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LO SCANDALO SERVIZI VAL D'ENZA

Finti abusi, ideologia gay e business sui bimbi: gli strali di don Di Noto

«Fuori l’ideologia, i bambini in affido non hanno bisogno di giustizieri militanti». Don Fortunato Di Noto rompe il silenzio sullo sconvolgente caso dei servizi sociali della Val d'Enza in questa intervista alla Nuova BQ. «L'assenza di equilibrio dei professionisti porta alla “sindrome del giustiziere”. È qui che si fanno i danni peggiori perché i bambini muoiono se diventano merce per guadagni, ideologia gay o finti abusi». Il sacerdote in prima fila contro la pedofilia mette in guardia dall'ossessione di vedere dapertutto degli abusi: «Anche questo è un business gravissimo. Purtroppo però in tante case famiglia vige la logica del profitto».

Attualità 02_07_2019
Don Di Noto al World Congress of Families di Verona

«Fuori l’ideologia, i bambini in affido non hanno bisogno di giustizieri militanti». Ha aspettato alcuni giorni per vedere se le carte dell’inchiesta Angeli e Demoni sul sistema affido della Val d’Enza si sarebbero sgonfiate. Ma don Fortunato Di Noto ha un fiuto per scovare l’abisso lontano un miglio. E in questa storia portata alla luce dalla Procura di Reggio Emilia - complici anche le parole del procuratore Mescolini che ha parlato di un “quadro indiziario devastante” - l’abisso è nel sistema messo a punto dagli assistenti sociali e dagli psicologi nel cercare a tutti i costi di giustificare l’allontanamento di un minore a seguito di presunti abusi. 

Abusi che non verranno mai confermati da nessuna autorità giudiziaria. Nel frattempo però i minori venivano dati in affidamento a persone completamente inadeguate nel gestire bambini: anche titolari di sexy shop e persino una coppia omosessuale che poi - si è scoperto - ha maltrattato a sua volta una minore. 

Don Di Noto, fondatore dell'Associazione Meter, che con il suo Centro d'ascolto è un'autorità assoluta e scomoda nel campo della lotta alla pedofilia, minacciato e inviso dalla “mafia pedofila mondiale”, qualche cosa da dire ce l’ha sull’inchiesta. E in questa intervista alla Nuova BQ invita la Procura a scavare perché quello degli abusi è, purtroppo, anch’esso un business.   

Don Fortunato, che idea si è fatto?
Ho letto ciò che i giornali stanno facendo passare, non ho visto le carte, ma una prima considerazione si può già fare.

Quale?
Non tutti sono in grado di ascoltare, accompagnare e orientare i bambini vittime di abusi, non è affatto vero che basta aver letto un libro o aver svolto un master per diventare esperti.

Perché?
Ci vuole competenza e maturità umana, si tratta di aiutare a elaborare un dramma, un trauma che è fisico e psicologico insieme. Bisogna avere le giuste capacità professionali di altissimo livello. Non è un’accusa a nessuno, ma non è che tutti sono in grado di fare questo tipo di servizio per la tutela dei bambini. 

È emerso che i professionisti avessero diversi titoli, ma come dice il Gip avevano una «carenza di equilibrio e autocontrollo nell’approccio all’attività professionale…».
Ecco quello che mi sembra il punto centrale: l’assenza di equilibrio porta alla cosiddetta “sindrome del giustiziere”, porta a scatenare le frustrazioni o i traumi mai superati del professionista, come peraltro è emerso. In questo contesto bisogna andare a trovare a tutti i costi un abuso anche se non c’è, ma così non si fa il bene di nessuno. Noi spesso abbiamo casi di papà e mamme che si vogliono separare e utilizzano l’accusa di “abuso” per colpirsi. Noi però ci andiamo con cautela proprio per non dare credito a quella che è la sindrome del giustiziere. 

Infine è emersa una capacità manipolatoria, come alterare i disegni o imboccare i bambini nelle parole e nei ricordi.
La manipolazione è una metodologia che va contro i bambini. Eppure con i dovuti metodi esiste la possibilità di svolgere degli iter sereni.

E come si fa?
Tutto deve partire dalla prima denuncia ai carabinieri o in Questura. Il primo verbale è importantissimo per avere poi quelle informazioni sulle quali specialisti seri possano lavorare a far emergere la verità gradualmente. E da qui si snoda poi un iter che comprende anche i Ctu, gli incidenti probatori e gli psicologi che sono fondamentali. 

Gli inquirenti hanno chiarito che non si trattava di veri e propri elettroshock, ma di stimolazioni…
Non discuto, ma non possiamo ridurre tutto a una tecnica. Mi chiedo se in quei casi sono stati tenuti in debito conto la Carta di Noto di psicologia giuridica e la Carta di Venezia sugli abusi collettivi. Si tratta di strumenti che vengono offerti ai professionisti, e tra questi anche i pool appositi nelle procure, per avere un orientamento. 

Insomma, gli strumenti per arrivare alla verità sugli abusi ci sono?
Dal punto di vista procedurale non siamo all’anno zero. 

Che cosa pensa del sistema dei servizi sociali che - come ha detto la senatrice Ronzulli della Commissione parlamentare Infanzia - sono onnipotenti?
Penso che qualche cosa vada rivista, ma il problema è legato anche alla giustizia: perché soltanto alcuni CTU e solo quelli? Perché solo degli psicoterapeuti e psicologi e solo quelli ottengono certi incarichi? Come accedono a questi servizi particolarmente delicati? Quali competenze hanno maturato?

Qual è allora il problema?
La malafede, la strumentalizzazione. Tutto porta a pensare che il bambino sia un business economico. Se a questo ci aggiungiamo il condizionamento ideologico e il relativismo, è la fine. 

Infatti il giudice - per alcuni casi - lega la militanza Lgbt di una professionista e di due affidatari e la giudica invasiva. 
ll condizionamento ideologico è un rischio enorme per un professionista. Se noi riduciamo il minore a una risorsa è la fine perché nessuno poi controllerà i controllori. 

Ha casi sotto mano?
Recentemente ad Arezzo ho presentato alcuni dati sconvolgenti sui bambini che vengono affidati a coppie e vengono riabusati, da coppie omosessuali, ma in alcuni casi anche eterosessuali. È drammatico. Quindi è determinante anche il criterio con cui faccio gli affidi. E poi stanno emergendo in maniera preponderante i casi in cui il minore in affido in una casa famiglia viene abusato da un altro ospite, magari più grande. 

Questo è emerso infatti anche dall’inchiesta di Bibbiano: un minore e un ragazzino 17enne…
Anche qui, torniamo al punto centrale: i bambini hanno bisogno di luoghi d’amore protettivi. Il problema degli affidi è questo: un bambino ha bisogno che qualcuno lo accolga perché si presenta già in una condizione di abbandono, non possiamo portarlo a morire del tutto di abbandono. Sarebbe peggio che l'abuso.

Eppure ci sono famiglie esemplari…
Ma certo, sono eroiche. Il fatto però è a monte: quali criteri utilizzo per un affido? Purtroppo ci sono strutture e case famiglia dove vige solo il profitto. 

Perché si cerca a tutti i costi un abuso?
Perché se voglio distruggere qualcuno, mi invento un abuso. Se tu vuoi distrugger una persona, un papà o una mamma o un prete, basta dire che è un pedofilo oppure prendere il bambino e giocarmelo perché i bambini sono molto manipolabili.

Ma perché distruggere? 
Prendiamo il caso di Rignano Flaminio, una vicenda drammatica. Sono stati tutti assolti in Cassazione oppure don Giorgio Covoni che è morto d’infarto, ma ancor oggi risulta come un mostro. È una cosa indegna far emergere un fatto che non è accaduto. A noi è capitato. Una volta è venuta una mamma col bambino, era già stata da tre avvocati e voleva a tutti i costi che qualcuno scrivesse che c’era stato un abuso sessuale.