissimo e pio Teodosio, arcivescovo di Bet She'an.
La pietra è stata rinvenuta dove era stata riutilizzata e collocata in uno dei muri di un maestoso edificio, risalente al tardo periodo bizantino o al primo periodo islamico del futuro Israele. Gli scavi dell'edificio hanno rivelato pavimenti a mosaico in due stanze, disegnati con un motivo geometrico. L'iscrizione sulla pietra era un saluto ai visitatori, a conferma delle conclusioni dei ricercatori secondo i quali si trattava di una dedica a una chiesa e non ad un monastero.

Fonte:
secoloditalia.it


mercoledì 12 ottobre 2022

Israele, scoperta una sepoltura in grotta dell'Età del Bronzo

Israele, alcune delle ceramiche trovate nella grotta di
Palmahim (Foto: Emil Aladjem)
Un'antica grotta destinata a sepoltura, non visitata da tombaroli, è stata rinvenuta sulla costa meridionale israeliana. Un trattore ha rimosso una roccia durante la costruzione di un nuovo parco nel kibbutz Palmahim e Dror Czitron, ispettore dell'Autorità per i parchi e la natura, è stato il primo ad entrare nella tomba, aperta dopo oltre 3300 anni.
La sepoltura non era stata violata, tuttavia sono state trovate prove che vi sia entrato qualcuno dopo la sua scoperta e che abbia rubato alcuni oggetti in essa contenuti. Le autorità confermano che sono in corso indagini in merito.
Tra gli oggetti destinati al defunto per l'aldilà, gli archeologi hanno rinvenuto ceramiche intatte e vasi di bronzo, esattamente così come erano stati deposti nella tomba nel XIII secolo a.C.: anfore e ciotole di vari tipi e forme, recipienti per la cottura e lucerne. Sono stati rinvenuti anche piccoli recipienti contenenti esigui resti di sostanze preziose che provenivano, con tutta probabilità, da Tiro, Sidone ed altri porti del Libano. Insieme alle punte di freccia, anch'esse rinvenute nella grotta associate ad una sorta di materiale organico, il contenuto della grotta fornisce un quadro completo delle tradizioni funerarie nella tarda Età del Bronzo.

Fonte:
haaretz.com


domenica 17 luglio 2022

Israle, la Dea Madre yarmukiana

Israele, statuetta della Dea Madre di 8000 anni fa
(Foto: Anna Eirikh-Rose)

Gli scavi nel sito archeologico di Sha'ar Hagolan Yarmukian, presso il kibutz di Sha'ar Hagolan, hanno portato alla scoperta di una statuetta raffigurante una dea in ceramica insolitamente grande ed impressionante.
La cultura alla quale si può far risalire la scultura è quella yarmukiana, una cultura agricola neolitica risalente ad 8000 anni fa. E' una delle culture più antiche del Levante a far uso della ceramica, con uno stile distintivo di decorazioni a spina di pesce incise in linee orizzontali e diagonali sul corpo dei recipienti.
La cultura yarmukiana è anche nota per le sue enigmatiche e iconiche figurine della Dea Madre, che si ritiene facessero parte di un culto della fertilità.
La statuetta raffigura una donna seduta ed è stata rinvenuta rotta in due pezzi vicino al muro di una casa. La statuetta era adorna con un braccialetto di colore rosso, simbolo della fertilità. Gli occhi della scultura, detti occhi "a chicco di caffè", rappresentavano, più probabilmente, dei chicchi di grano o di orzo. Tutti i dettagli, anche i più piccoli, della statuetta sono importanti per il loro simbolismo cultuale e il processo di creazione di una statuina del genere prevedeva un metodo complesso per avvolgere e stratificare l'argilla attorno ad un nucleo cilindrico centrale.
La cultura yarmukiana era in bilico nel drammatico frangente umano della transizione da una cultura di foraggiamento a un insediamento permanente, processo che ha anche cambiato lo sviluppo dell'architettura. E' così detta dalla scoperta dei resti archeologici nel sito di Sha'ar Hagolan, datati 6400-6000 a.C. vicino alla sponda settentrionale del fiume Yarmuk, nella valle centrale del Giordano.
Precedenti scavi nel sito di Sha'ar Hagolan hanno portato alla luce strade pianificate, case edificate attorno ad una corte e statue più piccole di una Dea Madre oltre a statuette incise nei ciottoli e raffiguranti un volto. Al suo apice, l'insediamento copriva un'area di 20 ettari, rendendolo uno dei più grandi insediamenti al mondo in quel momento.

Fonte:
msn.com

giovedì 13 gennaio 2022

Israele, l'importanza del contenuto delle...latrine

Israele, un sedile di una toilette di 2700 anni fa
(Foto: Yoli Schwartz, Israel Antiquities Authority)

Uno studio dell'Università di Tel Aviv e della Israel Antinquities Authority, ha rivelato i resti di uova di vermi intestinali di 2700 anni fa all'interno di una toilette in pietra di una lussuosa proprietà privata. Si tratta dei resti delle uova di quattro diversi tipi di parassiti intestinali: ascaridi, tenia, tricocefali ed ossiuri. I ricercatori hanno ipotizzato che i ricchi abitanti della lussuosa residenza di Gerusalemme, soffrivano di malattie infettive e di epidemie.
Lo studio è stato condotto dalla Dottoressa Dafna Langgut, direttrice del Laboratorio di Archeobotanica e Ambienti Antichi dell'Università di Tel Aviv presso l'Istituto di Archeologia e del Museo di Storia Naturale Steinhardt.
La Dottoressa Langgut ha raccolto campioni di sedimenti al di sotto della toilette in pietra, dove si trovava il pozzo nero. In laboratorio, poi, la ricercatrice ha estratto chimicamente le uova dei parassiti, le ha esaminate al microscopio ottico e le ha identificate. 
Le uova dei parassiti sono sopravvissute per quasi 2700 anni. I vermi intestinali sono parassiti che causano sintomi quali dolore addominale, nausea, diarrea e prurito. Alcuni di questi parassiti sono particolarmente pericolosi per i bambini e possono portare a malnutrizione, ritardi nello sviluppo, danni al sistema nervoso ed, in casi estremi, anche alla morte.
La Dottoressa Langgut ritiene che le malattie intestinali di cui soffrivano gli antichi proprietari di quest'edificio fossero dovute alle cattive condizioni igieniche che portavano alla contaminazione fecale di cibo ed acqua potabile. Oppure potrebbe essere dovuto ad una mancata profilassi igienica, quale, per esempio, il mancato lavaggio delle mani. Altre possibili fonti di infezioni potevano essere l'utilizzo di feci umane per fertilizzare i raccolti ed il consumo di manzo o maiale cucinati in modo non corretto.
In assenza di medicine, il recupero dei vermi intestinali era difficile o impossibile e le persone infette potevano soffrire di parassiti per tutto l'arco della loro vita.
Il direttore dello scavo Dottor Ya'akov Billig, ha spiegato che la tenuta aristocratica nella quale sono stati trovati questi resti, risale alla metà del VII secolo a.C. (tarda Età del Ferro). Nel sito sono stati rinvenuti degli importanti manufatti in pietra di straordinaria fattura, quali capitelli in pietra decorata in stile proto-eolico. Adiacente a questa dimora nobiliare vi era un giardino spettacolare che offriva una vista mozzafiato sulla città di Davide e sul monte del Tempio. Il pozzo nero è stato ritrovato proprio in questo giardino insieme ai resti di alberi da frutto ed ornamentali, sormontato da un'installazione quadrata in pietra calcarea con un foro al centro.
I servizi igienici erano estremamente rari, all'epoca, e costituivano una sorta di "status symbol", una struttura di lusso che solo i ricchi ed i nobili potevano permettersi.

Fonte:
Università di Tel Aviv via archaeologynewsnetwork.blogspot.com

martedì 4 gennaio 2022

Israele, trovati reperti in fondo al mare davanti a Cesarea

Israele, anello in oro con gemma incisa con la figura
del buon pastore (Foto: Israel Antiquities Authority)

Gli archeologi israeliani hanno scoperto i resti di due naufragi al largo della costa mediterranea, che hanno restituito un tesoro di centinaia di monete d'argento sia romane che medioevali.
Il ritrovamento è stato fatto nei pressi della costa dell'antica città di Cesarea e sono stati datati ai periodi romano e mamelucco, da 1700 a 600 anni fa. Le monete d'argento e di bronzo romane risalgono alla metà del III secolo d.C.
Tra gli altri reperti recuperati nel sito vi sono figurine fittili, ceramiche e manufatti metallici che un tempo appartenevano a delle navi, quali chiodi ed un'ancora di ferro piuttosto malridotta.
Tra i reperti degni di nota vi è un anello d'oro romano la cui gemma, di colore verde, è stata incisa con la figura di un pastore che reca sulle sue spalle una pecora. Si pensa che la nave romana dalla quale è stato estratto il reperto, provenisse dall'Italia, in base ai manufatti che essa recava.

Fonte:
theguardian.com

Antichi rituali di sacrifici umani: l'incaprettamento femminile

Francia, le sepolture neolitiche rinvenute in grotta (Foto: stilearte.it) Uno studio, pubblicato da Science advances , ha portato alla luce ...