Certe notizie passano quasi inosservate, ma sono le più rivelatrici. Mi ha colpito una cosa accaduta, nella disattenzione generale, durante le consultazioni di Mario Draghi per formare il nuovo governo.

Così venerdì sera, ascoltando la lista dei ministri, l’ho sintetizzata in questo tweet: “Da padre che vive il (vero e proprio) dramma della disabilità, ringrazio Matteo Salvini perché è stato l’unico che ha portato sul tavolo del premier incaricato la sofferenza di milioni di persone dimenticate da tutti e inascoltate: un ministero per i disabili è una grande cosa”.

Il leader della Lega ha spiegato, in un’intervista a Mentana, che negli incontri con Draghi – oltre all’ovvio e primario obiettivo di spazzar via il flagello Covid – ha portato alla sua attenzione la necessità di “un ministero per le disabilità, perché in Italia ci sono sei milioni di disabili troppo spesso inascoltati, ed (il ministero) è stato creato”.

Salvini ha segnalato anche la necessità di un ministero “ad hoc” per il turismo, “che è il settore che ha sofferto di più in questo anno di crisi e che rappresenta il 13 per cento del Pil”.

Inoltre ha affrontato il problema centrale del Paese, quello delle impreseche hanno necessità di essere sostenute per riprendere vigorosamente a produrre ricchezza e costruire il futuro dell’Italia.

Il leader della Lega ha concluso: “non ho parlato di poltrone o di nomi, ma di cose da fare per il Paese”. Fra le cose da fare mi ha colpito la sua attenzione a quei milioni di persone che soffrono per disabilità spesso terribili perché sono soli e abbandonati e spesso nessuno li ascolta.

Il confronto con Zingaretti e il Pd si è imposto ieri mattina aprendo il “Corriere della sera” e leggendo questo titolo su un’intera pagina riferito al nuovo governo: “Il segretario del Pd soddisfatto: ‘Così possiamo impedire che centrodestra e Renzi prendano il sopravvento’”.

La differenza è abissale. Il primo, Salvini, ha parlato con Draghi degli italiani (i disabili, il settore turismo che è ko, le imprese che devono riprendere a lavorare). Il secondo, Zingaretti, si è preoccupato di poltrone e di piantare bandierine di partito, cosa che confessa apertamente: “Il Pd ha mantenuto una grande unità che gli ha permesso di collocarsi bene… Non era scontato. E’ stata un’altra importante prova che ripropone il Pd come forza centrale del cambiamento”.

A parte l’uso a sproposito della parola cambiamento (giacché il Pd è sempre al governo e c’è pur avendo perso le elezioni, cosicché l’unico cambiamento vero sarebbe il suo passaggio all’opposizione dove lo avevano messo gli italiani con il voto del 2018), appare chiaro che Zingaretti è andato da Draghi con questo unico obiettivo: le poltrone.

Avendogli tolto gran parte del potere, Draghi (secondo gli osservatori, come Marzio Breda, avrebbe avuto un ruolo anche Mattarella) ha fatto concessioni d’immagine al Pd, per esempio lasciando alcuni (pessimi) ministri del governo Conte, cosicché Zingaretti ora parla di una certa continuità e vanta un successo mentre in realtà la sua è una disfatta.

Il mandato di Draghi infatti stava in queste parole di Mattarella: “Avverto il dovere di rivolgere un appello a tutte le forze politiche presenti in Parlamento perché conferiscano la fiducia a un governo di alto profilo”.

Il monopolio del potere PD/M5S nei fatti è stato archiviato. Si deve aprire una stagione nuova all’insegna dell’unità della nazione e dei partiti: a questo appello hanno aderito Lega e FI. Però Zingaretti, per non apparire il grande sconfitto, sbandiera le poltrone ottenute e l’unità col M5S (che in realtà sta esplodendo) come l’asse che condizionerà questo governo.

Il confronto fra Zingaretti e il comportamento tenuto da Salvini e Berlusconi è impietoso per il segretario Dem. La presunta (e autocertificata) superiorità culturale e morale della Sinistra, sempre sbandierata sui giornali progressisti, non si è vista. Anzi, si è visto l’esatto contrario.

Fra l’altro Zingaretti è incorso nell’ennesimo incidente che evidenzia la storica ipocrisia della Sinistra. L’ha sottolineato perfino Concita de Gregorio sulla prima pagina di Repubblica: “Parole tante. Alla prova dei fatti, poi, la sinistra non porta donne al governo. Zero, dal Pd e da Leu. E’ tristissimo, è antistorico, desolante, ma è così: inconfutabile”.

E anche qui il confronto con il Centrodestra è micidiale, perché Forza Italia e Lega, senza mai aver fatto proclami femministi, né quote rosa, hanno tre ministri donne e tre uomini.

Ma soprattutto risalta la diversità di atteggiamento culturale, morale e politico. Le parole di Mattarella invitavano tutti i partiti a voltare pagina e a dare al Paese un segnale di forte coesione in questo momento drammatico.

Ieri, tramite il solito quirinalista, dal Colle più alto è stato fatto arrivare un messaggio che va nella stessa direzione, condensato in una frase di Albert Camus che “in tempi di catastrofi” invitava a fare “lo sforzo di dominare i propri risentimenti”.

Una splendida esortazione, che però Pd e M5S non mostrano di voler ascoltare. I Dem e i grillini non si sono ancora accorti che la guerra è finita e sono in subbuglio.

Zingaretti anche ieri rivendicava il merito di aver “salvato il Paese dalla marea populista”: l’ennesima gaffe visto che il Pd, proprio grazie alla “marea populista” del M5S, è tornato al potere dopo la sconfitta elettorale.

A prendere sul serio l’esortazione del Capo dello Stato è stato solo il centrodestra che non ha messo veti a nessuno. In particolare Salvini – a costo di scandalizzare qualche suo tifoso superficiale – ha dato l’esempio di una politica che sa mettere da parte gli interessi di partito e sa trovare l’unità d’intenti nei momenti drammatici: ha evocato il governo di unità nazionale guidato da De Gasperi nel dopoguerra, quando il Paese era in macerie (un po’ come oggi), si è detto pronto a collaborare con chiunque e ha perfino glissato, venerdì, sull’incomprensibile riconferma dei ministri Speranza e Lamorgese, dichiarando che, se non cambiano approccio, “avranno bisogno di aiuto e sostegno”. Insomma un dialogo costruttivo.

Più collaborativi di così non si può essere. Ma a Sinistra, anziché cogliere questa mano tesa e rispondere con eguale disponibilità, si sono scatenate le tifoserie dei social e dei giornali per irridere le “conversioni” di Salvini.

E’ una Sinistra che è vissuta finora di odio e non sa uscirne. Col governo Draghi riuscirà a pensare finalmente al Paese e a fare a meno di un nemico da indicare al pubblico disprezzo?

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 14 febbraio 2021

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