18 marzo 2020

Il rapporto fra il papato e i media

di Riccardo Zenobi
Quello tra papato e mondo mediatico è un rapporto forse più tormentato di quello tra papato e impero/potere temporale, e per notarlo basta ricordare un po’ di cronaca relativa gli ultimi pontefici.
Senza risalire troppo indietro nel tempo si può cominciare dal dopoguerra, l’epoca in cui i media iniziarono ad essere molto più pervasivi e fruibili di quanto lo erano stati precedentemente; grazie alla diffusione della radio e alla nascita della televisione, mezzi che non richiedevano l’alfabetizzazione per essere utilizzati, l’italiano medio iniziava ad entrare in quel “villaggio globale” che sarebbe diventato il mondo occidentale di lì a vent’anni.

Pio XII era un uomo ieratico, conscio del suo ruolo di pontefice, e ha sempre tenuto a distinguere la figura del Papa da quella dell’uomo Eugenio Pacelli, tanto che quando un giornalista rese di dominio pubblico che al pontefice piaceva ammirare il passaggio del treno quest’ultimo per ripicca tolse le sigarette gratis ai vaticanisti. Cose di altri tempi, certamente, ma indicavano lo spirito sacerdotale dal quale era circondata la figura del Papa. Il cambiamento iniziò con Giovanni XXIII, che aprì le porte del Vaticano ai media. Famoso è l’aneddoto per cui un cameraman avrebbe detto “Santità, s’inginocchi e faccia finta di pregare”. Non certo un bell’inizio, ma si è messo subito in chiaro che il mondo dei media ha le sue regole ferree, che spesso sono in aperto contrasto con quelle del mondo sacerdotale.

Da allora in poi il contrasto divenne aperto: all’epoca del Concilio Vaticano II ci fu addirittura un “Concilio dei padri” nelle aule e un parallelo “concilio dei media” nei mezzi d’informazione, i quali intendevano influenzare l’andamento del primo dando maggiore o minore risalto a certe figure o a certe dichiarazioni, creando aspettative messianiche su certi temi (ad esempio la contraccezione) e lasciando in ombra ogni aspetto spirituale che dovrebbe essere il centro di ogni Concilio. Il postconcilio fu addirittura peggiore: i media sdoganarono l’ermeneutica della rottura, propria della scuola di Bologna, e la resero l’unica interpretazione fruibile al mondo cattolico, tanto che si dovrà attendere Benedetto XVI per avere un controcanto.

In tutto questo, Paolo VI si trovò in una situazione nuova che non sapeva come fronteggiare. Quando fu il momento di parlare e chiarire scrisse Humanae vitae, la quale esacerbò la tempesta portando interi episcopati a proclamare disobbedienza aperta al Papa (e obbedienza al bastone mediatico). Si dovette attendere Giovanni Paolo II per avere un nuovo rapporto con i media, un “Papa mediatico” anche nei momenti difficili e di malattia, che facesse riaffezionare il mondo cattolico alla figura del pontefice. In questo frangente i media controvoglia si adeguarono: l’ideologia anticattolica va bene, ma il quattrino è il quattrino, e se non si riesce a creare un’alternativa alla figura del Romano Pontefice conviene cavalcare l’onda con lui invece che con Martini e la mafia di san Gallo.

Con Benedetto XVI le cose ritornarono alla “normalità”: da una parte il suo insegnamento e l’ermeneutica della continuità, dall’altra i media che lo accusano di scandali e di illeciti compiuti da altri. Ciò però non bastò a svuotare piazza San Pietro all’Angelus, che anzi si riempì sempre più che in passato. Con Francesco si assiste ad una cosa del tutto nuova: l’appoggio totale e incondizionato del mondo mediatico ad ogni aspetto ed atto del pontefice, per quanto marginale. I media hanno cambiato registro? Materialmente sì, ma formalmente? Come mai questo pontefice ha l’appoggio entusiastico della stampa italiana e ha avuto quello della stampa internazionale fino a pochi anni fa? Sono domande lecite. Anche perché al contempo la piazza si sta svuotando, e sempre meno persone fanno caso alle continue dichiarazioni di Francesco su ogni materia politica, economica e sociale.
Un punto resta chiaro e fermo, e lo espongo con le parole di Andrew Breitbart:

La sinistra non vince attraverso il dibattito. Non ne ha bisogno. Nel XXI secolo i media sono tutto. La sinistra vince perché controlla il discorso, la narrazione della realtà. Che è in mano ai media. Ma la sinistra è media sono una cosa sola. E la narrazione è tutto. Per questo parlo di complesso politico-mediatico progressista.

 

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