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Ecco Madre Raffaella, la prima sacerdote donna

Di Redazione |

A dare un’occhiata distratta, il rito che si è svolto ieri a Catania in un improvvisato tempio, non lo distingui dai riti per l’ordinazione presbiteriale seguiti da Santa Romana Chiesa. Solo che a essere prostrata a terra, in segno di incondizionata consegna a Dio, a ricevere l’unzione delle mani e la casula, l’abito celebrativo sacerdotale, è una donna, una signora catanese che è anche la prima donna in Italia a essere stata ordinata sacerdote secondo un rito cattolico.

Non è un gioco di parole: Raffaela Luciana Possidente, da ieri Madre Raffaela è la prima sacerdote donna, in Italia, della Chiesa Cattolica Ecumenica di Cristo, nata negli Usa a metà del 1990, a iniziativa, come si legge nel sito ufficiale, «di sacerdoti e laici della Chiesa cattolica romana e altri riti cattolici alla ricerca di riforme e rinnovamento nelle Chiese, cercando il dialogo ecumenico attivo, promuovendo l’unità fra le Chiese cristiane».

L’attuale Primate ecumenico è mons. Karl Rodig, un teologo austriaco ordinato sacerdote cattolico romano nel 1986 che, nel 1989, ha deciso di lasciare la Chiesa romana per iniziare il nuovo movimento. Le fondamenta del nuovo credo nel “Manifesto” del 1999. Da allora questa Chiesa, è cresciuta in tutto il mondo e anche in Italia dove, mons. Agostino De Caro, sacerdote “ecumenico” in Licata, è stato l’anno scorso nominato arcivescovo dal loro Nunzio apostolico per l’Europa meridionale, consentendo l’elevazione della Comunità agrigentina ad Arcidiocesi Metropolitana della Diocesi d’Italia della Chiesa Cattolica Ecumenica di Cristo. Dal Vaticano nessun riconoscimento ufficiale ma padre Karl ha scritto qualche anno fa una corposa lettera al Papa e frequenta il Vaticano. Molti distinguo invece dai vescovi locali come quello di Acireale qualche anno fa.

«La nostra – spiega De Caro – è una chiesa cattolica perché segue del tutto la liturgia cattolica, ecumenica perché unisce. Riconosciamo il primato d’onore del Papa, come è sempre stato, ma non il suo primato giurisdizionale. I concetti di amore e di inclusione sono alla base del nostro credo: ammettiamo i divorziati risposati alla Comunione, non imponiamo il celibato al clero, ordiniamo anche le donne, non ci sono preclusioni verso l’omosessualità». È questa la Chiesa che Raffaela, 52 anni, sposata e madre di tre figli (32,30 e 22 anni), volontaria per una associazione di polizia nel campo della Protezione civile, ha incontrato qualche anno fa in un suo lungo cammino di fede.

Quando è arrivata la vocazione?«Vede – risponde – forse l’ho avuta da sempre. Da piccola leggevo la Bibbia, disegnavo angeli e mi piaceva stare da sola a riflettere, a pregare. Ma mi sono resa conto presto che la Chiesa cattolica tradizionale, che io frequentavo, non mi avrebbe accolta fra le sue braccia come parte attiva, come avrei voluto. Ho pensato anche di prendere i voti come suora, ma poi mi sono innamorata, sposata, abbiamo avuto tre figli in pochi anni: il convento era precluso. Ma la mia tensione verso il sacro – aggiunge – la necessità di pregare ed essere preghiera è rimasta intatta. Molte volte ho avuto la necessità impellente di raggiungere un luogo sacro per restare lì per un po’ per calmarmi, per trovare la mia pace. Così, quando qualche anno fa, grazie a una amica che ringrazierò per sempre, ho conosciuto la Chiesa Cattolica Ecumenica di Cristo e i suoi rappresentanti, ho capito che avevo finalmente trovato la mia mèta. E dopo un lungo periodo di formazione e di impegno cristiano, sono giunta all’ordinazione sacerdotale».

Accanto a Raffaela, per tutto il tempo, l’emozionatissimo marito Alessandro, titolare di un’impresa di ristrutturazione edile, che ha retto la casula e la stola che la moglie ha poi vestito al termine del rito: un’inclusione non per caso visto che, come ha detto l’officiante, «la vocazione di un presbitero sposato non può essere che condivisione con il coniuge e la famiglia. E questo vale, ovviamente, sia per l’uomo che per la donna».

E anche la neopresbitera, nel suo discorso finale, ha lodato l’amore e l’impegno del marito che l’ha sempre lasciata seguire il suo cammino di fede.

Ad assistere all’ordinazione della signora ci sono anche due dei tre figli, (l’altro vive a Londra), i suoceri, i parenti, i confratelli della stessa fede venuti da ogni parte di Sicilia e i fedeli che da tempo seguono Raffaela nella cappella privata, ricavata da un garage, nelle vicinanze di casa, sulla collina di Vampolieri, intitolata a Santa Gemma Galgani. Insomma, una vita come tante quella della donna consacrata ieri prete dalla sua Chiesa, una vita che, giura Raffaela, proseguirà come sempre anche dopo questo passaggio straordinario. Come si dividerà la donna fra i suoi vari ruoli? «Come sempre credo – dice tranquilla – e come ho sempre fatto: fra il volontariato e la preghiera, portando l’Eucarestia ai malati, a chi vuole trovare la pace. Occupandomi della mia famiglia e del mio impegno sociale. Da questo punto di vista, penso che questa scelta servirà solo a rafforzare le direttrici della mia vita».

E sull’impegno sociale del consacrato parla anche, durante il lungo rito il vescovo ecumenico mons. Agostino De Caro. «Si unge il palmo delle mani con l’olio del crisma – spiega – a significare che le mani del futuro presbitero devono lasciare il loro segno nel mondo. Dio non si è forse sporcato le mani con la creta per creare l’Uomo? E un sacerdote non può avere le mani più pulite di quelle di Dio. Mani contaminate, dunque, come segno che sei stato nel mondo, come segno dell’impegno quotidiano del lavoro o dell’accudimento della casa e della famiglia, come Madre Raffaela». E anche De Caro lavora, come ricorda lui stesso e come fanno tutti i componenti della Chiesa cattolica ecumenica di Cristo che non riceve alcun contributo: lui lo fa in in bar, ma ognuno si industria come può per mantenersi.

E c’è ancora un ultimo messaggio che Madre Raffaela, ci tiene a veicolare attraverso la sua vicenda. «Donne che come me avete la vocazione di diventare sacerdotesse, fatevi avanti, abbiate coraggio: nella nostra Chiesa c’è spazio anche per voi. Non vi preoccupate delle prime reazioni degli altri rispetto a questa scelta: anche mio marito all’inizio non capiva il senso di una donna prete, ma poi mi ha accompagnata in questa scelta. Ecco, vorrei trasmettere coraggio».

(foto di Orietta Scardino)COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA