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REGGIO EMILIA

Edilizia popolare per gli Lgbt: il Pd dà la casa ai gay

Apre a Reggio Emilia la Casa Arcobaleno. Si tratta di un appartamento di edilizia popolare che viene tolto dalle graduatorie per i bisognosi e dato in esclusivo utilizzo ad Arcigay che ci metterà dentro «gay in fuga da situazioni di rifiuto o violenza». Scelta degli occupanti, caratteristiche dei richiedenti e gestione: tutto affidato ad Arcigay. «Noi non esercitiamo il controllo su chi entra», dice l'assessore alla Casa alla Bussola. Lega in Regione sulle barricate: «Per avere alloggi popolari serve un Isee: non se ne terrà conto?». Per le ragazze madri cacciate dai genitori perché non vogliono abortire, invece? 

Attualità 16_11_2022

L’hanno chiamata Casa Arcobaleno e ne hanno affidato la gestione ad Arcigay. Ma sul servizio di rifugio per omosessuali offerto dal Comune di Reggio Emilia pesa più di un dubbio. A cominciare dall'avviso per manifestazione di interesse con il quale l’amministrazione ha affidato alla sede reggiana di Arcigay Gardenia le chiavi di un appartamento di edilizia popolare per proseguire con la gestione dei “richiedenti” che è appannaggio esclusivo dei militanti Lgbt che operano come se fossero un servizio sociale parallelo.

Notizia: il Comune emiliano apre la casa rifugio, intitolata allo scrittore correggese Pier Vittorio Tondelli, che «sarà uno spazio sicuro e protetto, creato da Arcigay Gioconda in collaborazione con il Comune di Reggio Emilia e Acer (l’azienda casa Emilia Romagna), per ospitare persone LGBTI+ in fuga da situazioni di rifiuto o violenza».

E qui già c’è un po’ di fumo. In fuga da chi? O da che cosa? Nel comunicato con il quale il Comune ha annunciato l’inaugurazione dell’appartamento situato in quartiere Gardenia il 20 novembre prossimo, si parla genericamente di «rispondere sia a richieste immediate che però possono essere gestite con passaggi di accompagnamento e mediazione con la famiglia di origine, sia a esigenze di ricostruzione di una autonomia laddove un rientro non sia possibile».  Quindi, Arcigay constata che il gay non può rientrare in famiglia e lo aiuta a ricostruirsi una vita? Per quale motivo dovrebbe farlo con un bene messo a disposizione del Comune?

Tutto nasce da una deliberazione politica con l’approvazione del bilancio 2022-2024. Il consiglio comunale aveva approvato un emendamento nel quale si prevede che per «rispondere alle emergenze abitative delle persone LGBT che devono fuoriuscire dalle proprie abitazioni perché vittime di violenza e discriminazioni, è previsto l’avvio della gestione di una struttura finalizzata all’accoglienza temporanea (Casa Arcobaleno)».

Che cosa significa che devono uscire dalle proprie abitazioni? Come e quanto deve essere coinvolta la famiglia di origine nella scelta di fuggire? Ci deve essere una relazione di un ente preposto ad accertare l’avvenuta violenza? Una denuncia all’autorità? E se invece non è la casa paterna da cui si fugge ma un appartamento – puta caso – in affitto con altre persone, vale lo stesso?

La domanda non è peregrina perché si tratta di un appartamento che il Comune deve togliere dalla disponibilità di quelli che destina all’edilizia popolare per i bisognosi in graduatoria per darlo a persone che sono arruolate con criteri non chiariti e che economicamente potrebbero anche permettersi un appartamento in affitto.

Anche perché - come ha scoperto la Bussola sentendo l’assessore alle politiche abitative del Comune di Reggio – non sono i servizi sociali che valutano le domande, ma è Arcigay che decide insindacabilmente: «No, non c’è graduatoria – spiega Lanfranco De Franco – mi aspetto che prima diano la precedenza a chi è residente a Reggio, ma non ci sono accordi in questo senso. Così come non ci sono accordi su come verrà fatta la selezione e il controllo delle casistiche».

Avete capito bene: il Comune dà un alloggio popolare a un’associazione per i diritti gay, la quale a sua volta ci mette dentro chi vuole. Purché si possa dire che fugge da una situazione – non chiarita – di discriminazione.

Chiediamo all’assessore un esempio concreto: «Ragazzi di 20 anni che dicono di essere trans e la famiglia dice “non ti voglio più vedere, vai via”». Ora, se si tratta di persone maggiorenni perché il Comune dovrebbe farsi carico di chi per i più svariati motivi viene scaricato e deve cercarsi un’abitazione? «Funziona così anche con la Casa delle Donne che gestisce l’associazione Nondasola (per le donne vittime di violenza ndr) in accordo con i servizi sociali». Ma appunto, essendoci un riscontro dei servizi sociali, almeno una parvenza di regolarità è garantita, ma qui chi controlla che ci siano davvero situazioni di bisogno e non sia invece un’operazione per favorire qualcuno?

La domanda se la sono posta anche i consiglieri della Lega Nord in Regione Maura Catellani, Matteo Montevecchi, Valentina Stragliati e Andrea Liberani che hanno presentato un’interrogazione a risposta scritta in Regione Emilia Romagna promettendo battaglia sull’operazione delle Case Arcobaleno e su come il Comune utilizzi i beni pubblici.

Nel testo, depositato ieri, i consiglieri si chiedono tra l’altro «a che titolo e con quale modalità e strumenti legislativi il soggetto “Arcigay Gioconda” di Reggio Emilia sia stato individuato di fatto quale unico soggetto erogatore dei servizi di “Casa Arcobaleno”»; e ancora: «Quali siano esattamente i requisiti richiesti ai soggetti richiedenti per poter accedere all’accoglienza abitativa ed in generale ai servizi di “Casa Arcobaleno” di Reggio Emilia; se detti requisiti rispondano alla necessità di essere sottoposti alla c.d. prova dei mezzi quali ad esempio l’ISEE ERP indispensabile per l’accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica». Infine: «Con quale modalità dovrà essere attestato il possesso del requisito attestante lo status di “persona LGBTI+”?».

Domande che necessitano una risposta perché l’iniziativa del Comune di Reggio sembra non avere precedenti di questo tipo ed è destinata a fare scuola nelle amministrazioni Pd visto che ormai il tema dei diritti Lgbt è appannaggio esclusivo del partito di Letta, che lo ha elevato a punto centrale del suo programma di governo.

C’è dunque una notizia che diventa un precedente: quella dei gay è una categoria privilegiata anche nel campo dei diritti abitativi. Chiediamo se il Comune ha attivato servizi analoghi anche per le ragazze madri che decidono di non abortire e vengono lasciate a piedi dai genitori. «Non saprei», è la risposta. Eppure, si tratta di un fenomeno vastissimo di cui si fa carico il privato sociale – spesso di ispirazione cristiana – che sopperisce in maniera sussidiaria ad una carenza del Pubblico.

Ma c’è di più: Arcigay non si farà carico solo del bisogno abitativo, ma anche del percorso, diciamo, “riabilitativo”. Come? Intervenendo con la famiglia di origine del presunto discriminato per cercare di «ricreare le condizioni di armonia» e per questo avvalendosi anche dell’aiuto di psicologi. In pratica, si tratta di un compito dei servizi sociali che in questo caso viene delegato ad un’associazione esterna non si sa bene sulla base di quale competenza e diritto ad entrare in casa altrui.

La gestione dell’appartamento sarà interamente a carico di Arcigay che provvederà con proprie risorse e donazioni personali al suo funzionamento. Insomma, il Comune ci mette il tetto e di questi tempi non è una cosa di poco conto. I contribuenti sentitamente ringraziano.

Postilla. Intitolare la casa a Pier Vittorio Tondelli, lo scrittore correggese morto nel 1990 è inoltre un errore e – se lecito – un affronto alla sua memoria e a quella della sua famiglia. Tondelli non è mai stato cacciato di casa dai genitori, che lo hanno sempre amato e soprattutto curato quando la malattia (era affetto da Aids) lo ha stroncato. È morto nel letto di casa, circondato dall’affetto dei suoi cari, che con discrezione e pudore ancora oggi ne coltivano la memoria senza scadere nell’etichetta della militanza gaia e nella rivendicazione dei diritti in salsa Lgbt. Farne il simbolo – o se vogliamo la macchietta - della discriminazione dei gay in chiave anti-paterna e anti familista è un affronto che i famigliari che lo hanno amato, pur nella sofferenza, non meritano.