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Irene Zavattero Il Liber Gomorrhianus di Pier Damiani 1. Pier Damiani (1007-1072), monaco e priore del monastero di Fonte Avellana, vicino a Gubbio e, in seguito, cardinale di Ostia, fu una delle personalità di maggior spicco dell’XI secolo. Vissuto in tempi agitati e profondamente corrotti (nell’arco di trent’anni, dal 1012 al 1048, ben otto papi si erano avvicendati sul seggio apostolico, appannaggio ormai delle grandi famiglie aristocratiche) Damiani, seppur a malincuore, abbandonò la vita eremitica per farsi promotore in Italia di quella riforma ecclesiastica iniziata un secolo prima a Cluny. Cominciò così ad agire in prima persona, dapprima allacciando rapporti epistolari con i pontefici, poi incontrandoli e divenendone uomo di fiducia e di consiglio. Per Damiani la preoccupazione maggiore era quella di combattere con tutte le forze l’incontinenza del clero e farvi rivivere la virtù della purezza e della castità perfetta. Nei suoi scritti combatté energicamente le manifestazioni più palesi di questa corruzione (le cosiddette “piaghe del secolo”): la simonia e il nicolaismo. Tantomeno poteva risparmiare quel «vizio assai scellerato e obbrobrioso» – sono le sue mordaci parole – «che dilagava negli ordini ecclesiastici: la «sozzura sodomitica». Nel tentativo di far luce su questo vergognoso costume del clero, egli scrisse, intorno alla seconda metà del 1049, il Liber Gomorrhianus (LG), inviandolo con una dedica al papa Leone IX, nella cui volontà riformatrice Damiani confidava profondamente. Con dovizia di particolari e usando termini arditi, l’autore descrive i vari tipi di comportamento omosessuale e li condanna come ostili alla natura (nature probatur adversum) perché commessi da persone dello stesso sesso. Secondo Damiani non ci sono dubbi: chi ha commesso questo peccato, in qualsiasi modo se ne sia macchiato, non deve essere accettato negli ordini ecclesiastici; e se ne fa già parte, deve essere degradato e allontanato dall’ordine. Segnalato da molti studiosi, il LG è unanimamente considerato la dichiarazione medievale più importante e più esplicita sull’omosessualità. In particolare, Mirbt (1894, 250) ritiene così inquietante la franchezza di quest’opera che «si potrebbe dubitare delle buone intenzioni dell’autore se non si sapesse che è Pier Damiani»; secondo Ryan (1956, 20) è un «trattato sconvolgente»; Bailey (1975, 111), invece, lo definisce una «composizione straordinaria», e secondo Brundage (1987, 213) «la dettagliata e esplicita diatriba di Damiani contro il vizio innaturale è unica nel suo genere». Boswell fa riferimento a Damiani inserendolo in quel «piccolo e rumoroso gruppo di asceti» che risvegliò la violenta ostilità di Crisostomo, secondo cui gli atti omosessuali non solo erano peccaminosi, ma così gravi da essere paragonati più all’assassinio che alla golosità o alla fornicazione (Boswell 1980, 265-66). Secondo Boswell, per tutto il periodo della riforma ecclesiastica questi uomini lottarono invano per interessare la Chiesa istituzionale alla loro crociata; le autorità ecclesiastiche, infatti, non stabilirono mai delle punizioni per il comportamento omosessuale e finsero di non sentire quelle poche lamentele che ricevevano dai riformatori. Come Damiani, anche Ivo di Chartres, uno dei più eminenti uomini della Chiesa del tempo, denunciò a Urbano II, il papa della prima crociata, i nomi di alcuni prelati altolocati che erano ben conosciuti per essere coinvolti in attività omosessuali, ma anche la sua protesta cadde nel vuoto. Un concilio tenutosi a Londra nel 1102 cercò di introdurre in Inghilterra una legislazione ecclesiastica che definiva peccaminoso il comportamento omosessuale e insistette perché la “sodomia” venisse confessata come peccato. Ma Anselmo di Canterbury si oppose alla pubblicazione del decreto e, in una lettera all’arcidiacono Guglielmo, scrisse: «questo peccato è stato finora così comune che difficilmente si prova imbarazzo per esso, e perciò molti sono caduti in tale peccato perché erano inconsapevoli della sua gravità». Boswell (1980, 269) sostiene che il decreto non venne mai pubblicato, mentre Brundage (1987, 214) sembra sottintendere il contrario, giacché reputa tale provvedimento un «passo straordinario, [...] l’unica istanza in cui la posizione rigorista di Damiani ricevette un supporto esplicito dalla legislazione». Le testimonianze di condanna dell’omosessualità, nei secoli che precedono la riforma ecclesiastica, sono rare e rintracciabili, per lo più, nella letteratura penitenziale e in alcuni atti legislativi, civili ed ecclesiastici. Nei penitenziali, cioè nei manuali redatti ad uso dei confessori e contenenti liste di peccati con la corrispondente tassa penitenziale, c’era sempre almeno un canone che censurava l’omosessualità. Alcuni erano indirizzati a vescovi, preti, diaconi e monaci, chiamati genericamente sodomites, ai quali le penitenze venivano comminate in base al grado ecclesiastico e potevano oscillare dai tre anni per i rapporti interfemorali o orali, ai venti anni per il sodomiticum peccatum. Damiani, nel LG, sferza un violento attacco contro i penitenziali: «l’astuzia del diavolo ha inserito cose false e sacrileghe fra i canoni sacri, cose che è preferibile per noi cancellare piuttosto che scrivere, sputarci sopra piuttosto che imprimere sulla carta beffe tanto inconsistenti. Ecco, in questi vaneggiamenti confidano i sodomiti!». Questi manuali, che in origine raccoglievano i canoni conciliari e i decreti pontifici, col tempo cominciarono a manifestare rilevanti divergenze nella valutazione dei peccati e nell’assegnazione delle pene (spesso era lo stesso compilatore ad aggiungere ai canoni antichi delle tariffe arbitrarie). Per questo motivo crebbe nei loro confronti un forte malcontento, di cui Damiani si fece, come abbiamo visto, portavoce. Nel 533 l’imperatore Giustiniano aveva collocato tutte le relazioni omosessuali nella stessa categoria dell’adulterio e le aveva sottoposte per la prima volta a sanzioni civili (l’adulterio era a quel tempo punibile con la pena di morte). Intorno al 650 il governo della Spagna visigotica approvò una legislazione contro gli atti omosessuali che stabiliva la castrazione per chi li commetteva. La Chiesa, invece, in occasione del concilio di Elvira (305-306), nel sud della Spagna, aveva incluso fra i suoi decreti un canone che proibiva agli stupratores puerorum di fare la comunione, anche in punto di morte, e durante il concilio di Ancira (314), in Asia Minore, emanò due canoni in cui venivano puniti gli ¢logeus£menoi, letteralmente “coloro che hanno abbandonato la ragione”. Damiani cita questi due canoni nel LG per condannare non solo chi ha consumato l’atto, ma anche chi ha praticato con altri maschi la masturbazione e il rapporto interfemorale. Ma il fatto che Damiani non potesse citare provvedimenti ecclesiastici più recenti del Concilio di Ancira, «è prova significativa dell’indifferenza della Chiesa del primo Medioevo» (Boswell 1980, 266), e tale indifferenza è tanto più evidente se confrontata con l’intolleranza che caratterizzò il tardo Medioevo, come appare dalle considerazioni che seguono. Nel 1179, a più di un secolo di distanza dal LG, il Concilio Laterano III emanò i primi regolamenti sugli atti omosessuali: «Chiunque abbia commesso quella lussuria che è contro natura [...], se ecclesiastico, sarà espulso dal clero o confinato in un monastero a fare penitenza; se laico, sarà soggetto alla scomunica e sarà scacciato dalla congregazione dei fedeli». Un editto regio castigliano della metà del XIII secolo, promulgato da Alfonso X, ordinò che chi avesse commesso questo peccato contro natura venisse castrato di fronte al popolo, appeso per le gambe fino a che non morisse e che il suo corpo non venisse mai deposto. Contemporaneamente, nella maggior parte d’Europa vennero emanate leggi in cui l’omosessualità era punita con la pena di morte: in Francia era previsto, per chi era colpevole di omosessualità, per la prima volta, la castrazione; per la seconda volta, l’amputazione di un arto; per la terza volta, il rogo (cfr. Boswell 1980, 353). In Inghilterra, re Edoardo II fu brutalmente ucciso con il suo amante. Nell’arco di duecento anni, quindi, l’atteggiamento nei confronti dell’omosessualità cambiò radicalmente: si passò da una relativa indifferenza ad una feroce intolleranza e, in questo quadro, il LG si inserisce come spartiacque fra le due posizioni e come precursore delle posizioni più intransigenti. Le accuse che Damiani scrisse nel LG non avevano precedenti, nessuno aveva mai denunciato il dilagare dell’omosessualità nel clero e l’autore stesso ne era consapevole: il ruolo di anticipatore dei tempi gli costerà molti duri attacchi. Quanto alla formulazione dell’invettiva, la schiettezza e la minuziosità delle descrizioni, aggiunte all’asprezza dello stile, rendono il LG l’unico esemplare di trattato contro l’omosessualità che, almeno per ora, la storia ci ha consegnato. Verifichiamo queste peculiarità entrando nel merito della trattazione. 2. Damiani si rivolge al papa per sottoporre un problema, un dubbio riguardante la cura delle anime, sicuro di ricevere i chiarimenti necessari per «abbattere le tenebre del dubbio»: «Nelle nostre regioni, cresce un vizio assai scellerato e obbrobrioso. Se la mano della severa punizione non lo affronterà al più presto, certamente la spada del furore divino infierirà terribilmente, minacciando la sventura di molti. Ah, mi vergogno a dirlo! Mi vergogno ad annunciare una cosa tanto vergognosa alle sante orecchie, ma se il medico inorridisce per il fetore delle piaghe, chi userà il cauterio? Se colui che sta medicando, si nausea, chi guarirà le anime malate? La sozzura sodomitica si insinua come un cancro nell’ordine ecclesiastico, anzi, come una bestia assetata di sangue infuria nell’ovile di Cristo con libera audacia». Damiani precisa che ci sono quattro tipi di Sodomitica immunditia: la masturbazione solitaria, la masturbazione reciproca, la fornicazione femorale e il rapporto anale. Questa classificazione, benché ammetta che il primo comportamento sia meno grave dei seguenti, inserisce la masturbazione fra i peccati dei sodomiti e ne prevede una punizione altrettanto severa: «non si illuda colui che non pecca con un altro, se da solo cade nelle lusinghe di lussuriose contaminazioni». Nei penitenziali la masturbazione veniva punita come una forma di fornicazione ma non era inserita nella categoria dei peccati di Sodoma. Di solito per more sodomitico si intendeva solamente la penetrazione in posteriora, e nessuno degli altri tre comportamenti veniva definito “sodomitico”. Invece, Damiani in più occasioni tiene a precisare che tutti e quattro i tipi di quell’attività “contro natura” sono da punire e, commentando il passo del Genesi su Sodoma e Gomorra, sostiene che gli abitanti di Sodoma non avessero praticato solamente la penetrazione anale, «ma piuttosto» dice Damiani «si deve credere che per l’impeto della sfrenata libidine, essi abbiano commesso atti turpi in diversi modi, su di sé o su altri». E aggiunge: «come da un unico ceppo di vite germogliano diversi tralci, così da una sola lordura sodomita nascono, come da una velenosissima radice, quei quattro ramoscelli [...], talché chiunque strappi il grappolo d’uva pestifero da uno qualunque di quelli, subito muore infettato dal veleno». Stabiliti i tipi di comportamento da punire, l’autore valuta quale provvedimento adottare, «chi fra i colpevoli di queste cose debba essere irrevocabilmente allontanato dall’ordine ecclesiastico e chi, tenendo conto, certamente, della diversità [dei peccati], possa ricoprire misericordiosamente questo ufficio». Egli propone un’unica drastica soluzione: tutti gli ecclesiastici colpevoli di qualsiasi atto omosessuale devono essere immediatamente degradati, a qualunque grado essi appartengano. Damiani ritiene che l’omosessualità sia contro natura (nature probatur adversum) perché praticata da persone dello stesso sesso. Anzi sostiene: «questo peccatore vorrebbe compiere in un maschio tutto ciò che si fa ad una donna, si natura permitteret»! Sulla violazione delle leggi di natura, Damiani ritorna più volte: 1) a riguardo di un padre spirituale, che contaminandosi con il “figlio spirituale”, ha commesso incesto – poiché il legame spirituale, come dice Valafrido Strabone, è più importante di quello carnale – e ha violato le leggi di natura peccando con un maschio; 2) a proposito dei sodomiti, chiamati dal concilio di Ancira «coloro che hanno vissuto irrazionalmente» poiché hanno venduto la propria carne al demonio contra legem nature e contro la ragione umana. Solo il demonio poteva inventare questi mali, cui la natura umana si ribella perché sono rapporti fra persone dello stesso sesso (difficultas non diversis sexus abhorreat); 3) per ciò che spinge un uomo ad unirsi con un altro uomo, poiché non si tratta di un naturalis impetus della carne ma dell’istigazione del diavolo. Dagli scritti di Damiani si ricava un concetto di natura molto pratico e semplice, quello, cioè, riscontrabile nel mondo fisico. Egli non affronta filosoficamente il concetto di natura o di essenza, ma per definirlo ricorre a degli esempi concreti di ordine naturale: non succede mai che un caprone, preso da libidine, salti sopra un altro caprone, e neanche l’ariete, o il toro, o l’asino lo fanno. «Quindi, non temono questi uomini persi di compiere ciò che anche gli stessi rozzi animali aborriscono? Ciò che è commesso dall’audacia della perversità umana è condannato dal giudizio delle bestie che sono prive di intelligenza». Pertanto, è contra naturam un comportamento imprevisto o insolito rispetto all’ordine consueto delle cose, e diverso dall’esperienza comune. Le parole di Damiani si inaspriscono ancora di più quando si rivolge direttamente ai religiosi omosessuali: «O riprovevoli sodomiti, perché desiderate, vi chiedo, con tanto ambizioso ardore, l’alta carica ecclesiastica?»; «Dio onnipotente disdegna di ricevere l’offerta dalle vostre mani»; «costoro non conoscono Dio ma pretendono di fare da intermediari fra Dio e gli uomini, pretendono di placare l’ira del Signore quando la loro stessa vita merita il castigo divino; continuano a offrire sacrifici a Dio, ma dovrebbero sapere che Dio non accetta le offerte dalle luride mani degli empi». Ancor più grave è il comportamento di quegli ecclesiastici che, dopo aver peccato, si confessano fra di loro e di quei confessori che peccano con i loro penitenti (filius penitentiae): Damiani ricorda che, nella confessione, chi riceve la penitenza diventa figlio di chi lo assolve, il quale, a sua volta, viene chiamato padre. Dunque se è un sacrilegio peccare con un figlio carnale, lo è altrettanto con un “figlio di penitenza”. Nella seconda parte del LG, Damiani apostrofa i peccatori chiamandoli «riprovevoli sodomiti», «fornicatori»; si rivolge direttamente all’«anima infelice», all’«anima miserevole», cerca di scuoterla dal «torpore della misera voluttà», e se dapprima la condanna duramente, alla fine sembra confortarla: «se infatti il diavolo è tanto potente da farti sprofondare in questo vizio, Cristo è molto più potente e ti può riportare alla cima da cui sei caduto». «Sono davvero infelici le anime dopo che questo velenosissimo serpente le ha morse. Toglie subito la facoltà di pensare, cancella la memoria, oscura l’acutezza della mente, fa dimenticare Dio e anche se stessi. Questa peste, infatti, annulla il sentimento della fede, infiacchisce la forza della speranza, cancella il vincolo della carità, toglie la giustizia, abbatte il coraggio, rimuove la temperanza, ottunde l’acume della prudenza». Nonostante l’ampollosità del discorso di Damiani, gli ultimi capitoli del LG sono più di un semplice orpello letterario: sono la manifestazione profonda di un uomo genuinamente interessato a muovere le anime al pentimento e alla speranza e anzi, proprio alla fine, Damiani sembra volersi giustificare per quello che ha scritto. Egli si dice consapevole di suscitare sgomento e rammarico nel lettore, sa che verrà chiamato «traditore e delatore del fratello». Ma Damiani non teme «gli odi dei cattivi o le lingue dei detrattori», egli ha solamente cercato di esprimere con tutta la cura possibile l’entusiasmo dettatogli dal Giudice Supremo che sente dentro di sé. Damiani sottopone questa lettera veemente e accorata all’autorità del papa per conoscerne il parere, ma anche perché diventi lo spunto per una decretali pagina e, forse, per un sinodo: «dum plurimorum consensu et iudicio res geritur». Damiani riponeva molta fiducia in Leone IX, ma la risposta del papa non corrispose alle sue attese. 3. Leone IX (1049-1054) fu il primo vero papa riformatore. Nei sinodi tenutisi sotto il suo pontificato dichiarò guerra alla simonia e all’incontinenza del clero. Pier Damiani, che ne era il consigliere, partecipò personalmente a ciascuno di questi sinodi e iniziò a concretizzare la sua opera a favore della Chiesa scrivendo numerose lettere, fra cui il Liber Gomorrhianus, alle autorità ecclesiastiche e civili. In risposta al LG, il pontefice scrive a Pier Damiani una cortese lettera di apprezzamento per l’opuscolo che gli ha inviato e lo rassicura di aver dato prova di sé come nemico della contaminazione della carne. Ne gradisce lo stile franco e il ragionamento sincero che, indiscutibilmente, lo rendono degno di combattere la lotta contro i peccati dalla parte della giustizia. Anche papa Leone condanna questo «desiderio osceno» che allontana dalla virtù cristiana chiunque lo commetta e che, a maggior ragione, è detestabile se compiuto da dei sacerdoti: «come può uno essere ecclesiastico o chiamarsi tale, quando non ha temuto di macchiarsi di sua propria volontà?» Proprio i ministri del Signore che «potrebbero chiamarsi non solo tempio sacro di Dio, ma anche santuario in cui l’Agnello di Dio è stato immolato in splendida gloria», proprio loro conducono una vita tanto disgustosa. Quindi, Leone IX approva la punizione che Damiani ha previsto per questi peccatori, definisce il suo tono pungente «santa indignazione» e lo rassicura sulla validità delle sue affermazioni. Tuttavia, Leone IX impone la sua autorità apostolica, come del resto lo stesso Damiani aveva chiesto, in modo «da rimuovere ogni scrupoloso dubbio a quelli che leggono», e ordina: «noi agiremo più umanamente». Egli, infatti, comanda che gli ecclesiastici non coinvolti in tali attività «da lunga abitudine o con molti uomini» rimangano nello stesso grado che occupavano quando erano stati dichiarati colpevoli, e che solo quelli in stato particolarmente peccaminoso vengano degradati dal loro rango. In particolare, chi ha peccato nei primi tre modi, vale a dire, secondo la classificazione di Damiani, praticando masturbazione solitaria, masturbazione reciproca o coito interfemorale, dopo un periodo di penitenza, può essere riammesso al grado ecclesiastico che ricopriva prima. Ma non c’è speranza di recuperare la carica per chi ha peccato nei suddetti modi per lungo tempo oppure per poco tempo ma con molti uomini. La stessa sorte spetta a quelli che si sono uniti mediante la penetrazione anale, poiché hanno commesso il delitto più grave e impronunciabile. Il papa sembra voler accontentare Damiani comminando la degradazione nei casi in cui la gravità del peccato sia proprio innegabile ma, nello stesso tempo, non si inasprisce contro i peccatori anzi, usa un tono comprensivo: sed nos humanius agentes .... Inoltre, sembra lasciare volutamente imprecisato che cosa intenda con “abitudine” e con “pochi” o “molti” uomini. Nelle sue parole si legge chiaramente un atteggiamento tollerante. Leone IX impone la sua decisione (volumus, atque etiam iubemus) dando alla lettera la validità di un decreto: «Se qualcuno oserà fare critiche o porre dubbi su questo decreto di direzione apostolica, sappia che sta mettendo in pericolo la sua carica». Bailey (1955, 114) ha interpretato questa frase come un ammonimento diretto a Pier Damiani, mentre Boswell (1980, 267 n. 12) sostiene il contrario. In effetti, l’ammonimento viene chiarito poco dopo con l’aggiunta: «chi non commette il vizio ma lo incoraggia, costui è, giustamente, considerato colpevole di morte al pari di chi muore nel peccato». Certamente incoraggia il vizio chi non vuole che venga estirpato e, quindi, l’avvertimento, a nostro avviso, è rivolto in primo luogo a quelli che preferirebbero cancellare il decreto di Leone IX, vale a dire, con tutta probabilità, agli accusati, al clero omosessuale. Tuttavia è chiaro che il papa mette in guardia anche Damiani da una eventuale protesta contro un provvedimento così comprensivo. Leone IX è restio ad approvare il LG; i complimenti che rivolge a Damiani sono frasi di circostanza, lo saluta come un paladino della giustizia e lo premia con l’augurio della grazia eterna, ma, poco prima, gli dice «hai scritto ciò che sembrava meglio per te», sottintendendo che le sue opinioni personali non incontravano quelle di Damiani. Non bisogna dimenticare che Damiani aveva chiesto a Leone IX di scrivere una pagina decretali, di radunare degli «uomini spirituali e prudenti per compiere questo necessario esame» e per togliere, così, ogni dubbio dal suo cuore. Ma il papa aggira la questione scrivendo questo apostolicae sanctionis decretum, e non convocherà mai un concilio per discuterne. Le testimonianze dei sinodi di Leone IX riferiscono di numerosi interventi contro la simonia o il matrimonio ecclesiastico, ma non contro l’omosessualità. Durante gli ultimi anni del suo pontificato, si verificò un certo allontanamento fra Leone IX e Damiani (cfr. Lucchesi 1972, 92). Bailey (1955, 114) ipotizza che il contrasto fra i due sia stato provocato proprio dalla reazione del papa al LG ma, come sostiene Boswell (1980, 293 n. 12), la ragione di tale allontanamento deve essere piuttosto ricercata in un’altra lettera che Damiani scrisse a Leone IX tra il 1050 e il 1054 (v. Reindel 1983-1993, I, 332-334). Questa lettera mostra chiaramente che fra i due c’era stata una forte rottura, perché Damiani dice di volersi riconciliare con Leone IX e di essere pronto a fare ulteriori penitenze per meritarlo. Nello stesso tempo, l’autore non risparmia battute pungenti per il papa: «è doveroso credere che Dio abiti nel suo cuore e che Dio lo convinca a cedere alla benevolenza di chi scrive». Damiani si scaglia contro i suoi accusatori, contro quell’«antico nemico» che ha affilato le lingue dei maligni contro di lui e che, quotidianamente, si ingegna nella costruzione di nuove menzogne. Egli è amareggiato e sorpreso perché «l’astuta capacità degli uomini» è riuscita ad ingannare anche il papa facendogli credere queste menzogne. Eppure il Signore insegna che non bisogna giudicare con troppa facilità le cose che non si conoscono. Di Sodoma e Gomorra, egli infatti dice: «Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me». Dunque, Damiani rimprovera a Leone IX di aver dato credito alle falsità sul suo conto senza verificare la loro corrispondenza con la verità e di non aver usato nei suoi confronti quella cautela e quella prudenza con cui era solito agire. Ma i suoi accusatori e l’«antico nemico» chi sono? Perché lo accusano? Secondo Lucchesi (1972, 83), il LG avrebbe suscitato un certo scalpore sia tra il pubblico sia nell’ambiente pontificio e quindi, in questa lettera indirizzata a Leone IX, Damiani risponderebbe alle perplessità e alle proteste mosse contro di lui. In effetti, chi più delle persone colpite dalle invettive del LG avrebbe avuto motivo di accusarlo e di inventare menzogne contro di lui, se non il clamor Sodomorum et Gomorrhaeorum? Damiani non ci dice di che cosa lo accusino, non sappiamo quali siano le malignità formulate contro di lui: forse maldicenze sulla sua ossessione per la peccaminosità del sesso (Brundage 1987, 185), o forse semplici condanne al suo stile troppo pungente e violento (Ryan 1956, 155 n. 107). Credo che questi elementi siano sufficienti per dire che probabilmente, dopo una prima cauta adesione alle idee del LG, il giudizio di Leone IX si sia inasprito a causa delle voci maligne sul conto di Damiani, oltre che per la cattiva luce gettata sul clero dal LG, e che quindi il papa abbia anche annullato ogni provvedimento contro il clero omosessuale previsto dalla pagina decretali. In effetti, non ci è giunta nessuna testimonianza circa la sua applicazione e nemmeno la prova di altre discussioni sull’argomento, e questo giustificherebbe il tono risentito della lettera di Damiani, che forse aveva visto vanificate tutte le sue fatiche. La risposta di Leone è, quindi, la risposta di un pontefice più interessato a mantenere la stabilità all’interno del clero che a punire le relazioni omosessuali. Ma Damiani non si arrende, e il LG, venti anni dopo, sarà nelle mani di un altro papa: Alessandro II. 4. Alessandro II (1061-1073) fu un ardente riformatore dei costumi ecclesiastici, un uomo equilibrato, ma poco energico, e molto legato al suo consigliere Pier Damiani, soprattutto nei primi anni del pontificato. In una lettera del 1069 (v. Reindel 1983-93, IV, 74-79), indirizzata ai cardinali Stefano e Ildebrando, Damiani racconta di come Alessandro II gli abbia chiesto in prestito il manoscritto di un suo lavoro col pretesto di volerne avere una copia ad uso personale. Nottetempo, però, il pontefice avrebbe nascosto il manoscritto in una teca e, in seguito, si sarebbe rifiutato di restituirlo all’autore. Damiani si dice offeso da questo furto e si lamenta a lungo con toni infuriati e appassionati contro il comportamento del papa. Boswell (1980, 268 n. 17) e Brundage (1987, 212-13), in accordo con altri studiosi precedenti, ritengono che il libro in questione sia il LG. Secondo Ryan (1956, 155-56), la lamentela di Damiani non è un gioco retorico, come alcuni l’hanno definita; la sua preoccupazione sembrerebbe reale. Egli ritiene però che il LG non abbia nulla a che fare con l’incidente raccontato nella lettera perché, a suo avviso, è molto improbabile che Pier Damiani avesse con sé, a Roma, il LG venti anni dopo la sua composizione; cosa che, invece, non esclude Boswell, visto che l’autore cercava ancora di interessare il papato ad una riforma su tali questioni. Ma analizziamo il contenuto della lettera. Pier Damiani chiama questo libro «figlio», quell’unicum filium che aveva stretto a sé con il dolce abbraccio di un genitore, che gli era costato tanta fatica e che aveva quasi strappato alla povertà del suo misero ingegno. L’autore si esprime con toni affettuosi come se parlasse di una persona cara e cerca di rendere partecipi gli amici Stefano e Ildebrando del suo rammarico e del suo risentimento per il furto subito, triste ricompensa per il duro lavoro. Inoltre, l’atteggiamento canzonatorio ed evasivo del papa infastidisce ulteriormente Damiani, che non esita a paragonare il pontefice ad un pazzo «che scaglia tizzoni e frecce di morte» e che poi si giustifica dicendo che era uno scherzo. Se papa Alessandro ritiene, come dimostra con il suo comportamento, che il sacerdote sia un attore, allora anche Damiani si sente autorizzato a giocare e a scherzare con il nome del papa, formulando così una serie di velate minacce circa il suo possibile destino. Infatti, Alessandro porta lo stesso nome di quel pontefice che fu flagellato e di quel ramaio, avido di denaro, che S. Paolo affida al Signore perché lo punisca secondo le sue opere. Inoltre, Damiani ricorda al papa l’aiuto prestatogli contro Cadalo e tutte le tribolazioni che dovette sopportare in conseguenza di ciò: «avendo compiuto ciascuna di queste cose del tutto a servizio della sede apostolica, è giusto, io chiedo, che ora noi paghiamo, a questa stessa sede, anche e soprattutto il prezzo dell’oltraggio?». Queste parole così pungenti non sono una finzione letteraria: Damiani è in collera perché il suo codice ormai è «perduto», è indignato per l’atteggiamento canzonatorio del papa, per il fatto che gli ha sottratto il libro con un sotterfugio e che non si decide a restituirglielo. Forse si trattava dell’unica copia esistente e, quindi, il furto avrebbe significato la perdita irreparabile di un suo intero lavoro. Damiani prova anche a sminuirne il contenuto, in fondo – dice – si trattava di una serie di brani “mediocri”, ed esorta il papa a non allontanare da sé il misero autore propter brevem vilis articuli seriem. A tutto questo dobbiamo aggiungere che non era nelle intenzioni di Damiani dare quel lavoro ad Alessandro — «sapeva che non lo avrebbe potuto ottenere da me in altro modo» —; ma perché, allora, lo aveva con sé? Forse voleva solamente chiedergli un parere sulla qualità del suo componimento, forse voleva provare nuovamente, come aveva fatto con Leone IX, a proporre dei severi provvedimenti contro l’omosessualità del clero. Se accettiamo l’ipotesi che il codice sottratto fosse il LG, viene da chiedersi per quale motivo Alessandro II si sentisse indotto a nascondere o, perlomeno, a trattenere il libro. Forse perché era troppo violento e diretto, o perché proponeva sanzioni troppo pesanti. Boswell (1980, 267-68) sembra insinuare che lo stesso Alessandro II avesse delle ragioni personali che lo spingevano a tale gesto, poiché era allievo di Lanfranco di Pavia, famoso per il suo morboso attaccamento ai giovani monaci. O forse, più semplicemente Alessandro II considerava il LG “scomodo” e temeva, visto i precedenti, le reazioni che avrebbe potuto suscitare. Dopo questa ultima vicissitudine, non sappiamo come sia proseguita la storia del LG. Secondo Brundage (1987, 213), Damiani implorerebbe con successo i due cardinali di recuperare il libro e di restituirlo al suo autore; ma nella lettera non c’è traccia di una simile richiesta, anzi, l’autore coinvolge poco i due cardinali: indirizza loro la lettera e chiede una penitenza per le dure parole che ha pronunciato contro il papa. A parte questi due riferimenti espliciti, Damiani sembra rivolgersi ad un pubblico molto più vasto, di fronte al quale sfoga la sua amarezza. Grazie a Reindel, che ha ricostruito la tradizione manoscritta delle lettere di Damiani, sappiamo che il LG è tramandato, non sempre integralmente, da una ventina di codici, di cui almeno tre sono dell’XI secolo: il V1 e il V5, copiati nell’eremo di Fonte Avellana e oggi conservati presso la Biblioteca Vaticana (Cod. Lat. 3797 e Cod. Lat. 4930), e il C1 posseduto dalla biblioteca del monastero di Montecassino (Cod. 358). Questo ci dimostra che il LG non fu soppresso ma solamente nascosto, oppure che Damiani (o il monastero di Fonte Avellana) avesse conservato un esemplare, altrimenti il testo non sarebbe giunto attraverso i secoli fino a noi. Dopo aver preso in esame le varie ipotesi circa la storia del LG, a partire dal motivo che indusse Damiani a comporlo fino agli insuccessi subiti, prima con Leone IX e poi con Alessandro II, ci sembra di poter concludere che la Chiesa dell’XI secolo evitò in tutti i modi la discussione sull’omosessualità del clero. Inoltre, l’indifferenza della Chiesa sull’argomento è ancora più straordinaria se confrontata con l’accanimento con cui impose il celibato ecclesiastico e in rapporto alla riforma spirituale che nell’XI secolo raggiunse il massimo del suo vigore. Per questi motivi, come dice Boswell (1980, 270), «è difficile dimostrare che l’indifferenza verso la sessualità gay fosse semplicemente conseguenza di apatia». Forse, così come per la simonia fu necessario moderare i provvedimenti a causa della sua vasta diffusione, altrettanto accadde per la pratica dell’omosessualità: un intervento decisivo, come quello che era nelle intenzioni di Damiani, avrebbe fatto espellere dagli ordini o degradare molti ecclesiastici, gettando una pessima luce sull’intero clero. I papi non criticarono mai apertamente il LG perché altrimenti avrebbero contraddetto il loro programma di riforma, ma cercarono in tutti i modi, e con successo, di lasciarlo fuori dalla lista dei provvedimenti riformatori. Ci sentiamo quindi di poter concludere che, anche per merito delle sue vicissitudini, il LG costituisce una fonte storica unica nel panorama della cultura e del costume medievali. Riferimenti bibliografici Bailey D.S. (1955): Homosexuality and the Western Christian Tradition, Archon Books, London. Blum O.J. (1989-92), trad.: Peter Damian, Letters, The Catholic University of America Press, Washington D.C. (The Fathers of the Church, Mediaeval Continuation, I-III). Boswell J. (1980): Cristianesimo, tolleranza, omosessualità. La Chiesa e gli omosessuali dalle origini al XIV secolo, Leonardo, Milano, 1989. Brundage J.A.(1987): Law, Sex, and Christian Society in Medieval Europe, The University of Chicago Press, Chicago. Leclercq J. (1960): Saint Pierre Damien, ermite et homme d’église, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma. (Uomini e dottrine 8). Lucchesi G. (1972): Per una Vita di San Pier Damiani: Componenti cronologiche e topografiche. In: Lucchesi G. 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