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Il Ponte Levatoio

Il muro è confine e il confine è civiltà. Il nostro corpo ha un confine in quanto è finito. Tutto ciò che esiste di visibile e materiale ha un confine altrimenti non potrebbe esistere la molteplicità. Esisterebbe una sola materia infinita e indefinita.

È il confine che permette la vita e la molteplicità. E quindi la grandezza e la piccolezza, la sicurezza e il “modo”. In fondo è il confine che permette anche la bellezza, la verità, il giusto, il buono, distinguendoli dalla bruttezza, dalla menzogna, dall’ingiusto, dal male. Perché il confine è misura. Ed essendo misura è carità. Non infinita, ma attiva. Il confine, come detto, è civiltà.

Il muro è un confine. Il muro difende dal male, difende dagli assalti, difende i deboli e pure i forti, difende il bene e il bello. Il muro crea la città e la civiltà, garantisce la cultura e il progresso, permette il commercio e il benessere, sostiene la crescita dei bambini e il riposo dei vecchi, il lavoro degli uomini e l’amore delle madri.

Il muro è bene.

Ma se il muro fosse continuo e lunghissimo, tipo muraglia cinese, avrebbe – seppur nel quadro delle positività prima espresse – una mancanza. Sarebbe solo ostacolo al male ma non apertura al bene. Il muro, per essere perfetto, deve avere un’apertura, che permette l’incontro giusto e conveniente, l’incontro che porta vantaggio spirituale, morale, politico, civile, economico, culturale. L’incontro che porta amore e accresce la civiltà.

Ma questa apertura non può essere indiscriminata, perché renderebbe inutile il muro intero, per quanto immenso. L’apertura deve essere piccola e controllabile, in maniera da poter far entrare e uscire solo ciò e chi conviene far entrare e uscire.

L’apertura presuppone un ponte, certo, ma questo ponte non può essere fisso in quanto diverrebbe un suicidio per la città stessa. Deve essere un’apertura che permette un ponte, che però a sua volta è retrattile quando necessario e conveniente.

La perfezione del muro, che è confine, che è civiltà, che è carità, è il ponte levatoio.

Il ponte levatoio è gestito dalla ratio umana, e questa ne è padrona e responsabile, e deve usarlo per il bene di tutti gli abitanti della città come dei forestieri.

I nostri ponti levatoi, quelli che Dio ci ha dato, sono gli occhi e la bocca. Non per niente, sono apribili e chiudibili, a differenza per esempio delle orecchie o del naso. Perché spetta a noi decidere quando aprire e quando chiudere, cosa far entrare e cosa far uscire. Proprio la metafora degli occhi e della bocca ci danno il portato dell’importanza vitale e direi divina del confine, del muro e del ponte levatoio.

Il ponte levatoio è la difesa dell’anima.

Non per niente, la civiltà cristiana ha eretto muri, fortezze e castelli ovunque, ma ovunque vi era un ponte levatoio, ben difeso, e utilizzato per il bene di tutti. A differenza della società odierna, che costruisce muri di odio invalicabili come i campi di sterminio o abbatte ogni muro per giungere alla distruzione di ogni civiltà, di ogni bellezza, di ogni bene, di ogni identità, di ogni confine, di ogni musura e bellezza, per creare un mostro infinito, grosso quanto la terra stessa.

La civiltà cristiana con i suoi muri e ponti levatoi era mossa dalla carità. Questa società è mossa solo dall’odio, l’odio del filo spinato come l’odio del mondialismo dissolutore.

Tutti coloro, nessuno escluso, che predicano di abbattere i muri, predicano, consapevoli o meno che siano, di abbattere la bellezza, la civiltà, la verità, la carità stessa. E tutti, nessuno escluso, vivono ben difesi da mura, costruite, in alcuni casi, da quegli uomini del passato che tanto disprezzano ma della cui opera ogni giorno usufruiscono, erigendosi a distruttori dei confini degli altri.

Io appartengo al mondo del confine, della misura, del muro, e del ponte levatoio, che mi dà la possibilità di esercitare il mio libero arbitrio. E di vivere, quindi, la vera carità, selezionando la verità dalla menzogna, la bellezza dalla bruttezza, la giustizia dall’ingiustizia, gli amici veri dagli amici dei nemici.

Per questo ho deciso di chiamare il mio blog “ponte levatoio”. È una perfetta metafora del mio mondo, del mondo che intendo difendere e a cui appartengo. E da sempre adopero il ponte levatoio della mia coscienza per l’esplicazione della mia vita, del mio apostolato, del mio lavoro, dei miei affetti.

Sono tornati i giorni del ponte levatoio. Dentro un tipo di umanità, fuori un altro tipo di umanità.
Il ponte levatoio, che non è mai sempre chiuso né mai sempre aperto, è il confine, munito di logos e di carità.

Massimo Viglione

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