L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA
DEL PENSIERO BERGOGLIANO
 

di L. P.

La fiumana parolaia, la logomanìa del vescovo di Roma, come dice Virgilio, “mobilitate viget viresque adquirit eundo” (En. 4, 174), si ingrossa, agilmente acquista forze e dilaga giorno dopo giorno, senza che eminenze, teologi e stati di precaria salute possano limitarne la portata e, soprattutto, la dirompenza del gratuito, del vacuo e del temerario e dell’erroneo.

Noi oggi vogliamo, in forma breve, apporre delle chiose a taluni concetti espressi, da papa Bergoglio, nei giorni addietro, concetti che ad una semplice e superficiale analisi si rivelano come bolle di sapone iridescenti all’esterno ma vuote di verità all’interno, la cui pericolosità è data dall’essere, checché ne dica padre Federico Lombardi della sala stampa, non personale pensiero dell’uomo Bergoglio, ma magistero ordinario vero e proprio. Purtroppo.
   
Vediamo, allora, alcuni di questi momenti dottrinarî così come sono riportati dal “Il Messaggero. it” - 29 giugno 2014, nell’intervista papale concessa alla giornalista Franca Ginosoldati.



1 -  Rispondendo a lei che gli aveva posto la questione relativa al suo dichiararsi solo e soltanto “vescovo di Roma”, papa Francesco così risponde:
Il primo servizio di Francesco è fare il vescovo di Roma. Tutti i titoli del Papa, Pastore universale, Vicario di Cristo ecc. li ha proprio perché è Vescovo di Roma. E’ la scelta primaria, la conseguenza del primato di Pietro”. 

O Cristo non è stato abbastanza chiaro o Papa Francesco ha osato sbianchettare i passi di Matteo (16, 17/20) e di Giovanni (21, 15/19).
Leggiamo Matteo.
Disse loro: voi chi dite che io sia?  - Rispose Simon Pietro: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. E Gesù: Beato sei tu Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato anche  nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto anche nei cieli”.
Ed ora ascoltiamo Giovanni.
Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro? – Gli rispose: Certo, Signore, tu lo sai che ti amo – Gli disse: pasci i miei agnelli - Gli disse di nuovo: Simone di Giovanni, mi ami? – Gli rispose: Certo Signore, tu lo sai che ti amo – Gli disse: pasci le mie pecorelle – Gli disse per la terza volta: Simone di Giovanni, mi ami? – Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: mi ami? – E gli disse: Signore, tu sai tutto, tu sai che io ti amo – Gli rispose Gesù: pasci le mie pecorelle… e detto questo aggiunse: seguimi”.

Noi, dalla lettura degli episodî  e sostenuti dalla millenaria storia ecclesiastica illuminata dalla Tradizione, abbiamo sempre ritenuto, e tuttora crediamo, che la prima dignità che Pietro ebbe da Gesù è quella di essere Suo Vicario. Ed infatti, tale investitura  non fu officiata a Roma ma in Giudea prima e in Galilea poi. A lui solo, e non al C8, al consiglio degli 8 cardinali, Gesù concede il potere di legare e di sciogliere e, nell’affidargli  il Suo gregge, lo consacra Pastore universale della Sua Chiesa che sarà, ed è,  Santa per essere il Corpo di Cristo, Cattolica per natura e per vocazione, Apostolica per trasmissione del carisma ad ogni successore di Pietro, e Romana per il potere in quanto insediata, per scelta divina, nella capitale dell’Impero e distinta, per il suo essere la vera unica Chiesa, da tutte le altre proliferazioni scismatiche e pagane.
  
Il benemerito e grande Catechismo di S. Pio X, alla domanda (40): “Chi è il Papa? ”, così risponde: “Il Papa è il Successore di San Pietro, quindi capo visibile, Vicario di Cristo, capo invisibile
Pertanto, il titolo di “vescovo di Roma” è l’ultimo che i pontefici hanno sempre usato per qualificarsi come autorità che, per ciò che significa, è limitata a Roma.
Papa Bergoglio, nella smania di stupire il mondo, di captarne l’applauso e di attivare quella rivoluzione che, nel nome del conciliabolo Vaticano II, ancora non è stata del tutto realizzata, ha pensato bene, soprattutto  per darsi il tocco di “papa dei poveri” – come se i predecessori anteconciliarî  fossero stati nobili e inaccessibili monarchi ritiratisi nell’olimpo del potere! – di scrollarsi di dosso la dignità più alta che uomo possa possedere, quella di Vicario di Dio in terra, apparendo solo come “vescovo”, cioè l’ultima dignità che lo qualifica.
E’, pertanto, falsa la sua affermazione secondo cui l’essere vescovo di Roma è scelta primaria che riassume tutti gli altri titoli. Falsa perché è come se il minore contenesse il maggiore. Una cappellata, diciamo un’eresia, non solo logica ma, soprattutto, teologica e pastorale ma che continua ad essere spacciata come verità dogmatica contro cui, dai pavidi pastori della Curia, non si eleva voce di dissenso.



2  -  “Marx non ha inventato nulla. Io dico che i comunisti ci hanno rubato la bandiera. La bandiera dei poveri è cristiana”.

Beh! questa riflessione è l’ultima che un papa avrebbe dovuto produrre. Perché, espressa così, si  equipara la tensione della carità evangelica e cristiana per il povero a quella prettamente politica e rivoluzionaria di cui e per cui s’è fatta astuta ragione e falsa bandiera, per oltre 70 anni di crimini, il comunismo sovietico e tutti i comunismi locali.
Non si tratta di rubare o non rubare. La questione è ben altra: la bandiera dei poveri, che il comunismo agita, è di tutt’altra natura, di tutt’altro colore, di tutt’altra finalità che non quella che porta l’immagine di Gesù e della sua Chiesa.
La bandiera comunista porta l’effige di Satana, predica l’ateismo, porta la rivoluzione, porta il regno dell’uomo, suppone e impone la presenza di uno stato poliziesco e tirannico. La bandiera comunista non ama i poveri, che ritiene come massa di manovra dell’odio verso  ricchi.
Papa Bergoglio confonde le due assimilando, addirittura, l’ideologìa proletaria di lotta di classe, in pratica la predicazione dell’odio dell’uomo contro l’uomo, alla virtù della carità cristiana.
Se il comunismo avesse rubato alla Chiesa la bandiera di Cristo non avremmo avuto le caterve di vittime accumulate sulla strada di quell’orrendo e luciferino regime.
E se la Vergine Maria aveva chiesto alla Chiesa la consacrazione della Russia al suo Cuore Immacolato, ciò stava a significare che non era, quella sovietica, la bandiera che garriva in nome dei poveri.
La prudenza, come ben si evince dal fatto presente e da tanti altri precedenti, non è la virtù di questo papa poiché una seppure superficiale conoscenza della storia gli avrebbe impedito di attribuire, così avventatamente, al comunismo la categoria della pietas e dell’amore.
Così come  Giovanni Paolo II, se avesse conosciuto la storia (ma non poteva non conoscerla) avrebbe evitato di attribuire alla triade giacobina – libertà, eguaglianza, fratellanza -  la connotazione gloriosa e santa del Vangelo e una diretta filiazione cristiana.
Sappiamo quali sono stati gli esiti dello zelo marxista e del suo anelito verso il povero, quello zelo che gonfiò il petto di Lenin, di Stalin, di Mao, di Fidel Castro, di Ceausescu e compagnìa recitando, quello zelo che innalzò la ghigliottina e che soffocò sotto gli  zoccoli dei cavalli i poveri della Vandea. Genocidï, traduzioni di masse contadine – i kulaki - nei campi della Kolima siberiana e nell’arcipelago dei gulag; carestie provocate e programmi di sterminio sistematico; attuazione della teoria maltusiana della demografìa cinese del figlio unico e i laogai, campi di rieducazione dove ancora oggi i poveri sono le vittime del colpo alla schiena; le fogne di Bucarest quale abitazioni per gli emarginati del regime.
  
Si può, allora, cianciare così stolidamente che il comunismo abbia rubato la bandiera del pauperismo alla Chiesa? No, perché le due bandiere sono incompatibili e per niente interscambiabili, ma  si può affermare che la bandiera di Cristo è stata, ed è tuttora, vilipesa e calpestata da uomini  di Chiesa nel folle e sacrilego progetto di imbastardirla e lordarla abbracciando e professando sull’altare il comunismo ateo e criminale..

Chi sono questi apostati, questi traditori? Eccone un elenco piccolo ma significativo:
Dom Franzoni, don Mazzi dell’Isolotto, don Milani, cardinal Agostino Bea, cardinal Martini, Don Gallo, don Farinella, don Ciotti, don de’ Paolis, don Gustavo Gutierrez, fra’ Leonardo Boff, mons. Helder Camara, don Camilo Torres, fra’ Yves Congar, fra’ Edward Schillebeeckx… Sono costoro che han tentato di fondere la pura carità di Cristo col verbo sporco di Marx. E a costoro si affiancano quanti - papi, cardinali, teologi - da tempo, stanno srotolando la bandiera della carità cristiana nel liquame zuccheroso della filantropìa massonica.

Dopo i documenti conciliari Nostra AetateDignitatis HumanaeGaudium et spes, e dopo Assisi 1986/2011, con cui a tutte le religioni dell’orbe terracqueo – anche al voodoo del Benin!!! - è stata attribuita e riconosciuta una certa qual “santità” e una sicura valenza soteriologica, ci voleva che anche al comunismo fosse  riconosciuto il possesso, seppur furtivo, della bandiera dei poveri.
Un altro passo sulla via della rivoluzione bergogliana “d’ottobre”che vedrà altre  magnifiche e progressive conquiste civili. Altri frutti del concilio!!



-  “La vocazione è per sempre. Si resta papa fino alla tomba”.

Con queste parole papa Bergoglio ha comunicato – almeno così vien da credere – la sua intenzione  di rimanere “usque ad mortem” papa della Chiesa cattolica. Un’intenzione che sembra si fondi sul fatto che essere papa sia la vocazione delle vocazioni e, perciò, da adempiere fino alla fine. Dovrebbe essere questo il primo significato che scaturisce da questa sua affermazione e per la quale a noi sembrerebbe legittimo e logico avanzare un ragionamento: se così stanno le cose, papa Bergoglio non dovrebbe essere quello che è e non avrebbe dovuto partecipare a un conclave illegittimo in quanto, ad onta delle sue dimissioni, Benedetto XVI sarebbe ancora papa sul trono di Pietro. Un darsi la zappa sui piedi?
  
Continuando la lettura dell’intervista vien invece fuori che, l’essere papa fino alla morte, si configura quale necessario inveramento del “tu es sacerdos in Aeternum” (Ps. 109, 4) per cui “il papa, anche se emerito, è e resta papa fino alla fine. Per questo Benedetto XVI non è una statua in un museo”.
Non meravigliatevi, aggiunge, se nell’immediato futuro potrete vedere due o più papi emeriti.
  
Ci permetta il vescovo di Roma di obiettare a questo suo funambolismo logico con cui non rende chiarezza alla vicenda delle dimissioni di Ratzinger ma, anzi, ne avvolge ancor più di nebulosa dialettica che, a dirla schietta, è un fare “pro domo sua”.
E’ di fede che il sacramento dell’Ordine conferisca al consacrato un carattere eterno, indelebile anche quando se ne venga esclusi per indegnità. Pertanto vescovo, cardinali e papi sono sacerdoti in eterno. La loro specifica funzione, invece, è data dalla “dignità”, categoria ben diversa dal sacramento, una dignità che, pregiata da una grazia di stato, va, in quanto tale, allineata a quella sacerdotale, mantenuta e rispettata sino alla fine ad onta di difficoltà e pericoli, ad onta della pesantezza del sacro ruolo così come bene afferma il Poeta che per bocca di Adriano IV così scrive: “Un mese e poco più prova’io come/pesa ‘l gran manto a chi dal fango il guarda/che piuma sembran tutte l’altre some” (Pg. XIX, 103/105).

Tale fu la convinzione del cardinale J. Ratzinger quando riuscì a far mantenere, fino alla morte,  sul trono di Pietro Giovanni Paolo II nonostante la gravità del “dottor Parkinson”, e proprio questa assunzione dolorosa del proprio ruolo vale, secondo noi, come l’unico prodotto positivo di un pontificato molto ma molto più ombroso che luminoso. Il pensiero di Ratzinger, quindi, basandosi sul dogma del sacerdozio eterno, chiaramente affermava essere il papato una funzione ad esso connaturato, da gestire sino alla fine così, come scrive San Paolo “Christus humiliavit semetipsum, factus oboediens usque ad mortem mortem autem crucis” (Fil. 2,8).
Nel succitato passo di Gv. 21,19, Gesù, dopo aver affidato a Pietro il suo gregge, gli comanda: “Seguimi”. E seguire Gesù vuol dire compiere la sua stessa strada, quella che conduce al Calvario, quella strada che Pietro ha percorso sino alla fine in qualità di Vicario di Cristo, primo Pontefice e  sommo Pastore, e Vescovo di Roma. Non ci sono, nell’invito di Gesù, accenni ad eventuali ritiri o dimissioni. Sia chiaro.
   
Senonché, in forza di un ambiguo e addomesticabile comma 2 del canone 332 CJC, Benedetto XVI pensò bene di mollare il timone della barca di Pietro, fuggire davanti ai lupi, lui che aveva chiesto preghiere affinché non scappasse al momento del rischio, e  rendersi “emerito” a causa di una “ingravescente aetate”  che, suadente motivo, nascondeva, a parer nostro, il timore di venir manipolato allo stesso modo con cui fu manovrato Wojtyla. Chiediamoci: non era più grave lo stato di salute di Giovanni Paolo II che non una semplice e naturale vecchiaia che, stando alle cronache, non impedisce a Ratzinger  di partecipare a concistori e a celebrazioni pubbliche?
Ed ecco, allora, che papa Bergoglio, dopo aver esaltato la vocazione papale quale impegno da condurre sino alla fine, con una giravolta ci viene a dire di non stupirci se, nei prossimi anni, vedremo insieme non due ma tre o quattro papi emeriti!
Ci si capisce qualcosa?

ULTIMA  DI CRONACA – 01 luglio 2014

I tre giovani israeliani, rapiti da elementi di Hamas, sono stati ritrovati cadaveri a poca distanza dal luogo del loro rapimento avvenuto due settimane or sono nei pressi di Hebron. Israele, sconvolto dalla notizia, sta preparando azioni di rappresaglia con raid e lancio di razzi su Gaza in quella che si preannuncia come una ripresa dello stato di guerra. Insomma: non c’è pace in Terra Santa.



Ma non era stata officiato, nei giardini vaticani l’8 giugno scorso, uno spurio incontro interreligioso in mondiale visione televisiva, per una preghiera comune con la quale papa Bergoglio, Abu Mazen e Shimon Peres, piantando tra l’altro un olivo, avevano garantito, o speravano di garantire, una pace universale e duratura?
Ma evidentemente non era la pace che Gesù ha promesso agli uomini di buona volontà, tanto è vero che al primo ostacolo l’intesa meramente di facciata è andata a frangersi con la dura realtà. Lavoro di uomini convinti e illusi di saper e di poter conseguire da soli, mescolando inutili preghiere, mète e traguardi che sono al di sopra delle possibilità umane.
Infatti: “Nisi Dominus aedificaverti domum, in vanum laboraverunt qui aedificant eam. Nisi Dominus custodierit civitatem, frustra vigilat qui custodit eam” (Ps. 126, 1) – Se Il Signore non costruisce la casa, invano vi lavorano coloro che vogliano edificarla. Se il Signore non protegge la città, invano la sentinella vi fa la guardia.

Quando lo si capirà?






giugno 2014

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