DOSSIER: LA TOMBA DI SAN PIETRO

 

Ho voluto rendere pubblica una parte del ben più voluminoso dossier. La trattazione contiene vuoti o ripetizioni dovute ai numerosi omissis. Comunque sia una cosa risulta evidente e inconfutabile ( invito chi avesse documenti atti a confutare questa tesi a scrivermi ):

In vaticano non sono mai esistite ne tomba ne tantomeno ossa di Pietro.
In realtà basterebbe un solo dato per chiudere questa discussione: le ossa che si presumono di san Pietro appartengono ad un individuo tra i 65 e 70 anni, solo che alla data del 64-67 d.c. a cui si fa riferimento per la morte dell'apostolo, questi avrebbe dovuto avere tra gli 80-82 anni!

Ciò non significa che Pietro non sia mai stato a Roma, o che sia in discussione il primato della Chiesa di Roma, in quanto questo è un dato di fatto.

 

OMISSIS

 

Brevi cenni storici

(Gv 21, 17-18-19).

"(
17) Gli disse per la terza volta: «Simone di Giovanni, mi ami?».
Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi ami?, e gli disse:
«Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo».

Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecorelle.(18) In verità, in verità ti dico:

quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi;ma quando sarai vecchio tenderai le
tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi». (
19)
Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio.
E detto questo aggiunse: «Seguimi»."

Per quanto possa sembrare strano, questa è l’unica citazione presente nei testi canonici che alludono alla presenza di Pietro a Roma e al suo martirio.C’è invece una immensa quantità di indizi iconografici, racconti apocrifi e testimonianze indirette che attestano questa presenza, che oggi nessuno contesta più.
Le “biografie” di san Pietro che conosciamo, prima degli scavi del 1940, nascono dall’assemblaggio di diverse “storie” raccontate a pochi anni dalla data presunta del suo martirio.

Il martirio di Pietro sarebbe avvenuto tra il 64 e il 67 (la sua venuta sarebbe del 54), quando a Roma regnava Nerone ma non si conosce nessun documento, che possa ritenersi attendibile, così sono nate nel tempo, diverse storie su questo fatto.
Qualcuno sposta la data del martirio dopo l’anno 70, dopo la distruzione del Tempio, in quanto in 1 Pt 5,13, Pietro accenna indirettamente a Roma come “Babilonia” e ai perseguitati della diaspora:

(13) Vi saluta la comunità che vive in Babilonia e anche Marco, figlio mio.

La stessa incertezza e mancanza di dati la ritroviamo in molti Atti di martiri in quanto quasi tutti i documenti andarono persi durante le numerose persecuzioni.
Spesso i racconti si inventarono di sana pianta, e oggi di tanti martiri (e supposti pontefici) non è sicura neanche l’esistenza.

Il bisogno della nascente chiesa romana di far riferimento all’apostolo Pietro, per giustificarne il suo primato sulle altre chiese, indusse a privilegiare storie che accennavano alla possibilità che la tomba si trovasse proprio presso la chiesa dedicata all’apostolo: solo in quel luogo si sarebbe avuto perfetta corrispondenza, non solo figurata, tra la profezia di Gesù che vedeva Pietro anche come pietra angolare a fondamento della Sua Chiesa.
Se proprio si doveva inventare o dar credito a una storia, era più proficuo fare così.

Quando la chiesa cristiana uscì dalla clandestinità, dovette affrontare nuovi problemi.
I successori di Pietro, in ritardo rispetto alle altre chiese, trasformarono la primitiva struttura - basata sui collegi tra i vari presbiteri che presiedevano le chiese domestiche sparse su tutto il territorio di Roma - per accentrare tutto il potere su una nuova figura di vescovo investito di poteri regali. La cosa praticamente era già avvenuta alla fine del II sec. con Vittore , ma è dopo Costantino che la nascente “Grande Chiesa”, resa legittima, capì il bisogno di creare un quadro ideologico e propagandistico che dimostrasse il primato di Roma sulle altre chiese.

Eusebio di Cesarea con la sua “Storia della Chiesa” iniziò il lavoro.
Colui che capì bene l’importanza di quello che oggi chiameremmo col termine “propaganda” fu papa Damaso (366-384).

( Curiosa la mancanza di epigrafi damasiane ( Damaso  pont. 366-384 ) che alludessero alla tomba di Pietro , nonostante questi si occupò personalmente di adornarne l’altare della Confessione quando era diacono. Vi è una sola epigrafe che ricorda dei lavori per il Battistero della basilica costantiniana di S. Pietro .)

Per la creazione del mito ci si rifece agli schemi ben collaudati dalla cultura greco-romana, egiziana o ebraica.
Non bisogna confondere quella che viene definita “Tradizione” da sporadici e isolati episodi dovuti, come in questo caso, a “necessità”.
Chi fece il conto per la prima volta col successo di questa propaganda per la venerazione dei martiri, fu papa Gregorio Magno (590-604) che si vide subissato da imbarazzanti richieste di reliquie, fatte dai vari re, regine, alti prelati, di regioni convertite al cristianesimo.

La mancanza di testimonianze valide, sia sulla venuta di Pietro a Roma che del suo martirio, era già evidente nei primi secoli della nascente chiesa.
Un tentativo grossolano di porre fine ai leciti dubbi in proposito lo fece Papa Gelasio nel 496 che decise, solennemente con un articolo di fede, che Pietro e Paolo sono morti martiri a Roma lo stesso giorno, dichiarando eretici quelli che avrebbero opinato in modo diverso.

Da Anecdotes. eccl, pag. 56 leggiamo che “…la presenza di molti luoghi dove si veneravano i corpi di Pietro e Paolo indusse nel 250 Cornelio vescovo di Roma a cavare dalle catacombe quelli che credeva i loro corpi. I Greci (giudeo-cristiani) pretesero la testa di S. Paolo che donarono a Isabella sorella di san Luigi”.
Famosissimi sono i teschi che si ritengono di Pietro e Paolo conservati (e venerati per tali) in S. Giovanni in Laterano.

Giudicare queste cose con gli occhi di oggi è perlomeno superficiale. Le chiese dei primi quattro secoli sono chiese con molte differenze le une dalle altre. Scismi, eresie, lotte intestine in una stessa chiesa, nemici esterni, erano ricorrenti. Quando le condizioni lo permisero, si cercò di dare un indirizzo unico; ci vollero secoli e secoli con altri scismi, eresie, guerre.
Papa Damaso, ad esempio, dovette combattere per essere riconosciuto nella disputa con l’antipapa Ursino. Ammiano Marcellino riferisce che le due fazioni si scontrarono all'interno della basilica di Sicinnio (oggi S. Maria Maggiore) e si contarono ben 137 morti.
Per occultare l’imbarazzante sottomissione della chiesa romana all’imperatore Costantino, che relegavano la figura di papa Silvestro a quella di una figura di paglia, nel V secolo si creò la leggenda di san Silvestro che attribuiva a questo personaggio carismi e miracoli mai avvenuti.
Tra i fatti prodigiosi attribuiti a Silvestro abbiamo la guarigione dalla lebbra di Costantino e il suo battesimo; la liberazione di Roma da parte di un drago; la vincita in una disputa religiosa con 12 rabbini ebrei; l’episodio dell’inaugurazione della costruzione della basilica di San Pietro con la sepoltura del corpo dell’apostolo Pietro in un doppio sarcofago di bronzo sormontato da una croce d’oro.

La chiesa romana, in ritardo rispetto a quelle orientali per la sua vicinanza troppo stretta col potere temporale avverso, ebbe paradossalmente vantaggio da questa scomoda posizione: a Roma, circondati da nemici, i presbiteri erano costretti a procedere con circospezione e prudenza, a vivere nella modestia e nel ritiro. Furono perciò più economici e accorti, amministrando con saggezza quello che altre chiese sperperarono tra lussi e mollezze.
La gestione fu tenuta da un consiglio di presbiteri fino alla metà del secondo secolo.
Aniceto risulta essere il primo vescovo reggente. I primi “Cataloghi dei Vescovi Romani” appaiono alla fine del secondo secolo.
Buona parte del primato della chiesa romana si deve proprio a questo suo carattere austero dei primi secoli.
Questa secolare pratica di buon governo permise alla Chiesa di sostituirsi più tardi alle istituzioni di un decadente grande impero d’occidente ormai giunto alla rovina, creando una nuova civiltà dalle sue rovine .

(In questa luce può essere letto anche l’episodio della redazione del falso Constitutum Constantini)

 

Scavi del 1950 sotto altare della confessione. Pio XII

Che la tomba di Pietro si trovasse sotto l’altare della confessione, in ambiente cattolico, nessuno lo dubitò mai. Fino a che, nel 1940, Pio XII fece qualcosa che per sedici secoli i 200 e più papi che lo avevano preceduto non avevano mai osato fare: scavò sotto l’altare della confessione di S. Pietro per riportare alla luce i resti del primo pontefice.

Pio XII disse che lo fece per dar seguito al desiderio del suo predecessore Pio XI di essere sepolto nelle grotte vaticane. Quel luogo è stato sempre considerato dalla Tradizione il luogo della tomba di Pietro, ma ancora nel 1600 il luogo veniva citato come “Tomba degli Apostoli”. Il pavimento della nuova chiesa fu sopraelevato rispetto alla vecchia basilica costantiniana per ricavarne quelle che oggi sono appunto chiamate “Grotte Vaticane”, dove vi sono le tombe dei papi. Gli scavi avvennero in tutta segretezza e durarono quasi dieci anni, al termine dei quali fu redatta una voluminosa relazione tecnica: Esplorazioni Sotto La Confessione Di San Pietro In Vaticano Eseguite Negli Anni 1940-1949. A seguito di questi scavi uscì un radiomessaggio nel 23 Dicembre 1950, che riportiamo nella parte che ci interessa:

La questione essenziale è la seguente - è stata davvero trovata la tomba di San Pietro? la conclusione finale dei lavori e degli studi risponde a questa domanda con un chiarissimo sì. La tomba del Principe degli Apostoli è stata trovata. Una seconda domanda, subordinata alla prima, riguarda le reliquie del santo: Sono state trovate?... Nuove indagini, estremamente pazienti ed accurate, furono condotte in seguito, con i risultati che noi, confortati dal giudizio di persone qualificate, prudenti e competenti, riteniamo positivi. Le reliquie di San Pietro sono state identificate in una maniera che riteniamo convincente...”

In realtà i dotti resoconti ufficiali furono molto più prudenti. Questi parlano del ritrovamento di una tomba definita “tomba riverita”, cioè una modesta edicola, quasi completamente distrutta priva di qualsiasi simbolo cristiano.
Come si arrivò a identificare in quella squallida edicola i resti del “mitico trofeo di Gaio”, citata da Eusebio di Cesarea nel suo libro Historia Ecclesiastica è un mistero.

Trofeo di Gaio

Nella sua opera Historia Ecclesiastica, Eusebio di Cesarea (265-340) accenna a un episodio che gli è stato riferito che tratta di una disputa avvenuta durante Papa Zeffirino (200-217) tra un certo ecclesiastico Gaio e il montanista (o catafrigia) Proclo.
Dice Gaio:
Io posso mostrarti i trofei (tropaion) degli Apostoli. Se vorrai recarti sul colle Vaticano o sulla via Ostiense, troverai i trofei di questi due (Pietro e Paolo), che fondarono questa Chiesa”.
Ancora:
“Durante il suo regno Paolo fu decapitato proprio a Roma e Pietro vi fu crocifisso. Il racconto è confermato dal nome di Pietro e di Paolo, che è ancor oggi conservato sui loro sepolcri in quella città” (Hist. eccl. 2,25,5)”.

Lo stesso Eusebio scrisse la Teophania nel 333, ben dopo che la basilica era stata terminata e disse che i Romani avevano onorato Pietro “con uno splendido sepolcro che domina la città; un sepolcro al quale giungono folle da tutto l’Impero Romano come se fossero guidate ad un grande santuario e tempio di Dio”.
Qui si parla di sepolcri non di chiese, e non vi è nessun accenno al fatto che la tomba si trovasse all’interno della chiesa. (Nella versione originale greca si parla del “colle Vaticano” mentre la basilica sta in basso, alle sue falde).
Nelle due storie vengono usati due termini diversi: trofeo e sepolcro, che ci fanno pensare a due diversi oggetti.
Non c’è nessuna spiegazione di cosa siano questi trofei (tropè, tropaion) il cui significato esatto sta per “trofeo commemorativo di una vittoria”. Eusebio dice che i fatti che racconta li ha appresi da Origene ( forse dal suo maestro Panfilo allievo di Origene ), di cui fu allievo in Cesarea.

Oltretutto, che valore ha questa storia di seconda mano, per “sentito dire”, che se non fosse l’unica testimonianza che accenna al Vaticano non sarebbe mai stata presa in considerazione?
( e per essere unica non ha valore scientifico o probatorio )
Sappiamo che Proclo era l’esponente più importante in Roma del montanismo: un eresia che provocò notevoli guai alla nascente chiesa cristiana; mentre quello che viene definito ecclesiastico, perché sembra prendere le parti della ecclesia, in realtà, nella stessa disputa nega che S. Giovanni sia l’autore dell’Apocalisse, che attribuisce a Cerinto (filosofo siriano gnostico).
Gaio è stato identificato per uno scrittore romano a cui si deve appunto un trattato antimontanista “Dialogo col montanista Proclo” di cui rimangono pochi frammenti. Maliziosamente, per dare credito a questo fatto, sarà più tardi definito “presbitero” (e in qualche caso San Gaio!).

Come se non bastasse, il fantomatico trofeo di Gaio è un semplice resto di un’edicola priva di qualsiasi iscrizione, e nessuno poté controllare gli scavi del 1940. Il fatto stesso che non fu ritrovato integro pone dei problemi, in quanto, come già detto, questo monumento doveva sporgere dal primitivo pavimento della basilica Costantiniana. Non a caso l’annuncio parla anche delle ossa dell’Apostolo, per dare consistenza alle tesi.
Il famoso studioso protestante Oscar Cullmann, che sempre aveva indicato illogica la sepoltura in quel luogo, commentò la notizia dicendo: «Ma che tomba è stata trovata? Non c'era il nome, non c'erano le ossa.»
Per non parlare poi del fatto che per avvalorare questa ipotesi era necessario che Pietro fosse stato sepolto nel luogo preposto alle esecuzioni! Così tra le varie “ipotesi” spuntano dei soldati romani convertiti che nascondono, sotterrandolo, il corpo di Pietro proprio nel “campo P” dove si suppone sia sempre stato!
Ora nulla esclude che quelle povere rovine possano essere il trofeo di Gaio, ma le obiezioni pure sono altrettanto valide. Anche in ambito cattolico si tende ormai a considerare quella edicola come un “cenotafio” (tomba vuota), come dire di una memoria culturale che non necessariamente doveva essere storica.

Per ora poniamo l’attenzione non sull’annuncio, ma sul perché si sia aspettato tanto tempo, per eseguire quegli scavi, che in ultima analisi dichiaravano che lì si era trovata la tomba di Pietro.
Le due cose: rifiuto di scavare e esito degli scavi non si conciliano.
A rigor di logica, la cosa andava fatta prima, se non altro per smentire i protestanti che dal XVI sec. negano persino il fatto che Pietro fosse stato a Roma.

(Lutero, nel suo “Contro il papato in Roma fondato dal diavolo”, scriveva: “Questo posso allegramente dire, per quanto ho visto e udito a Roma, che cioè a Roma non si sa dove siano i corpi dei santi Pietro e Paolo, o addirittura se vi siano. Papa e cardinali sanno benissimo che non lo sanno”.)

Singolare fu anche il fatto che neanche a Giulio II venne la curiosità di indagare, quando nel 1506 decise di edificare la nuova chiesa, abbattendo la vecchia basilica di S. Pietro edificata da Costantino.
Per la costruzione dell’attuale chiesa occorsero quasi 150 anni. Come è possibile che neanche in quella occasione nessuno abbia indagato, o spostato le spoglie. In pratica la supposta tomba dovette essere presidiata per un secolo e mezzo!
Ancora più incomprensibile è la mancata rimozione al tempo del “sacco di Roma” da parte di Alarico nel 410: l’assedio durò tre mesi, volendo si potevano trasferire le ossa - se vi fossero state- in luogo più sicuro; nel 455 vi fu un secondo sacco di Roma.
La cronaca parla di molte chiese distrutte e saccheggiate, ma non quelle di Pietro e Paolo, per una specie di timore reverenziale. Ammesso che ciò sia avvenuto, come avrebbero potuto sapere in anticipo questo fatto, i custodi delle sacre spoglie.

Nel 846 la basilica fu saccheggiata dai saraceni che la depredarono di numerose opere d’arte tra cui le porte bronzee del VII secolo. Per evitare il ripetersi di tali devastazioni papa Leone IV la fece circondare da fortificazioni, le tuttora esistenti mura Leonine. Il papato, che in origine aveva residenza presso la Basilica Laterana, si trasferì in Vaticano solo dopo il periodo della cosidetta cattività avignonese( dal 1377).
Neanche le mura Leonine bastarono nel 1527 per l’ultimo e più devastante sacco ad opera dei lanzichenecchi. Questi profanarono mole tombe dei papi e bivaccarono nella costruenda nuova basilica.

 (Come mai non ci si preoccupò mai di portare le spoglie di Pietro in luoghi entro le mura più protetti?)

Si racconta che Gregorio Magno (590-604), per proteggere le spoglie, fece interrare il monumento sotto un metro di terra! Fu proprio Gregorio Magno (Epistulae,7,23 del 597) che crea la leggenda nera della maledizione che incombeva su coloro che avessero osato profanare il luogo della memoria petrina, o di qualsiasi altro martire.
In realtà Gregorio Magno fu obbligato a indurre questa “scusa” per evitare le continue richieste di reliquie che già allora arrivavano pressanti dai vari personaggi influenti cristiani.

(Un esempio è la vicenda delle ampolle di Monza raccontata appresso.)

Fu sempre la chiesa romana a certificare l’esistenza delle spoglie di Pietro in vaticano.
Nel “Liber Ponteficalis” - la cui prima stesura risale al V sec. - si diceva che il 18 Novembre del 324 Costantino, alla presenza di Papa Silvestro, fece porre le spoglie di Pietro in un doppio sarcofago di argento e bronzo dorato, e ne dà anche le dimensioni: si tratta di un cubo di 5 piedi per lato (circa 1,5 mt.). Sopra al sarcofago fu posta una croce in oro massiccio di 150 libre (50 kg.), donata da Costantino e sua madre S. Elena. Il sarcofago e la croce vennero sotterrati e sopra vi si edificò la prima basilica dedicata agli apostoli.
Non si trova nessun documento che accenni più a questo mitico sarcofago e croce. Dobbiamo aspettare il XVI secolo!

*( in una nota trasmissione televisiva , dedicata alla storia della basilica di san Pietro, Piero Angela dice che la croce d’oro di Elena fu trafugata dal sacco del 846  a opera dei saraceni, ma se cosi fosse stato, che ne fu del sarcofago con le spoglie di Pietro?
Non esiste comunque nessun documento che accenni a questo fatto. )

Da una cronaca del XVI sec. si legge:

Quando l'architetto Giacomo della Porta sollevava gli strati del pavimento intorno al vecchio altare per sovrapporvi il nuovo vi scopri la finestra che corrispondeva alla sacra urna. Calatovi dentro il lume ravvisò la croce d'oro sovrappostavi da Costantino e da S. Elena sua madre. Fece tosto di ogni cosa relazione al Papa, che nel 1594 era Clemente VIII, il quale in compagnia dei cardinali Bellarmino e Antoniano, si portò sulla faccia del luogo e trovò quanto aveva riferito l'architetto. Il pontefice non volle aprire né il sepolcro, né l'urna, nemmeno acconsentì che alcuno si avvicinasse, anzi ordinò che l'apertura fosse chiusa con cementi. Da allora in poi non fu mai più né aperta la tomba, né alcuno si è più avvicinato a quelle reliquie venerande”.

Anche qui è evidente la contraddizione tra fatto e la reazione allo stesso. È superfluo dire che dagli scavi del 1940 non venne trovata nessuna croce o sarcofago.

Che la storia del sarcofago fosse una fola lo sapevano benissimo coloro che la scrissero, in quanto la cosa al tempo di Costantino era pressoché impossibile: a quell’epoca (come si vede in figura) il pavimento della prima basilica stava a 40 cm. da quella che è stata indicata come la fossa in terra dell’apostolo. Il sarcofago alto 1,5 metri, se fosse esistito, sarebbe dovuto essere visibile.


Un'altra storia fu smentita ben prima degli scavi del 1940: sempre nel Liber Pontificalis si raccontava che la venerazione per la tomba di Pietro fece sì che molti cristiani vollero farsi seppellire “in Vaticano presso il corpo del beato Pietro” (Liber Pontificalis 1,121-122).

Urbano VIII nel 1626 commissionò al Bernini il colonnato in bronzo. Dalla relazione sugli scavi dei pozzi di fondazione per il colonnato apprendiamo che il Papa, date le enormi difficoltà costruttive, si avvalse di Nicola Alemanni, erudito di chiara fama, per valutare i rischi, confessionali e politici di una tale operazione. L’Alemanni tentò di dissuadere il papa dall’impresa adducendo vari motivi, tra i quali il dubbio dell’esistenza stessa del corpo di Pietro all’interno della basilica.
Aperto il cantiere, un gran numero di sepolcri e di tumuli affiorano inaspettatamente, i lavori vengono interrotti ed è indetto un consulto di esperti, al quale partecipa l’Alemanni, che decreta, sulla base delle tipologie delle sepolture, l’appartenenza di quei corpi a pagani e non a “santi”.
Su questi imbarazzanti ritrovamenti, Urbano VIII ordinò rigoroso silenzio, pena la scomunica.
Stranamente una serie di avvenimenti luttuosi colpiscono la corte papale: l’Alemanni si ammala, e dopo quaranta giorni, muore. Seguono decessi inspiegabili nell’entourage del papa; lo stesso Urbano VIII si ammalò gravemente. Ma, nonostante tutto, i lavori furono portati a termine dal Bernini.

Urbano VIII, lasciò che si diffondesse la notizia di questa specie di “maledizione” per i profanatori, ma non fu tanto sciocco da crederci. Quello che meraviglia è che sembrano crederci tanti eruditi studiosi cattolici ancora oggi. Gli scavi del 1940 hanno confermato che la necropoli in vaticano è quasi totalmente pagana.

*( Inoltre, nel 2003 in Vaticano sulla via Trionphalis (vicino a dove era Meta Romuli chiamata Terebithus Neronis) è stata trovata un altra necropoli dello stesso periodo di quella che si trova sotto la basilica. Alla necropoli è stato dato il nome di S. Rosa. Questa era destinata a un ceto medio basso (schiavi e liberti), per cui molto più adatta a sotterrare un condannato a morte, ma a quanto sembra in questa necropoli non è stata trovata nessuna testimonianza certa della presenza di cristiani.)

Dagli Atti apocrifi di Pietro e Paolo dello Pseudo-Marcello, del 400 ca., che ebbero una certa fortuna, nel medioevo e oltre, specie per quanto riguarda la rappresentazione pittoriche del martirio di Pietro, leggiamo :

[84] Sepoltura e custodia dei corpi. Apparvero improvvisamente persone illustri, dall'aspetto forestiero che dicevano fra loro: "Siamo venuti da Gerusalemme per i santi principi degli apostoli". Insieme a Marcello, persona distinta che aveva creduto a Pietro dopo aver abbandonato Simone [Simon mago], di nascosto ne presero il corpo e lo deposero sotto il terebinto, accanto al luogo della naumachia in Vaticano...

Questo Atto apocrifo, se fosse vero, dovrebbe  riferirsi più alla necropoli di S. Rosa ( vicino proprio ai resti della naumachia vaticana) che a quella che si trova nella basilica di San Pietro.Forse Pio XII fece qualcosa di inevitabile, i nuovi tempi premevano. Il suo successore Giovanni XXIII non si occupò affatto del problema, e dette un po’ di tempo per cercare di trovare una soluzione al problema.
La soluzione fu trovata, ma complicò ulteriormente il problema. Per descrivere con una metafora ciò che avvenne, possiamo riferirci a una cosa che le nostre nonne ben sapevano: quando nei tempi passati, per le ristrettezze economiche, non era raro il caso di dover mettere delle toppe in abiti ormai facili a strapparsi perché troppo vecchi, tutti sapevano per esperienza che la toppa non poteva essere fatta di una stoffa più nuova del supporto, perché la nuova toppa avrebbe aggravato lo squarcio. La stessa cosa avviene in qualsiasi forma di restauro. Possiamo dire che: Paolo VI mise una toppa che peggiorò le cose.
L’odierna critica su questi avvenimenti pare “regredita”. Pesano troppo ai moderni commentatori le pesanti ipoteche messe da questi due pontefici.

La necropoli Vaticana è totalmente pagana, a parte un dubbio manufatto M - (Tomba Cristo Sole), che viene definito cristiano per la presenza di un affresco che mostra un’àncora e di Giona inghiottito dal mostro marino, solo che quello che viene definito Cristo come sole è Apollo, ricorda molto la divinità pagana romana del Sol Invictus (Mitra). La tomba è comunque indubbiamente pagana perché conteneva urne cinerarie (la cremazione è vietata dalla religione cristiana).
Tutte le iscrizioni sulle lapidi delle ricche tombe patrizie sono riferibili, al più tardi, alla metà del II secolo, unica eccezione la supposta edicola di Gaio che, risalente alla fine del II sec., è totalmente priva di qualsiasi lapide con epigrafi.

Ammesso che in un primo momento vi fosse stata la necessità di nascondere un morto tra i morti, appare assurdo che lo abbiano sepolto proprio “in casa del suo assassino”. Oltretutto perché lasciarvelo per più di cento anni? Come presidiare il luogo e impedire che qualche altra persona vi costruisse sopra la propria tomba? In effetti vicino alla “presunta” tomba terranea di Pietro ve ne sono molte altre.
Troppi i perché che non trovano risposta. Aggiungiamo che, come si vede in figura, per costruire l’edicola la presunta tomba è stata distrutta per metà della sua lunghezza.

Perché costruire sopra la tomba un monumento commemorativo che avrebbe messo a disposizione dei pagani le spoglie di Pietro?

Vi era un odio della plebe romana verso i cristiani, proprio per il carattere “segreto e misterioso” con cui celebravano i loro culti, che li rendeva sospetti. Tertulliano (160-220) scrive che la plebe cercava di preferenza di sorprendere i cristiani durante la celebrazione della messa.
Fino all’editto di Costantino, le chiese cristiane, nel loro complesso, dovettero subire una decina di persecuzioni, ma per lo più furono localizzate in certe province, mentre altre ne furono escluse. La più grave, perché estesa a tutto l’impero, è quella che si verificò nel 257, conosciuta come persecuzione di Decio e Valeriano. Questa cruenta persecuzione fu interrotta da Galieno che restituì alle chiese tutti i loro beni (261); ciò non impedì ai successori di Galieno di operare altre persecuzioni nei riguardi dei cristiani. La decima e ultima persecuzione è quella avvenuta sotto Diocleziano che iniziò nel 303 e si concluse nel 311, quando Galerio emana un editto di tolleranza verso i cristiani (editto di Serdica); nel 313 Costantino emana il famoso editto di Milano.

 

La necessità di occultare le reliquie, è evidente: basti pensare che l’unica e sola testimonianza vera, autentica, di una tomba di martire a Roma è stata trovata nel 1854 nel cimitero di Sant’Ermete sulla via Salaria, dal Padre Marchi, maestro di de Rossi, gesuita.
Questa è l’unica tomba di un martire trovata inviolata! Si tratta di un martire della persecuzione diocleziana, del 303-304.
Tutte le reticenze e mancanze di dati sul soggiorno di Pietro a Roma, il suo martirio, il segreto sulla deposizione del suo corpo, vanno viste in questa luce.
Bisogna considerare come la nascente religione fosse circondata da nemici interni ed esterni.
Quello che potrebbe essere giudicato eccesso di prudenza in realtà era una necessità non solo di quei tempi ma di tutti i tempi”.

 

Ricordiamo cosa dicono gli “Atti apocrifi di Pietro” (cap. 40):

Ed allorché la moltitudine presente ripeteva ad alta voce questo "Amen", insieme all' “Amen”, Pietro rese lo spirito al Signore.
Sepoltura di Pietro e pace nella chiesa di Roma. Allora Marcello, senza domandare il parere ad alcuno, non essendo ciò possibile, vedendo che il beato Pietro era spirato, con le sue proprie mani lo tolse dalla croce e lo lavò con latte e vino; tritò poi sette mine di gomma di mastice, ed altre cinquanta di mirra, di aloe, di aromi, e imbalsamò il suo corpo; riempì un sarcofago di marmo di gran pregio con miele attico e lo depose nella sua propria tomba.

Gli Atti di Pietro risalgono al II secolo, molte parti sono di fantasia e diversi commentatori hanno fatto notare come si volesse rendere il martirio di Pietro simile a quello di Gesù (uso molto comune nei martirologi). Ma se così fosse stato, perché negli “Atti” viene poi rimproverato a Marcello questo comportamento da Pietro stesso che gli appare in sogno?

“…Nel pieno della notte, Pietro apparve a Marcello e gli disse: "Marcello hai tu udito che il Signore ha detto: "Lasciate che i morti seppelliscano i loro morti?" Marcello rispose: "Sì!". Pietro seguitò: "Tu dunque hai perduto quanto hai consacrato al morto! Giacché tu, che sei vivo, hai avuto cura di un morto come se tu fossi un morto".

In tutta questa discussione dovremmo aggiungere come tutta l’attenzione della Chiesa per la presunta tomba di Pietro in vaticano abbia fatto scordare che esiste un'altra tradizione che vede il martirio di Pietro sul Gianicolo in quello che allora era chiamato “ monte dell’oro “. Tradizione mai smentita dalla Chiesa.

 

OMISSIS

  

Questa parte che segue, basandosi su scoperte attuali e meno, vogliono dimostrare come una delle tesi portate per giustificare la sepoltura di Pietro nel luogo del suo martirio sia priva di fondamento. La tesi giustifica questo bizzarro comportamento adducendo che all’epoca i cristiani non avevano propri cimiteri dove andare a seppellire i loro morti.  Forse era vero per gli etno-cristiani ma non per i giudeo-cristiani…. E i cristiani avevano già L’ Ostriano dove Pietro battezzava ed aveva la cattedra.

Un vero interesse per le catacombe sorse agli inizi del XVI secolo, al tempo della Riforma.
Uno dei più diligenti scopritori di quell'età fu Antonio Bosio, i frutti delle sue lunghe ricerche, protratte per anni, e che gli valsero il nome di « Colombo delle catacombe », furono raccolti nella sua nota opera «Roma sotterranea», data però alle stampe solo nel 1629 dopo la sua morte.

In genere si può affermare che le ricerche dei primi studiosi e dei primi esploratori delle catacombe non portarono alle antiche necropoli sotterranee di Roma meno danni di quanti non ne abbiano apportati il dente demolitore del tempo o le orde devastatrici dei barbari. Soltanto verso la metà del XIX secolo si verificò un vero miglioramento in questo campo.

Il nuovo movimento, che portò alla vera scoperta delle catacombe nel senso scientifico della parola, è legato a due nomi: a quelli del P. Giuseppe Marchi S. J. e di Giovanni Battista de Rossi.
Padre Marchi fu l'iniziatore ed il pioniere, de Rossi il seguace e compitore dell'opera.
Il sepolcro dei Papi in San Callisto, se fu una soltanto delle tante scoperte compiute dal de Rossi nella sua lunga attività di ricercatore, fu certo la più importante. Essa però fu dovuta non solo alla fortuna dello scopritore, ma anche all'aver egli trovato il giusto metodo per l'esplorazione delle catacombe.
Per conservare e valorizzare i cimeli dell'antichità cristiana e dirigere nuovi scavi Pio IX istituì, ad iniziativa del De Rossi, la “Pontificia Commissione di Archeologia Sacra”. Per la parte giuridica sono stati ufficialmente riconosciuti i diritti della Santa Sede nel Concordato dell'anno 1929.

Nel “Bullettino di Archeologia Cristiana, anno V n° 3 del 1867” G. B. de Rossi dedica molte pagine su “La cattedra di s. Pietro nel Vaticano e quella del cemetero Ostriano”.
Questo testo è illuminante in quanto afferma che in antichità oltre la cattedra conservata in Vaticano (sedia gestatoria di Pietro nel periodo di Antiochia **) fino al VI secolo ne esisteva un'altra, venerata presso l’antico cimitero Ostriano, che una antica memoria (Atti dei santi Papia e Mauroleone ** inserita negli atti di Marcello papa) definiva “ubi Petrus baptizabat”, e in altri documenti appellato “ad Nymphas s. Petri, e fontis s. Petri”. A dimostrazione della sua tesi cita il fatto che fino al papa Paolo IV (1555) vi fossero due date che festeggiavano la cattedra di Pietro. Una ricorreva il 18 Gennaio (quella dell’Ostriano “de sede ubi prius sedit Petrus apostolus”) e l’altra ricorreva il 22 Febbraio ed era relativa alla cattedra di Antiochia (la sedes ubi Petrus primum Romae sedit). Paolo IV unificò le due date eliminando quella del 18 Gennaio (e con questa, la memoria della seconda cattedra). Altra prova su l'esistenza di questa seconda cattedra si riferisce al famoso Papiro delle Ampolle di Monza, che riporta una lista di ampolle contenente gli oli tratti dalle lampade ardenti dinanzi ai martiri, donate alla regina Teodolinda da papa Gregorio Magno. Sopra una di queste l’abate Giovanni scrisse: oleo de sede ubi prius sedis cactus Petrus. Le medesime parole ripeté nel papiro. L’olio contenuto nell’ampolla veniva dall’ Ostriano.
Il de Rossi cita i codici del martirologio geronimiano (Martyrologium Hieronymianum, di S. Girolamo V sec.) i quali appellano il coemeterium ad Nymphas s. Petri (Ostriano  con l’epiteto di maggiore, coemeterium majus. Non essendo l’Ostriano il più grande tra i cimiteri, l’appellativo sta per il “più antico”.

Le tesi di G. B. de Rossi furono più tardi messe in dubbio dal suo allievo Orazio Marucchi, e perciò in qualche modo dimenticate.
Che questo modo di operare non sia stato casuale lo dimostra pure la vicenda della commemorazione del 29 Giugno.
Già dall’anno 258 si celebrava la “Depositio Martyrum” presso il luogo detto “ad catacumbas” al terzo miglio sull’Appia, nel giorno del 29 giugno, per ricordare che presso quel luogo, per un periodo, furono portate le spoglie di Pietro e Paolo. Nel cronografo del 354 si affermava “IIII Kalendas  Iulias Petri in Catacumbas, et Pauli, Ostiense, Tusco et Basso consulibus”, indicando la festa liturgica in onore di S. Pietro il 29 Giugno in catacumbas sull’Appia, mentre S. Paolo era celebrato sulla via Ostiense. Nel 354 la basilica di S. Pietro era stata già edificata!
Questa imbarazzante contraddizione fu risolta più tardi - come per la cattedra di S. Pietro -.
La festività fu trasformata, dopo il 431, nel seguente modo: «[commemorazione] di Pietro sul Vaticano, di Paolo sulla Via Ostiense e di entrambi nelle catacombe sotto i consoli Tusco e Basso».

Di questo passaggio presso le catacombe di S. Sebastiano esistono prove epigrafiche in numero straordinario: sono circa seicento i graffiti con invocazioni ai martiri Pietro e Paolo (** Da recenti indagini scientifiche è risultato evidente che la cattedra custodita in vaticano sia del periodo carolingio IX sec.)

Col pensiero rivolto a questi due grandi precursori e fondatori dell’architettura sacra, non possiamo fare a meno di considerare un’altra questione che purtroppo si aggiunge a tutte queste altre “ sviste” che riguardano la tomba di Pietro.

Nei loro scritti, sia il de Rossi che il Marrucchi danno per scontato che le catacombe siano coeve all’epoca apostolica, ma basta fare una semplice ricerca su web per venire a sapere che invece le prime catacombe risalgono a metà del secondo secolo!

Questa cosa da sola escluderebbe l’Ostriano come luogo di sepoltura, ma sotto villa Torlonia vi sono le catacombe ebraiche più estese di Roma.

Può sembrare assurdo ma non tutti ricordano che i primi cristiani che fondarono la chiesa di Roma erano ebrei, ed ebrei erano Pietro, Paolo e lo stesso Gesù. Quando Paolo e Pietro giunsero a Roma trovarono già formata la chiesa romana ( come è detto negli “Atti “ ) da ebrei della diaspora. Sembra una banalità ma è così.

I cosiddetti giudeo-cristiani: poche centinaia di persone, quando Pietro e Paolo giunsero a Roma, su una popolazione stimata di 30.000 persone che componevano la comunità ebraica del primo secolo. Quei primi cristiani il sabato andavano alla sinagoga e la domenica si riunivano nelle case sparse per Roma che fungevano anche da chiesa (chiese domestiche), per prendere la comunione. Solo alla fine del primo secolo per motivi religiosi (riforma rabbinica 70 d.C.) fu proibito ai cristiani di frequentare le sinagoghe.

Un recente studio al Carbonio 14 (saggio di Leonard Victor Rutgers pubblicato sulla rivista “Nature”), fatto nelle catacombe ebraiche di Villa Torlonia, fa risalire la loro età ad un epoca prossima all’inizio del primo secolo.

Nei primi duecentocinquanta anni secondo i cataloghi si succedettero trentadue pontefici. Di pochi possediamo qualche ragguaglio; dei più se ne conosce solo il nome; di alcuni è incerta l’esistenza. Le cronologie sono state fatte per deduzione.
Stando alla stessa nomenclatura ecclesiastica si tratta per lo più di Greci o stranieri. Vittore, africano, è probabilmente il primo pontefice di lingua latina.
La cosa è facilmente comprensibile: i giudei-cristiani rappresentavano la parte colta che conosceva le scritture, i nuovi cristiani che si rifacevano a Paolo (etno-cristiani) erano per lo più ex schiavi analfabeti o liberti e, all’inizio, le due comunità cristiane erano in realtà quasi contrapposte.
Dato che le prime comunità cristiane di Roma si formarono presso la comunità ebraica, è logico ritenere che presso queste si siano formate le prime catacombe cristiane. A rafforzare tale tesi basta osservare l’ubicazione delle stesse sempre prossime a quelle ebraiche. La conformazione è pressoché identica.

Questa ipotesi spiega anche perché tutte le epigrafi funerarie cristiane alla fine del secondo secolo (Chiesa di Callisto) non seguono la moda allora corrente a Roma.

L’epitaffio funerario romano prevedeva il nome del defunto preceduto da un minimo di elogium e che ci fosse la partecipazione dei superstiti (coloro che dedicano la tomba, i genitori, i parentes).
Prevedeva inoltre che fossero dati quanti anni, mesi, giorni era vissuto il defunto. Niente di tutto questo c’è nelle epigrafi cristiane.
Bisognerà aspettare un altro secolo perché la lingua passi dal greco al latino e con questo passaggio un cambiamento negli epitaffi (Chiesa di Damaso) che per oltre tre secoli conterranno solo il nome del defunto. Come era tradizione in ambiente giudaico.

L’unica differenza sta nelle iscrizioni e nell’iconografia. Le catacombe cristiane sono di solito decorate con antichi  simboli religiosi come pesci o colombe e con le lettere greche “chi” e “rho” (X e P) intrecciate, monogramma per la parola greca Christos. Mentre invece le gallerie sotterranee di Villa Torlonia hanno decori a fresco con simboli ebraici: menorah, rami di palma, Arca dell’Alleanza, melograno, Aron (rotolo della legge) etc.

L’esistenza di catacombe ebraiche risalenti al primo secolo è dimostrata anche dalle epigrafi tombali.

Stranamente si continua a mettere l’accento sull’esistenza di cimiteri misti pagano-cristiani, e si continua a dire di non sapere dove seppelliva i propri defunti la numerosissima comunità ebraica del primo secolo.
Per quanto riguarda il fatto che nella necropoli vaticana siano stati trovati indizi e simboli cristiani questo non vuol dire nulla, infatti non era raro che nobili e ricchi romani permettessero ai propri schiavi o liberti, particolarmente devoti, di essere sepolti nelle proprie tombe.
Ma come mai nella necropoli vicina di santa Rosa, coeva a quella vaticana, non ci sono tracce di tombe cristiane?

Il sottosuolo di Roma non finisce mai di stupire. Nel 2009 per dei lavori stradali è stato ritrovato il cimitero ebraico di Monteverde, il più antico della capitale. Il cimitero fu scoperto da Bosio, ma se ne persero traccia a più riprese nei secoli posteriori. A tutt’oggi non ne è chiara l’estensione o l’ubicazione precisa.

Ecco cosa scriveva G. B. dè Rossi Roma Sotteranea cristiana pag. 90 vol. I

…Come troviamo cripte cristiane isolate, viceversa troviamo anche talvolta cemeteri
sotterranei non cristiani. In Roma due ne conosciamo spettanti agli Ebrei;
quello sulla via Portuense scoperto dal Bosio , e quello della vigna Randanini
sull'Appia venuto in luce e sterrato in questi ultimi anni. Il secondo è certamente
dell età cristiana, cioè del terzo o al più del secondo secolo dell' LM-a nostra,
quando gli Ebrei in grande numero abitarono la regione della porta Capena : e
tornerò a ragionarne posatamente ai debiti luoghi. Il primo può risalire a maggiore
antichità, essendo nel Trastevere; ove gli Ebrei fin dall'età di Pompeo ebbero stanza.
Il Marchi stimò , che cotesto cemetero giudaico trastiberino sia stato il tipo,
al quale si conformarono i Cristiani di Roma nel creare i loro sotterrenei sepolcreti
(1). E veramente assai verisimile è questa genesi del cemetero cristiano. Imperocché
la chiesa uscendo dal seno della sinagoga portò seco molti riti e costumi
del giudaismo ; ed è chiaro , che la somiglianza del cemetero giudaico e del cristiano
non può venire da imitazione fatta da'Giudei del rito cristiano…

 

Sempre nello stesso libro a pag. 83 e seguenti “Origine de’ cemeteri cristiani.”

“ …Sappiamo altresì, che il danaro raccolto nell'arca della chiesa dalle spontanee lar-
gizioni de’ fedeli era erogato a sovvenire in vita i poveri, le vedove, i pupilli, e a
dar loro dopo la morte conveniente sepoltura (2). E così religioso e sacrosanto era
riputato quest' uso de' tesori della chiesa, che nel secolo quarto s. Ambrogio insegnò
: hiimandis fidelium relirpuiis.... vasa ecclesive etiam initiata confrimgere, conflare,
rendere licet (3). Basterebbero queste poche nozioni irrepugnabili de' prischi
riti e delle prische leggi cristiane, per intendere, quando anche l'antichità medesima
non ce lo testificasse, che i sepolcri de’ fedeli dovettero essere diversi e separati
dalle tombe de' gentili; tenuti in conto di cosa santa, massime quelli de'martiri;
e affidati alla cura ed alla tutela de' sacri ministri e de'liberali e pii benefattori
della chiesa. La storia è piena di fatti, di documenti, di memorie monumentali.,
che provano essere veramente stato così.”

Nella cartina qui sotto è indicata la posizione delle catacombe ebraiche.

(Per chi volesse saperne di più su i primi due secoli della chiesa romana   http://www.nostreradici.it/ebraismo-dopoGesu.htm )

OMISSIS

Nella seconda parte del dossier si parla di un’altra serie di “combinazioni” che sembrano uscite dalla penna di uno scrittore “visionario” che si sia fatto prendere “la mano” da eccessi di fantasia. Come spesso avviene è invece la realtà che supera la fantasia.

 

SECONDA PARTE – LA PARTE NASCOSTA

 

Le ossa dell’Apostolo - Paolo VI

L’ubicazione della tomba di Pietro non è oggetto di fede, un dogma, eppure l’atteggiamento del Vaticano verso questo argomento sembra tale, quasi irragionevole. Cerchiamo di capirne le ragioni.

Le tesi portate dopo gli scavi del 1950, come abbiamo visto si reggono su un fragile argomento: anche se molto improbabile, quel mucchietto di macerie anonime potrebbe essere il mitico tropaion. Per sostenere questa tesi si è dovuta far tabula rasa di tutto il resto della tradizione, che ha ispirato per secoli tante opere d’arte che riempiono le tante chiese dedicate all’apostolo. Come dimenticare l’episodio del “Quo vadis”, la miracolosa fuga dal Tullianum, o la crocifissione a testa in giù e la miracolosa liberazione dai ceppi?
I sostenitori della tesi del tropaion sono consapevoli che non è più possibile tenere il piede su più staffe come prima, anche perché come corollario questa tesi presuppone che i primi cristiani furono impediti di ritirare il cadavere dell’apostolo e dovettero sotterrarlo in una semplice fossa scavata nella terra nei pressi del circo. I sostenitori della tesi giustificano questo irriguardoso comportamento dei seguaci di Pietro col fatto che vi furono costretti dalle circostanze e aggiungendo che comunque quello era un uso comune presso i romani dell’epoca!
Cosa dire di queste affermazioni? Semplicemente che sono risposte prive di ogni sicuro fondamento, così come la tesi da cui derivano.
Tutti gli scritti dell’epoca, anche se apocrifi, non accennano mai a questa evenienza, anzi la smentiscono. Esisteva poi una legge romana (legge delle 12 tavole) che permetteva ai parenti o amici di richiedere il corpo del giustiziato: è vero che le autorità potevano decidere altrimenti, ma dagli Atti e altri racconti sappiamo che Pietro poteva disporre di amici influenti e, inoltre, che per le autorità romane era un perfetto sconosciuto; la seconda contiene una maliziosa omissione: è vero che l’uso di interrare i cadaveri era in uso presso i romani dell’epoca, ma non presso la comunità ebraica romana, ed ebrei erano sia gli Apostoli Pietro e Paolo che la stragrande maggioranza dei primi cristiani, lo dicono chiaramente gli Atti degli Apostoli e la Lettera ai Romani di Paolo.
Lo studioso protestante O. Cullmann, ha sempre contestato la possibilità di un primo interramento posticcio presso gli Horti in quanto erano il luogo meno indicato allo scopo, poiché vi si tenevano le esecuzioni e gli spettacoli. Si potrebbe continuare all’infinito a portare tesi contrarie, tanto astruse e singolari sono queste affermazioni.

Rispetto al secolo scorso - prima degli scavi - la critica, rispetto a questo argomento ha subìto quasi una regressione culturale: tutti i critici cattolici si sono fossilizzati su queste astruse posizioni. La ragione forse è di natura pratica: nessuno vuole smentire due pontefici.

Pio XII era sicuramente in buona fede quando si portò le ossa, trovate nei pressi dello scavo, nel suo appartamento privato. Chiuse in una cassa, esse furono oggetto della sua venerazione per oltre un decennio. Poi, nel 1968, con Paolo VI vennero analizzate e ci si accorse che i resti appartenevano a tre individui, due maschi e una donna, e … a diversi animali da cortile!
Le ossa furono riposte in diverse urne in plexiglass e rimesse presso gli scavi e sono ancora lì in vista.
Le comunicazioni circa il ritrovamento di queste ossa sono diverse e contraddittorie. In un primo momento si dice che sono state trovate in un’urna funeraria in terracotta vicino alla supposta tomba; in un secondo tempo, sembra che siano state raccolte in più punti nei pressi della tomba, infine che si trovassero nel famoso vano “g” del muro di graffiti.
Nessuno riesce però a spiegare come mai le ossa, certificate come quelle dell’Apostolo, siano state tratte da un insieme di ossa mischiate, come riportato in un primo momento. Tutti i referti indicano una diversa provenienza.
Comunque siano andate le cose, la mattina di mercoledì 26 giugno 1968, due giorni prima della chiusura dell'«Anno della Fede», durante l'udienza pubblica nella Basilica Vaticana, Paolo VI annuncia al mondo che le reliquie di San Pietro sono state ritrovate e identificate.
Di quelle amatissime reliquie ne volle conservare una piccolissima parte per sé in un reliquiario d'argento. L'iscrizione sul reliquiario recita: «Dalle ossa che, rinvenute nei sotterranei dell'arcibasilica Vaticana, vengono credute essere del beato Pietro apostolo». 

Paolo VI volle, a tutti i costi, credere le tesi della prof.ssa Margherita Guarducci: un personaggio dalla personalità che è un misto tra Maria Curie e Giovanna D’Arco .
La professoressa Guarducci, come inviata dalla provvidenza, sembra finalmente togliere il Vaticano dall’empasse al quale è stato costretto dagli scavi del 1950: dimostrerà, con una relazione prima e un libro poi, che quella trovata è la tomba di Pietro e, con una serie di avvenimenti che hanno del prodigioso, ritroverà anche le ossa dell’Apostolo.
La vicenda che la riguarda è talmente ricca di colpi di scena che meriterebbe un libro a parte.
Il fuoco mistico che sembrava animare la Guarducci affascinò tutti, compreso Paolo VI che, a dispetto dei molti - e contro ogni logica - che lo consigliarono di astenersi da prendere una posizione ufficiale, esordì con questo comunicato:

[Noi] riteniamo che sia nostro dovere, allo stato attuale delle conclusioni scientifiche ed archeologiche, dare a voi ed alla Chiesa questo lieto annuncio, obbligati come siamo a onorare le sacre reliquie, supportati da una prova affidabile della loro autenticità... [Nel] caso in esame, dobbiamo essere particolarmente impazienti ed esultanti, dal momento che siamo nel giusto quando crediamo che i pochi ma sacri resti mortali sono stati attribuiti al Principe degli Apostoli, a Simone figlio di Giona, al pescatore chiamato Pietro da Cristo, a colui che fu scelto dal Signore per fondare la Sua Chiesa, ed al quale Egli consegnò le chiavi del suo regno... fino al Suo glorioso ritorno finale.

Papa Paolo VI, 26 giugno 1968

La storia, oltre alla “logica”, ebbe altre illustri vittime: l’archeologo gesuita Antonio Ferrua, capo degli scavi sotto al vaticano, e mons. Kaas che soprintendeva come responsabile agli stessi.

Antonio Ferrua, coadiuvato da Emgelbert Kirshbaum, Enrico Josi e Bruno Maria Apollonj Ghetti, era l’autore della voluminosa documentazione stampata in due grandi volumi dal titolo: Esplorazioni sotto la Confessione di San Pietro in Vaticano eseguite negli anni 1940-1949.
Nonostante la mole impressionante di questo trattato, è ben difficile considerarlo un resoconto scientifico sugli scavi. La relazione uscì con un sospettoso ritardo rispetto all’annuncio radiofonico di Pio XII, e sappiamo che Antonio Ferrua, in disaccordo con le conclusioni, specie per quanto riguardava il presunto ritrovamento delle ossa dell’Apostolo, fu invitato elegantemente a farsi da parte.

La Guarducci chiese ed ottenne un supplemento di indagini, affidate per le competenze archeologiche ai professori Adriano Prandi e Domenico Mustilli. I risultati uscirono - sotto mentite spoglie - nel 1963 con un titolo sostanzialmente "criptato" che nulla faceva trasparire né del suo effettivo contenuto, né delle conclusioni cui s'era pervenuti: La tomba di san Pietro nei pellegrinaggi dell'età medioevale (Todi 1963).

È lecito supporre che le risultanze cui pervenne Prandi suscitassero qualche delusione, poiché, sulla base di una rigorosa rilettura dei dati archeologici, si era chiarito che nulla di quanto era emerso nel campo P poteva anticiparsi all'età di Marco Aurelio.

Questo fatto contraddice il brano dell’Historia Ecclesiastica dove si dice che Costantino costruì la basilica dove Papa Anacleto aveva costruito una specie di oratorio per ricordare il martirio di Pietro, ma Anacleto regnò tra 84 e il 95, mentre il supposto trofeo al massimo è del 160, e, se non è attendibile il racconto dell’oratorio di Anacleto, a maggior ragione non lo è quello di Gaio!

Antonio Ferrua fino alla morte - che avvenne nel 2003 alla veneranda età di 103 anni- dalle pagine dell’ Osservatore Romano contrastò sempre le tesi della Guarducci.
Fu una disputa lunga perchè anche questa morì nel 1999 a 97 anni e fino all’ultimo mantenne le sue posizioni.

Margherita Guarducci

La vera protagonista di questa storia fu senz’altro Margherita Guarducci. Ma chi era, e perché appare in questa vicenda?
A quel tempo la vicenda ebbe un clamore internazionale. la miglior cosa è farcelo raccontare da lei stessa. Qui di seguito riportiamo una delle tante interviste che ha dato che purtroppo non è più reperibile in rete.

Margherita GUARDUCCI
Dov’è finito Pietro?
tratto da: 30 Giorni, febbraio 1990, p. 40-44.
Margherita Guarducci, la studiosa che scoprì le ossa dell'Apostolo, lancia l'allarme: in nome di un falso ecumenismo, c'è chi tenta di occultare le reliquie.

Intervista di Stefania Falasca:

Un libro riapre un giallo che non è solo archeologico, e getta nello scompiglio certi ambienti vaticani. È “La tomba di San Pietro. Una straordinaria vicenda”. Appena uscito, ha riscontrato in Italia un notevole successo e già sono previste edizioni in inglese, francese e tedesco. L'autrice è un'archeologa ed epigrafista di fama internazionale, Margherita Guarducci, che cominciando ad interessarsi agli scavi nei sotterranei vaticani fin dal 1952, è stata protagonista di una delle più importanti scoperte per la Chiesa cattolica: il ritrovamento delle ossa del Principe degli Apostoli. Ma sulla vicenda si alternano luci ed ombre tanto che le polemiche non sono ancora finite.
«Nei sotterranei della Basilica Vaticana ci sono i fondamenti della nostra fede»: con questa certezza infrangendo il timore millenario dei papi precedenti, Pio XII diede ordine, nel marzo del 1939, di iniziare gli scavi sotto l'altare del Bernini, l'altare della Confessione all'interno della Basilica.
I lavori condotti da quattro studiosi, il professor Enrico Josi, i gesuiti Antonio Ferrua ed Engelbert Kirschbaum e l'architetto Bruno Maria Apollonj Ghetti, furono svolti sotto la direzione di monsignor Ludwig Kaas. Ma l'uso di primitivi e dannosi sistemi di scavo, la mancanza di rigore scientifico e la scarsa coesione dei quattro studiosi determinarono, secondo l'opinione della Guarducci, una situazione anomala che divenne poi fonte di innumerevoli interrogativi.
Tuttavia il luogo della tomba fu ritrovato e nel 1950 Pio XII ne diede pubblicamente lo storico annuncio. I lavori furono considerati chiusi. Ma che ne era delle reliquie del Santo? A spiegarlo è la protagonista delle ricerche.

Perché, a scavi conclusi e ad annuncio dato, nel 1952 i lavori vennero ripresi e proprio a lei fu affidato l'incarico di continuarli?

Margherita Guarducci: Dalla relazione finale, pubblicata nel 1951, risultava che in nessuna parte degli scavi erano state trovate scritte con il nome di Pietro. Non era certo un dato da poco, tant'è che il teologo protestante Oscar Cullmann osservò poi giustamente: «Ma che tomba è stata trovata? Non c'era il nome, non c'erano le ossa». Non si poteva dargli torto. Ma due mesi dopo l'uscita della relazione ufficiale, padre Ferrua pubblicò, su “Civiltà cattolica” e su “Il Messaggero”, un articolo contenente un suo disegno dell'edicola funeraria del II secolo (l'edicola che segnava il luogo della tomba). E, fatto strano, sul lato destro del muro da lui disegnato aveva posto una scritta greca “Petros eni” (Pietro é qui). Allora ero docente di epigrafia e di antichità greche all'Università di Roma, vidi il disegno, m'incuriosii e chiesi così di poter visitare i sotterranei della Basilica. Nel maggio del 1952, scesi per la prima volta nella zona degli scavi, ma non vidi alcuna scritta sul muro indicato da Ferrua. Il nome di Pietro compariva però con evidenza in un altro punto della necropoli vaticana, nell'epigrafe del mausoleo dei Valerii. Non poteva perciò essere sfuggito ai quattro studiosi. Studiai l'epigrafe e il risultato di questo lavoro attirò l'attenzione di Pio XII che mi diede il permesso di continuare.

Ma da dove era saltata fuori quella scritta sul disegno di padre Ferrua?

Margherita Guarducci: Quando andai ad esaminare quel muro, la scritta non c'era. Eppure il graffito esisteva realmente! Solo più tardi si venne a sapere che il pezzo d'intonaco con sopra il graffito era stato staccato e portato dal gesuita a casa sua. Per questo aveva potuto inserire nel disegno quella scritta. Accertata l'incredibile notizia, Pio XII obbligò, padre Ferrua tramite il generale dei gesuiti a restituire il frammento alla Fabbrica di San Pietro, dove si trova tuttora chiuso in una cassaforte. Quando dunque nel '51 uscì la relazione nella quale non risultava il nome di Pietro nella zona degli scavi, il frammento si trovava già da tempo nella camera di Ferrua.

Ma perché padre Ferrua aveva tenuto nascosto il graffito?

Margherita Guarducci: Questo proprio non lo so. So solo che questo fu il primo di una serie di misteriosi episodi tendenti ad occultare le mie scoperte successive su San Pietro. Quel frammento infatti era di estrema importanza anche perché si trovava nell'immediata vicinanza del cosiddetto "muro g", il muro posto a lato dell'edicola funeraria. In quel muro, interamente ricoperto di graffiti, in epoca costantiniana furono sistemate, all'interno di un loculo, le reliquie di San Pietro.
 Costantino le aveva fatte prelevare dall'antica tomba terragna (nota mia: 250 anni sotto terra), sottostante l'edicola del II secolo, durante i lavori di costruzione del monumento in onore dell'Apostolo e, dopo averle fatte avvolgere in un panno di porpora, le fece porre nel loculo di marmo per preservarle dall'umidità. Per questo motivo il luogo della tomba era stato trovato vuoto dagli studiosi durante gli scavi. Ma a queste conclusioni arrivai molto più tardi.

Come?

Margherita Guarducci: Nel 1953 cominciai ad affrontare i graffiti del "muro g". Decifrai con certezza il nome di Pietro ripetuto più volte, spesso congiunto ai nomi di Cristo e di Maria. Le lettere PE erano unite a formare una chiave. Simbolo inequivocabile del detentore delle chiavi del Regno. Con ulteriore sorpresa verificai poi che il nome di Pietro si intersecava a quelli di Cristo e Maria in una comune acclamazione di vittoria. Altri autorevoli epigrafisti confermarono i miei studi. Ma l'affollamento massiccio, proprio in quel punto, di riferimenti a Pietro, indicava che le reliquie del Santo non dovevano essere lontane (vedi figura e note sotto).

Dove le trovò?

Margherita Guarducci: La vicenda del ritrovamento e del successivo riconoscimento delle reliquie di Pietro è strana e complessa; quasi un giallo archeologico. Quando Pio XII annunciò nel 1950 che la tomba era stata ritrovata, era ben lontano dall'immaginare che le ossa dell'Apostolo si trovavano da quasi dieci anni dentro una modesta cassetta di legno in un ambiente umido delle Grotte Vaticane, situate nel primo livello sotto la Basilica. E fu lì che io le ritrovai nel 1953 su indicazione del sampietrino (operaio della Fabbrica) Giovanni Segoni che aveva seguito i primi scavi ed aiutato nei lavori monsignor Kaas. Ma a quell'epoca non potevo certo sapere che si trattava delle ossa di San Pietro. Ero molto impegnata nella decifrazione del "muro g" e non prestai particolare attenzione al ritrovamento. Prendemmo la cassetta con le ossa e le portammo, in attesa delle analisi, all'Ufficio tecnico della Fabbrica, dove già se ne trovavano altre provenienti
dagli scavi sotto l'altare.

Come erano finite le ossa in quell'ambiente umido delle Grotte vaticane?

Margherita Guarducci: Giovanni Segoni mi raccontò che probabilmente nel 1941, dopo la chiusura della giornata di scavo, insieme a monsignor Kaas, svuotando il loculo del "muro g" avevano notato in esso la presenza di ossa; prese e liberate dai detriti, le posero in una cassetta di legno sopra la quale scrissero "vano muro g" (come anch'io potei constatare) e quindi le portarono nell'umido ambiente delle Grotte. Questa operazione fu fatta senza informare gli altri quattro studiosi, con i quali monsignor Kaas aveva dei rapporti non del tutto cordiali. Per questo essi asserirono di aver trovato in quel loculo solo qualche frammento di materia organica e una monetina.

( nota mia: In questa risposta si riassume la frode relativa alle presunte ossa di san Pietro.
Nel primo libro del 1958 la Guarducci parla di “qualche ossa”, e comunque sul biglietto del 1941 non poteva esserci scritto “ muro G”in quanto fu chiamato così più tardi.
Le ossa mostrate da Segoni non possono essere quelle poi analizzate da Venerando Correnti, in quanto si tratta di 132 frammenti, dei quali ben 50 sono di una certa grandezza.
E’impossibile che una tale quantità fosse stata ritenuta insignificante dal Ferrua o dalla Guarducci.
A pag. 162 delle “ Esplorazioni” è detto chiaramente che la cassetta marmorea del muro”g” era vuota e le poche cose furono conservate fino al 1951 in un piattino ricoperto da una campana di vetro. I quattro archeologi smentirono sotto giuramento la ricostruzione fatta dalla Guarducci.
Il povero mons. Kaas, ridicolizzato dalle dichiarazioni del Segoni, non poté mai difendersi in quanto morì nel 1952.

 http://stpetersbasilica.info/Necropolis/JW/TheBonesofStPeter-1.htm
http://stpetersbasilica.info/Necropolis/JW/TheBonesofStPeter-1.htm#photos )

 Come si arrivò a stabilire che quelle ossa erano del Principe degli Apostoli?

Margherita Guarducci: Nel 1962 l'antropologo Venerando Correnti, allora docente all'Università di Palermo, cominciò le analisi sulle ossa provenienti dal "vano g". L'esperto, che aveva precedentemente analizzato le altre provenienti dalla zona degli scavi in questione, si accorse che, mentre quelle appartenevano a più persone, le ossa provenienti dal "vano g" erano di un solo individuo. Esse comprendevano circa metà dello scheletro, erano incrostate di terra e presentavano macchie rosse sulle parti più sporgenti. L'esame antropologico permise di stabilire: il sesso maschile dell'individuo, l'altezza di circa un metro e sessantacinque, la costituzione robusta e l'età oscillante fra i 60 e i 70 anni. All'esame petrografico la terra incrostata alle ossa risultò identica a quella del luogo della tomba originaria, mentre i frammenti di stoffa di colore rosso, risultarono provenire da un prezioso drappo di porpora intessuto d'oro. Queste ossa erano dunque quelle che, ai tempi di Costantino, avvolte in un panno di porpora vennero deposte nel loculo del "muro g" come reliquie di Pietro e lì rimasero chiuse fino al momento degli scavi.

Dove furono sistemate in seguito alle analisi le reliquie?

Margherita Guarducci: Vennero racchiuse in 19 contenitori di plexiglas e riposte nel 1968 nel loculo dal quale erano state asportate da monsignor Kaas.

I risultati degli esami provocarono reazioni?

Margherita Guarducci: Subito dopo gli accertamenti nel 1964 cominciò una serie di contestazioni e confutazioni. Si cercò in tutti modi di infirmare le prove. Ci fu chi volle fraintenderle e deformarle e addirittura chi volle ignorarle. E l'epicentro di questa ostilità era proprio un certo ambiente cattolico. Ricevetti anche lettere dalla Segreteria di Stato contro i risultati da me raggiunti. Risposi a tutti scrupolosamente. È possibile che nelle reazioni abbia avuto parte il disappunto degli ex scavatori, che si erano visti sfuggire i principali risultati. Tanto che nel 1968 fu avanzata a Paolo VI un'assurda proposta: unire le ossa di San Pietro alle altre ritrovate in quella zona. Se questa fosse stata accettata si sarebbe annullata per sempre ogni traccia di Pietro nella Basilica vaticana. Ma c'era qualcosa di strano in questa ostinata volontà di nascondere i risultati...

( Nota mia: qui la Guarducci sembra confondersi in quanto, come vedremo, avvenne che, in effetti, le ossa del presunto Pietro vennero messe insieme a quelle rinvenute negli scavi: quelle appunto della teca in di plexiglas! )

Che cosa?

Margherita Guarducci: Io informai subito Paolo VI della mia scoperta. Lui mi ricevette e mi disse: «Non sa quale gioia mi dà!». E mi comunicò che avrebbe dato l’annuncio dell’avvenuta identificazione nella festività di tutti i Santi del 1964, mentre era in corso il Concilio Vaticano II. Ma l’atteso annuncio non fu dato. Non escluderei che il motivo di ciò sia stato determinato da pressioni ispirate ad un sentimento antiromano e quindi antipetriano col quale si credeva forse di servire un malinteso ecumenismo. L’annuncio doveva essere dato nel pieno del Concilio dove uno dei temi più discussi era l’ecumenismo. E questo avrebbe forse infastidito i protestanti che da secoli si pronunciavano contro Roma e il primato del Papa che deriva da Pietro. Ma le reliquie erano rimaste a cuore a Paolo VI. Due anni dopo il mancato annuncio in un’udienza mi disse: «Quelle ossa sono per noi come oro». E cogliendo tutti di sorpresa il 26 giugno 1968 diede pubblicamente l’annuncio del loro ritrovamento. Ad esse fece poi riferimento spesso, soprattutto negli ultimi anni del suo Pontificato. E in una delle ultime udienze che concesse a me disse: «Io la ringrazio a nome mio e della Chiesa di oggi e di domani».

Dopo la morte di Paolo VI, nel 1978, rimase nella Fabbrica di San Pietro?

Margherita Guarducci: Con la sua morte i miei rapporti con la Fabbrica si deteriorarono e si aprirono agli avversari i sotterranei della Basilica. Uno dei primi segni delle mutate condizioni fu la decisione di monsignor Lino Zanini, dal 1978 nuovo delegato della Fabbrica, di porre fine alle mie visite guidate nei sotterranei. Per dieci anni avevo accompagnato numerose personalità della cultura e della religione, tra cui il patriarca ortodosso Atenagora, ma quello che mi consolava di più erano alcune lettere di persone che si erano convertite dopo aver visitato quel sacro luogo.

E lei come reagì?

Margherita Guarducci: L’ostilità crebbe a tal punto che dopo circa due anni fu negato anche a me di mettere piede nei sotterranei. Sono passati da allora dieci anni. Nel ‘77 erano uscite le guide da me redatte per i visitatori, ma le edizioni in lingua straniera, tranne quella in inglese, furono subito bloccate da monsignor Zanini. Fra l’82 e l’83 scrissi un libro “Pietro in Vaticano”. Andai così alla Fabbrica per prendere le foto che mi occorrevano. Mi furono negate anche quelle. Ero esasperata. Mi rivolsi allora a due cardinali: Agostino Casaroli e Joseph Ratzinger. Ricordo ancora l’esclamazione con la quale il cardinal Ratzinger commentò lo stato delle cose: Unglaublich! (incredibile!). Dopo l’uscita del libro il padre gesuita Bartolomeo Sorge, allora direttore di “Civiltà Cattolica”, mi scrisse una lettera nella quale mi avvertiva che avrebbe dato a padre Ferrua la possibilità di difendersi su “Civiltà Cattolica”. L’articolo era discutibile. Ripresi così in mano la penna e risposi esaurientemente. Nell’azione antipetriana hanno avuto parte cospicua certi gesuiti.
Nel suo libro afferma che nelle drammatiche vicende delle reliquie di Pietro l’aspetto più inquietante è rappresentato dagli interessi oscuri che si agitano all’interno della Chiesa. Potrebbe spiegarsi meglio?

Margherita Guarducci: Nella volontà di minimizzare e di annullare la presenza tangibile di Pietro nella Chiesa di Roma, ho detto che parte fondamentale ha avuto quel falso ecumenismo sotto il quale si celano idee malsane e spesso si agitano interessi oscuri e comunque ostili alla Chiesa.
All’inizio non riuscivo a capire il perché di tutti quegli strani episodi e le ragioni di quella costante tendenza ad occultare le scoperte. Ma quell’ostinata pertinacia nell’occultare, nel negare contro ogni dimostrazione scientifica le prove che le reliquie del Principe degli Apostoli esistono veramente sotto la Basilica di Roma, da dove poteva venire se non da quegli oscuri interessi? Se non si esalta Pietro, automaticamente si mette la Chiesa cattolica alla pari di tutte le religioni. Pietro appartenne alla schiera eletta dei Dodici prescelti da Cristo che vissero in familiarità con Lui e furono testimoni dei Suoi miracoli. A Pietro Cristo affidò il mandato di rappresentarlo in terra. A lui è perciò legato il primato del Papa e l’autorità di Roma.

Dopo la pubblicazione ha ricevuto messaggi da parte di uomini di curia?

Guarducci: Sì, ho ricevuto alcune lettere tra cui una del cardinal Casaroli ed una del cardinal Alfonso Stickler che si complimentano con me.

Crede che d’ora in poi le cose cambieranno?

Guarducci: Non mi attendo riconoscimenti. È vero quello che mi ha scritto il cardinal Stickler: sono stata lasciata da sola in questo lavoro che avrebbe dovuto interessare più la Chiesa che me personalmente. Ma so che la verità prima o poi si afferma. Per questo ho dedicato il mio libro alla Provvidenza che mi ha aiutato e sostenuto durante tutti questi lunghi anni.

Cassette in Plexiglas nel muro “ G “

[Nota mia: quello raffigurato qui sotto è il famoso muro di graffiti (palinsesto) dove la Guarducci dice di aver letto frasi che si riferiscono a Cristo e Maria. Per la maggior parte si tratta di segni incomprensibili. Il problema è che da questa sovrapposizione di testi Margherita Guarducci ha tirato fuori un mondo, che lei dice, di una grande ricchezza spirituale che ha chiamato “criptografia mistica”, cioè un linguaggio nascosto dei cristiani].

In questa intervista si sente tutta l’amarezza della Guarducci per essere stata usata e tradita.

Ma nella intervista non si capisce bene tutta la storia. Per sapere ciò che avvenne dobbiamo riferirci al libro "Le reliquie di Pietro sotto la Confessione della Basilica Vaticana".

Il 26 giugno 1968, Paolo VI annunciò ai fedeli che: "...anche le reliquie di San Pietro sono state identificate in modo che possiamo ritenere convincente....Non saranno esaurite con ciò le ricerche, le verifiche, le discussioni e le polemiche.....abbiamo ragione di ritenere che siano stati rintracciati i pochi, ma sacrosanti resti mortali del Principe degli Apostoli".Il giorno successivo a quello dell’annuncio le reliquie di Pietro tornarono nel loculo del monumento costantiniano. Erano presenti alla cerimonia cardinali, monsignori, preti, notai, ricercatori e la stessa Guarducci che, nel citato libro, amaramente annota:
"A questa memorabile cerimonia Paolo VI non fu presente. Ciò è indubbiamente strano. La sua presenza infatti in una simile occasione era quasi indispensabile. Si ricordi che all’inizio degli scavi egli era pronto (sono parole sue) a "cadere in ginocchio" davanti alle ossa di Pietro. Quale motivo lo indusse a non comparire?". Tuttavia il papa si fece consegnare nove piccoli frammenti di quelle ossa, contenuti in un reliquiario d’argento, che custodisce presso la sua cappella privata. ( Quella stessa teca è stata portata a confortare Giovanni Paolo II durante la sua degenza nella Clinica Gemelli, dopo il noto attentato di cui è stato vittima il 13 maggio 1981.
Nella teca,prudentemente, vi è scritto: "Dalle ossa che, rinvenute nei sotterranei dell’arcibasilica Vaticana, vengono credute essere del beato Pietro apostolo".)

Ma come! Delle presunte reliquie di Pietro ne vengono prese solo nove, che vengono messe in un reliquiario di argento, e il resto viene messo insieme alle ossa degli animali domestici nella teca di plexiglas?

Perché dividere le ossa se sono ritenute di san Pietro?

Dopo questo episodio, in pratica, la Guarducci fu cacciata anch’essa in malo modo.
 
OMISSIS

Diciamo subito che non è un semplice graffito che può migliorare il giudizio che ne dettero tanti, oltre il citato Oscar Cullman, tanto più che la stessa Guarducci ci fa sapere che un altro graffito col nome Pietro fu trovato anche sul muro del mausoleo dei Valerii (tomba – H).

Ma c’è una cosa che non è mai stata chiarita: chi ridusse la tomba ( o cenotafio ) nello stato in cui fu trovata nel 1941?
Certamente quelli che vi edificarono una basilica sopra avrebbero dovuto conservarla. Furono i vandali; i visigoti; i saraceni; i lanzichenecchi? Non è dato a sapersi, anzi si ripete l’aneddoto che mai nessuno osò profanare la tomba.

La figura, riproduzione a grandezza naturale del frammento di intonaco del Muro Rosso che, secondo la ricostruzione, riporterebbe la scritta (Petros Eni, "Pietro è dentro"). Contro questa lettura, c'è il fatto che c'è troppo spazio tra la EN e la I. In alcune fotografie si può vedere quello che sembra un secondo segno verticale tra la N e la I, facendoci supporre che la terza lettera sia una H (eta) piuttosto che una I (iota). Se questo è vero, non solo elimina la lettura "Pietro è dentro", ma suggerisce un epiteto comune di Mitra diviso in due righe: (Petregenes, "nato dalla roccia").
Lo storico Carcopino vi legge Pétros endei (= Pietro manca, non c'è)
Ma anche se la lettura corretta della prima riga fosse Petros, l'epiteto potrebbe riferirsi tanto a Mitra quanto al Santo. Mitra aveva il soprannome "Pietra" ben prima che l'autore di Matteo scrivesse che Gesù l'aveva dato a Pietro il pescatore. Ovviamente, il graffito potrebbe semplicemente essere lo scarabocchio di qualche antico ragazzino di nome Petronios !
Altri interpreti dicono che si potrebbe leggere anche “Petrus est” cioè “Pietro è in pace”; oppure come propose il Ferrua stesso “Petr[os] / en i[rene) (Pietro in pace).
Comunque sia, supponendo pure che ci sia scritto “Pietro è qui”, cosa cambierebbe? La tomba rimane sempre priva di nome. Questo lo sa benissimo anche la Guarducci, che come si legge dall’intervista sposta il problema su un supposto “intrigo internazionale”. Questo metodo è vecchio quanto il mondo, e oggigiorno con l’uso dei media è quasi diventato di routine. La Guarducci deve essere stata comunque una donna dotata di notevole carisma e risorse se convinse Paolo VI.
Come si legge dall’intervista, la tesi della Guarducci fu sempre contestata da padre Antonio Ferrua. Non furono evidentemente solo ragioni di risentimento per essere “stato smascherato” dalla Guarducci che indussero il Ferrua a scrivere numerosi articoli su Civiltà Cattolica contro la tesi della Guarducci. ( nel 1969 Ferrua disse che il pezzo di intonaco era interno al muro “g” )
Il confuso resoconto della Guarducci in realtà è ancora più complesso, in quanto la vicenda è piena di storie che si contraddicono.
Il voluminoso libro delle “Esplorazioni” non accenna quasi mai a “ossa” rinvenute e quando lo fa parla di “ossa sparpagliate sul terreno e mescolate tra loro” (sono quelle contenute poi nelle cassette
di plexiglass ).

Le prime comunicazioni stampa di Camille M. Cianfarra al New York Time del 22 Agosto 1949 parlano di una urna sepolcrale in terracotta contenente le ossa (anche l’urna è priva di qualsiasi iscrizione!).
Uno degli archeologi, E. Kirshbaum, in un libro (The Tombs of St. Peter & St Paul, 1959)
parla di un mucchio di ossa alla base del muro rosso, ma la cosa non viene riportata nelle “Esplorazioni”.
Il commento di Pio XII, parla di un set di ossa trovate “di fianco alla tomba” (muro dei graffiti?).
Infine la tesi Guarducci-Segori che parla di uno scheletro riferito ad un unica persona (non quelli delle cassette di pexiglass!) che, analizzato, sarà certificato da Paolo VI come quello dell'Apostolo.

Troppe tesi, troppo diverse! La posizione e la natura dei ritrovamenti non viene mai spiegata.
In una intervista del 2/01/2001 a Orazio Petrosillo del Messaggero, il centenarioAntonioFurrua ribadisce che: Punto di capitale importanza è che lui si trovava in prima persona a scavare nel "muro g" quel novembre 1941 e in tutta coscienza ed onestà relazionò a Pio XII, come pure Kirschbaum, che "la cassetta era vuota, con solo resti insignificanti di scaglie ossee, un po' di piombo, un paio di fili d'argento e una moneta dei conti di Limoges (X – XII sec.)”. Gli scavi durarono dal 1940 al '51. La Guarducci non ha mai avuto parte nei lavori di quegli anni, e compì la prima visita agli scavi nelle Grotte Vaticane soltanto nel maggio 1952.

(Nota mia: come dare torto al Ferrua che nel 1941 trova una cassetta vuota che per miracolo nel 1953 contiene delle ossa, e che nel 1962 vengono dette appartenere a S. Pietro!).

Un secondo punto che risolve la questione è la calunnia (*) della Guarducci nei riguardi di mons. Ludwig Kaas, segretario-economo della Fabbrica di S. Pietro, uomo di fiducia di Pio XII e sovrintendente ai suoi occhi di tutta l'operazione degli scavi nelle grotte vaticane. Secondo la professoressa, era mons. Kaas che, all'insaputa dei quattro archeologi, avrebbe vuotato il loculo delle ossa rinvenute in quanto "non archeologo, era incapace di valutare appieno l'importanza del loculo nel complesso del monumento costantiniano".

La soluzione del giallo per padre Ferrua è la seguente: i resti di san Pietro e di san Paolo, a motivo delle persecuzioni, furono nascosti a metà del III secolo nelle catacombe di San Sebastiano sulla via Appia; quando Costantino ordinò di riportare la cassetta con le reliquie petrine in Vaticano fece murare la cassetta vuota come cosa sacra nel "muro g" e deporre le reliquie in un luogo più decente e più conveniente del monumento costantiniano.
La risposta salomonica di Antonio Ferrua appare pervasa da una certa ironia. E’ pur vero che questa specie di profezia per un futuro ritrovamento allude a cose nascoste di sua conoscenza.

Antonio Ferra smenti sempre le tesi della Guarducci. In un comunicato: Roma, 27 e 29 apr. 1995 (Adnkronos) dichiarò:

''..non c'e' nessun motivo per ritenere le ossa rinvenute sotto la basilica vaticana come quelle di Pietro. In quella cassetta che noi trovammo durante gli scavi degli anni Quaranta non c'erano resti umani. Evidentemente siamo di fronte ad una montatura: sono state prese ossa da un'altra parte e poi si e' voluto attribuirle all'apostolo''

OMISSIS

Il vaticano lascia che si creda a questa favoletta della tomba di Pietro. Qualche “ mosca bianca “ ammette l’evidenza della mancanza delle ossa, ma insiste con la tesi del trofeo di Gaio, anche se per tenere in piedi questa cosa dice che sono evidenti casi di cimiteri misti pagani-cristiani. Tesi tutta da dimostrare, ma che da sola non basta per dimostrare che quei ruderi siano quello che si dice. Supposto che quei ruderi siano “ cristiani “ non vuol dire che li fu sepolto Pietro.
Forse qualche convertito da Paolo avrebbe accettato di farsi seppellire in un cimitero pagano, ma mai lo avrebbero fatto quelli di origine ebraica.
Giovanni Battista dé Rossi, fondatore della Pontificia Accademia Romana di Archeologia, autore di una sterminata bibliografia dedicata alla archeologia cristiana, nel sua” La Roma sotterranea cristiana descritta e illustrata, 3 voll., Roma 1864-1877 ” dimostra, senza ombra di dubbio, che i cimiteri cristiani si formarono già nel primo secolo, con regole precise che escludevano la promiscuità con i cimiteri pagani. Sempre nello stesso libro, si parla a tale proposito del cimitero Ostriano, dove Pietro predicava ed aveva la Cattedra. Le citazioni sono decine e decine, ma per i fautori del “ Trofeo di Gaio “ non rappresentano  una tradizione attendibile.


Questo è il campo “ P “ il più antico della necropoli vaticana. Le tombe terragne sono tutte anonime.

 

 

 

 

 

 

APPENDICE

Necropolis areas

A. C. Polilius Heracla
B. Tomb of Fannia Redempta
C. L. Tullius Zethus
D. Opus Reticulatum
E. Aelii
F. The First Tomb of the Caetennii
G. Teacher
H. Tomb of the Valerii
I. Chariot
L. Caetennia Higia
M. Cristo Sole
N. Aebutii

O. Matucci
P. Field P
- Red Wall
- Shrine of St Peter (Trophy of Gaius)
- Graffiti Wall G (Bones of St Peter)
Q. Area for inhumation
R. Tomb R
S. Tomb S
T. Traebellena Flaccilla
U. Luicfer
V. Tomb V
Z. Tomb of the Egyptians
Tomb of the Marci