Se si sbagliava prima a proibire gli incontri ecumenici, perché non si può sbagliare oggi a promuoverli?

Il ripetersi di eventi ecumenici, che ai nostri giorni sono oramai una prassi consolidata, non trova riscontro in quel che la Chiesa Cattolica ha insegnato per quasi duemila anni, fino al Concilio Vaticano II.

E’ bene che facciamo un po’ di “mente locale” (come si suol dire) e vediamo cosa la Chiesa diceva prima del Concilio in tema di communicatio in sacris, ossia in tema di partecipazione comune ai riti religiosi con gli acattolici. Lo facciamo riportando passi dell’Enciclopedia Cattolica, sintesi pregevole della dottrina della Chiesa.

«Non è mai lecito ai fedeli di assistere attivamente o prendere parte, in qualsiasi modo, ai riti sacri degli acattolici. Ciò vale non soltanto quando si tratta di riti falsi o empi in se stessi, ma anche quando si tratta di quei riti che sono propri di questa o quella setta o gruppo eretico, scismatico, pagano. Perché simile partecipazione equivale alla professione di una falsa religione e per conseguenza al rinnegamento della fede cattolica» (voce “Comunicazione nelle cose sacre”, 1950).

«E anche nel caso che ogni idea di rinnegamento potesse escludersi, rimangono sempre tre danni assai gravi: 1) il pericolo di perversione nel cattolico che vi partecipa; 2) lo scandalo, sia dei fedeli, che prendono motivo di giudicar male della persona che tratta con gli avversari della fede e forse anche di dubitare della verità di essa, sia degli acattolici stessi, che così si confermano nel loro errore; 3) l’indifferentismo in materia di religione, cioè l’approvazione esteriore di credenze erronee e l’idea che l’espressione esterna della propria fede sia una cosa trascurabile».

L’Enciclopedia Cattolica entra nei casi specifici e chiarisce che «un cattolico non può fare da padrino, neanche per interposta persona, in un Battesimo conferito da un ministro eretico, perché ciò sarebbe come un obbligarsi a istruire o far istruire il battezzato in una dottrina erronea» (S. Uffizio, 10 maggio 1710; 7 luglio 1864; Collectan. de Prop. Fide, Roma, 1907, nn. 478, 1257) e che «un cattolico non può assistere alla Messa di un sacerdote eretico o scismatico, anche se, urgendo il precetto festivo, dovesse altrimenti rimanere senza Messa» (S. Uffizio 7 ag. 1704; ibid., n. 267)

Non ci si limita, in questo divieto, alle cose “più grandi”: «Resta proibito ai cattolici di pregare, cantare, suonare l’organo nelle chiese e cappelle di eretici e scismatici, da soli o con essi, mentre questi fanno le loro funzioni religiose» (S. Congr. di Propag. Fide, 12 giugno e 8 luglio 1889; Collectan. de Prop. Fide, n 1713)

Prima del Concilio Vaticano II, la Chiesa Cattolica non proibiva, quindi, solo la partecipazione formale ai culti acattolici, ma anche quella materiale, cioè la semplice assistenza, quando attiva, quando cioè si partecipava positivamente, e per positivamente si intende anche compiere un solo, semplice, atto, come ad esempio suonare l’organo.

Il Codice di Diritto Canonico del 1917, tra l’altro, stabiliva che chi partecipava attivamente ad un rito non cattolico era sospetto di eresia (v. can. 2316).

L’unica partecipazione tollerata (attenzione: tollerata, non ammessa) era quella che si limitava alla pura presenza, senza prendere minimamente parte al rito, sempre che non vi fosse il pericolo di perversione o di scandalo (can. 1258).

In minima parte ed in norme non collegate organicamente tra esse, rimane anche nel nuovo Codice il sentore di quell’insegnamento. Quando, ad esempio, si stabilisce che «è rimosso dall’ufficio ecclesiastico per il diritto stesso (…) chi ha abbandonato pubblicamente la fede cattolica o la comunione della Chiesa» (can. 193, § 1, n. 2) o nel can. 908 che vieta ai sacerdoti cattolici di concelebrare l’Eucarestia con sacerdoti di chiese che non hanno la piena comunione con quella cattolica.

Non è però questo l’indirizzo nato con l’ultimo Concilio, come si può verificare nell’attuale Catechismo.

Va ricordato che la suprema legge della Chiesa è sempre quella della salvezza delle anime. Sulla scorta di questo e della dottrina cattolica insegnata per quasi 2000 anni, viene spontaneo chiedersi se questi incontri ecumenici siano utili a quel fine. E quali siano i frutti di questi incontri, che come Nostro Signore Gesù Cristo ci ha insegnato ne indicano la bontà o meno.

La logica e il principio di non contraddizione non possono far pensare che i due approcci all’ecumenismo possano intendersi entrambi corretti. Men che meno, nella scia dell’ermeneutica della continuità, si può pensare che siano l’uno continuazione dell’altro o che uno andava bene prima e per i tempi attuali vada bene l’altro.

I segnali circa la risposta a queste domande sono visibili in tanti elementi che raccontano di un’indiscutibile e preoccupante crisi nella Chiesa.

E tra questi segnali si rilevano l’indifferentismo religioso, cioè ritenere che appartenere ad una religione o ad un’altra sia indifferente, e lo scandalo per chi, soprattutto semplice e in buona fede, rischia di andare in confusione circa il proprio credo.

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1 Comment on "Se si sbagliava prima a proibire gli incontri ecumenici, perché non si può sbagliare oggi a promuoverli?"

  1. Quindi anche partecipare attivamente ad una Messa della FSSPX sarebbe vietato secondo la dottrina preconciliare, dato che la Fraternità è considerata “non in piena comunione” con la Chiesa? So che invece oggi, questo è possibile (a patto che non si condivida la posizione della Fraternità rispetto al Magistero postconciliare) senza incorrere in sanzioni, anche se è fortemente sconsigliato. Certo è che sono tempi duri e il famoso “stato di necessità” oggi sembra ancora più evidente e serio.

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