Ringraziando le riflessioni fatte da Don Alfredo M. Morselli, siamo grati anche ad una riflessione del professore Josè Antonio Ureta – dall’Osservatorio Sinodo Amazzonia dell’ Istituto Plinio Correa de Oliveira, insieme anche ad un articolo del professore Stefano Fontana…
Fermo restando che al momento pare “salvata” la legge ecclesiastica sul celibato sacerdotale, si profila però un altro pericolo che in pochi hanno visto nella Esortazione…. Dalla Dottrina Sociale della Chiesa… arriviamo alla dottrina social-marxista-filo panteista e New-Age della new-chiesa???
Intervista a Don Alfredo M. Morselli La FQ
Qual è il suo giudizio su Querida Amazonia?
E la prosecuzione del documento finale del Sinodo (Amazzonia: nuovi cammini per la chiesa e per un’ecologia integrale): esso non è contraddetto e neppure rettificato: Il Papa ha scritto: “Non svilupperò qui tutte le questioni abbondantemente esposte nel Documento conclusivo. Non intendo né sostituirlo né ripeterlo… nello stesso tempo voglio presentare ufficialmente quel Documento”. Cioè il Papa intende andare avanti oltre il documento finale, ma non contro o diversamente da esso.
La ha sorpreso il fatto che il Papa non abbia trattato le scottanti problematiche di viri probati e diaconesse?
Erano trapelate delle voci circa questo silenzio; ma attenzione: il Papa non ha detto di no: c’è come un taglio tra i paragrafi 89 e 90: essi ripetono quanto il Papa aveva detto nel viaggio di ritorno da Panama: “La Chiesa fa l’Eucaristia e l’Eucaristia la fa la Chiesa” Ma dove non c’è Eucaristia, nelle comunità – pensi lei, Carolina, alle Isole del Pacifico… si potrebbe ordinare un anziano sposato”. In Querida Amazonia ci sono analoghe premesse, ma manca la conclusione. Tuttavia il sacerdozio uxorato purtroppo non è precluso, come invece è precluso – per altro con ottime motivazioni – il sacerdozio alle donne.
A che cosa si deve?
I Rivoluzionari hanno pensato che è più utile alla loro causa rallentare la velocità del processo. La rivoluzione ha come due marce: una veloce, destinata al fallimento immediato: e una lenta, che procede passo passo con risultati migliori: ma la marcia veloce (es.: quelli che vorrebbero il sacerdozio uxorato e alle donne subito) non è inutile: essa attira lentamente verso la realizzazione dei loro vaneggiamenti la moltitudine innumerevole dei “prudenti”, dei “moderati” e dei mediocri. È per questi moderati, pastori cani muti, che i teologi condannati da Giovanni Paolo II oggi, dopo Amoris laetitia, possono tiranneggiare.
È possibile che sia stato l’ intervento di Ratzinger e Sarah e del loro libro?
Sicuramente l’episodio ha fatto riflettere la setta modernista: un po’ come l’avviso di un autovelox fa rallentare momentaneamente la marcia dei guidatori: ma, come dicevo, la marcia rivoluzionaria, nella mente dei modernisti, procede.
È solo un rallentamento del modernismo, oppure anche un segno di Dio, un miracolo?
Senz’altro è un fatto provvidenziale, perché questa pausa è per i buoni – a cui è stato per ora risparmiato il supplizio della fine del celibato sacerdotale – occasione per impegnarsi ancora di più nella buona battaglia e nel processo di santificazione personale. La Madonna usa i santi, come suo mistico calcagno, per schiacciare la testa al serpente, nel corso della storia della salvezza: dobbiamo mettere la Madonna nella condizione di poterci usare.
Qualcuno comunque parla di testo ambiguo: condivide?
No, è tutto fuorché ambiguo: la linea del Pontefice è tracciata e immutata. Non illudiamoci
In caso contrario ci sarebbe stato il rischio di uno scisma?
Come le ho già detto tante volte lo scisma c’è già, seppure non formalizzato: all’interno della Chiesa ci sono due famiglie spirituali che non hanno la stessa fede: sul matrimonio, sulla morale, sul dogma, sulla Confessione, sull’interpretazione della Sacra Scrittura etc. etc. Lo scisma formalizzato è evitato dai modernisti più spinti che vorrebbero “tutto e subito”, ma hanno bisogno di Bergoglio come bandiera delle loro eresie; e non lo vogliono neppure i buoni Vescovi che lottano con il Papa come Giacobbe con l’Angelo: “Non ti lascerò finché non mi avrai benedetto”, diceva Giacobbe; “Non ti lascerò anche se non rispondi ai dubia e non ascolti le correzioni filiali”, dicono oggi i buoni. E così sostengono, rafforzati dal bagno di sangue dei martiri del secolo scorso e di questo secolo, l’indefettibilità della Chiesa.
Pensa che adesso i progressisti attaccheranno il papa sentendosi traditi?
Sì, ma in modo molto subdolo: non vogliono “regalare il Papa alla destra” e non vogliono perdere colui che ostentano come la bandiera delle loro follie. Ci sarà qualche catto-tupamaro che griderà allo scandalo: ma i meno sciocchi si rassegneranno trattando il Papa da un povero vecchietto fermo al Concilio Vaticano II (“di più subito non possiamo pretendere”, ha sostanzialmente detto un tristemente noto liturgista), oppure in codice: il Card. Marx ha dichiarato di non essere disponibile a ricandidarsi come presidente della Conferenza episcopale tedesca: che non sia un avviso al Papa “Attento a non tagliare il ramo sul quale stai seduto”?
Qui i due articoli di Ureta e Fontana in video-riflessione:
Francesco ratifica Leonardo Boff e butta Fritz Löbinger nel Tevere
Pubblichiamo di seguito un’analisi dell’Esortazione Apostolica Querida Amazonia apparsa ieri sul blog del vaticanista Edward Pentin a firma di José Antonio Ureta, collaboratore dell’Istituto Plinio Corrêa de Oliveira.
Allusioni, ambiguità e poesia: dimmi come parli e ti dirò che Magistero è
Per dare il proprio assenso in materia di fede e di morale il credente deve capire bene ciò a cui sta dando l’assenso per poterlo fare consapevolmente. Il resto è letteratura. Dopo Amoris laetitia, anche l’Esortazione apostolica di papa Francesco sull’Amazzonia utilizza un tipo di linguaggio che enfatizza l’uso di immagini, inserzioni di poesie, concetti ambientalisti di facile presa, espressioni caricate di profetismo sociale, drastici giudizi storici. Si ritiene inutile insegnare con precisione delle verità, ritenendo che il magistero debba suscitare riflessioni, confronti e aprire cammini nuovi.
Il linguaggio del magistero ecclesiastico è un aspetto importante dello stesso magistero ecclesiastico. Lo stile espositivo dei documenti magisteriali, infatti, deve essere adeguato sia al contenuto che viene insegnato sia all’atto autoritativo di chi lo insegna. Parole e frasi ambigue, sfumate e diversamente interpretabili, allusive e non dichiarative, poco chiare nella loro struttura con possibilità di fraintendimenti da parte di chi vuole apprenderne l’insegnamento non sembrano adatte. I documenti che prevedono un assenso doveroso da parte del fedele devono essere chiaramente formulati, sia nel contenuto che nella forma, dato che il fedele non può sentirsi vincolato ad assentire al magistero se posto davanti a proposizioni con belle immagini sì ma dal contenuto teologico approssimativo espresso con un linguaggio incerto. Per dare il proprio assenso in materia di fede e di morale il credente deve capire bene ciò a cui sta dando l’assenso per poterlo dare consapevolmente. Il resto è letteratura.
Dal Vaticano II in poi, questo del linguaggio è diventato un problema centrale. Da quando l’intento pastorale è emerso rispetto a quello dottrinale, senza tuttavia eliminarlo ma condizionandolo, l’espressione linguistica degli insegnamenti si è fatta più imprecisa. Per mettere a fuoco correttamente alcune frasi della Gudium et spes – ad esempio – bisogna fare riferimento ad altri passi della stessa Costituzione pastorale, poi ad altri punti di altri documenti del Concilio, fino ad arrivare al Catechismo. Negli insegnamenti di Papa Francesco questo aspetto ha subito come un’impennata. L’Esortazione apostolica Amoris laetitia ne è stata forse l’esempio principale: il suo linguaggio è ricco di immagini ad effetto, utilizza strumenti retorici di vario genere, pone domande a cui non risponde, adopera spesso iperboli ed estremizzazioni, allude a criteri e soluzioni che non esplicita, le parole vengono adoperate con libertà e secondo codici diversi, come quando, per esempio, vengono chiamate “situazioni familiari” le coppie di fatto e le unioni tra persone dello stesso sesso. In questo modo il fedele non comprende con chiarezza quale sia l’esatto insegnamento al punto che, come è ormai noto, Amoris laetitia voleva dire quello che però espressamente non ha detto. Il magistero non dovrebbe insinuare ma affermare.
Ormai sappiamo che il problema nasce dal desiderio di far emergere le indicazioni pastorali dall’interno delle situazioni esistenziali. Un linguaggio preciso – così si pensa – sarebbe in grado di definire delle verità astratte di fede e di morale, ma non sarebbe capace di far emergere le concrete situazioni di vita in cui si dovrebbe viverle. Per lo stesso motivo si ritiene inutile insegnare con precisione delle verità, ritenendo che il magistero debba piuttosto suscitare riflessioni, confronti e aprire cammini nuovi. Una volta comprese queste motivazioni, bisogna però chiedersi se questo sia il vero ruolo del magistero ecclesiastico e se un linguaggio finalizzato a questi scopi non rischi di confondere.
Anche l’Esortazione apostolica di papa Francesco sull’Amazzonia utilizza questo tipo di linguaggio e lo enfatizza con l’uso di immagini, inserzioni di poesie, concetti ambientalisti di facile presa, espressioni caricate di profetismo sociale, drastici giudizi storici che colpiscono ma che sembrano improvvisati, immagini dall’impatto lirico: “Dalle vette più alte della cordigliera, dove le nevi sono eterne, l’acqua scorre e traccia un solco vibrante nella pelle antica della pietra: il Rio delle Amazzoni è appena nato. Nasce ad ogni istante. Discende lenta, sinuosa luce, per crescere nella terra…”.
Nell’Esortazione sono illustrati quattro “sogni”, ma che significato magisteriale deve essere dato a questa parola? Il quarto sogno concernente “l’irresistibile bellezza naturale che l’adorna [l’Amazzonia], la vita traboccante che riempie i suoi fiumi e le sue foreste”: cosa vuol dire? Che i “popoli originari dell’Amazzonia possiedono un forte senso comunitario” è una espressione che fa presa ma è anche molto imprecisa. Cosa comporta “coniugare la saggezza ancestrale con le conoscenze tecniche contemporanee”? oppure riconoscere l’Amazzonia “come un mistero sacro”?
Come mai nel linguaggio di una Esortazione apostolica trova spazio l’espressione “Madre Terra”?; perché si citano poeti come Neruda e de Moraes?; per esprimere la contemplazione della natura è veramente utile adoperare espressioni come questa?: “se entriamo in comunione con la foresta, facilmente la nostra voce si unirà alla sua e si trasformerà in preghiera: «Coricati all’ombra di un vecchio eucalipto, la nostra preghiera di luce s’immerge nel canto di fronde eterne»”.
È anche strano che, mentre l’Esortazione non fa proprio il documento finale del Sinodo, si dica nei primi paragrafi che l’intero cammino sinodale deve avere una ricezione armoniosa, creativa e fruttuosa; che il documento finale deve essere letto integralmente; che bisogna impegnarsi nella sua applicazione e che deve ispirare tutte le persone di buona volontà. Per rimanere sempre nel campo espressivo, è anche strano che la nota 120 – ancora una nota, come in Amoris laetitia – si ricordi che “nel Sinodo è emersa la proposta di elaborare un rito amazzonico”, il che potrebbe essere collegato ai “viri probati”.
Problemi di linguaggio certamente. Ma i problemi di linguaggio non sono mai solo di linguaggio.
- si legga anche:
Querida Amazona, ma senza Dottrina sociale
-UN DELITTO TRIBALE CHE INTERROGA di Miguel Cuartero
I cinque inganni della #Pachamama
Le cronache degli ultimi tempi hanno reso il termine “Pachamama” particolarmente conosciuto anche tra il pubblico non addetto alle questioni teologico-religiose. Se ne parla persino al bar.
La Chiesa cattolica, attraverso il Sinodo dell’Amazzonia, ha sdoganato questa parola che in lingua quechua significa “Madre Terra”. Qualcosa però non quadra dentro e fuori la Chiesa. Il concetto di Pachamama nasconde un inganno. Anzi, per l’esattezza ne nasconde cinque. E meritano di essere visti uno per uno.
1. La Pachamama è un inganno religioso. Si tratta, in realtà, di una divinità pagana che appartiene alla cultura e alla religione inca del Perù. Secondo la mitologia pagana inca Pachacamac, dio del cielo, si unì a Pachamama e da questa unione nacquero due gemelli, un maschio e una femmina. In Amazzonia ci sono circa quattrocento popolazioni indigene distinte, la maggior parte delle quali non ha la stessa cultura né la medesima religione di quelle tribù peruviane che conservano elementi inca tra cui, appunto, la Pachamama. Presentare quest’ultima come l’icona della cultura indigena amazzonica significa non solo falsificare la realtà ma anche disconoscere e svilire la diversità delle vere culture amazzoniche nel tentativo di imporre una visione teologica indigena, per finalità esclusivamente ideologiche e politiche. Questo tentativo, tuttavia, è più ampio e non riguardando soltanto l’Amazzonia ma coinvolge tutto il continente latino-americano fino al Messico. Però, che cosa hanno in comune un indigeno tzotzil, maya o purépeche, con gli incas e la Pachamama? Assolutamente nulla. L’inganno, quindi, è tanto grave in quanto pretende di imporre una teologia indigena latino-americana unificata che vanifica la ricchezza della diversità degli stessi popoli indigeni originari di tutta l’America Latina.
2. La Pachamama è un inganno politico. Si impone alle popolazioni indigene e all’immaginario collettivo della comunità latino-americana come rappresentativa di una unificazione indigena da parte del potere politico. Perché, ad esempio, il presidente messicano Lopéz Obrador ha celebrato un rito in onore della Pachamama, divinità peruviana, per chiederle il permesso di costruire la linea ferroviaria maya nel sudest del Messico? Hugo Chavez, Nicolás Maduro, Cristina Fernández de Kirchner, Andrés Manuel López Obrador, Evo Morales, Daniel Ortega, sono solo alcuni capi di stato che hanno partecipato ufficialmente ad atti di culto in onore della Madre Terra e che promuovono questa idea di un’unica ideologia indigena. Non si tratta, quindi, solamente di un mero fatto religioso peruviano, ma siamo difronte ad un vero e proprio fatto politico inserito in una precisa agenda politica, che prevede la promozione di un pensiero panteista, costruito a tavolino, in cui l’idea della Pachamama rappresenta la cultura latino-americana in totale contrapposizione con l’eredità culturale ispanica, a cominciare dalla religione cattolica. Curiosamente, però, questa visione panteistica è del tutto estranea alla maggior parte delle culture indigene. Proviene da altre concezioni filosofiche, sia occidentali che orientali, e persino da alcune fonti esoteriche. In realtà non si tratta di una vera e propria cosmovisione panteistica ma di un progetto politico che esclude di fatto il concetto cristiano di un Dio trascendente rispetto alla creazione e pone la dignità della terra sopra la dignità della persona umana. Si sta tentando una rivoluzione copernicana culturale: superare l’antropocentrismo della modernità con un “geocentrismo” ecologico. La terra, anziché l’uomo, al centro del cosmo. Fino al punto che ci tocca ascoltare discorsi in cui si arriva a teorizzare la limitazione dei diritti umani in favore dei “diritti” della terra.
3. La Pachamama è un inganno teologico per i cristiani. Si tratta, come abbiamo visto, di una divinità pagana inca. Le immagini che la riproducono, da un punto di vista teologico, sono semplicemente degli idoli. Il fatto che un teologo, un pastore, un sacerdote, un vescovo, un cardinale, un Papa o un semplice fedele non abbiano la capacità di riconoscere questo fatto evidentemente innegabile appare davvero inquietante e del tutto incomprensibile. Potremmo dire che siamo difronte ad una nuova eclisse della coscienza, questa volta non nell’ambito del diritto della vita, ma in quello del primo e più importante comandamento: il diritto di Dio. Con l’aggravante che così facendo non si oscura solo la coscienza di un popolo, bensì la coscienza della stessa Chiesa. Alla luce della Rivelazione Divina, contenuta nella Parola di Dio, nella Tradizione della Chiesa e nel Magistero, la questione è molto semplice: fabbricare idoli da adorare è un peccato gravissimo. Prostrarsi difronte agli idoli è idolatria. Fare loro offerte, sacrifici, portarli in trionfo, porli su un trono, incoronarli, bruciare loro incenso, rappresenta un evidente culto idolatrico gravemente immorale. Metterli su altari o all’interno di chiese consacrate per venerarli costituisce una vera e propria profanazione.
4. La Pachamama è un inganno per quanto riguarda il concetto di tolleranza.
La sensibilità dei fedeli appare giustamente ferita quando assiste al desolante spettacolo di idoli che ricevono culto in chiese cattoliche. É un fatto profondamente disdicevole che richiede una ferma condanna. Non si tratta di una mancanza di rispetto o di tolleranza verso le persone che professano un’altra religione. Si rispetta il credo religioso di tutti, ma qui si tratta dell’imposizione di una tolleranza ad un culto idolatrico in templi e luoghi cattolici che vengono profanati dalla presenza di idoli. Questo non è accettabile. Tollerare tutto ciò significa essere complici della profanazione. Per questo il gesto di “idoloclastia” (distruzione degli idoli) che è stato coraggiosamente compiuto nella chiesa romana di Santa Maria in Transpontina, e che ha avuto vasta eco a livello mondiale, rappresenta un’espressione del più nobile senso della fede, e lungi dall’essere oggetto di riprovazione, merita un encomio.
5. La Pachamama è un inganno dell’inculturazione. Il principio di inculturazione è l’annuncio del Vangelo che riesce ad essere accolto da tutti i popoli di tutte le culture. La stessa dinamica dell’evangelizzazione stabilisce un processo graduale di trasformazione della cultura che accoglie la Parola di Dio, penetrando nel cuore di quella stessa cultura attraverso il mantenimento di ciò che di bene si trova in essa, la purificazione del male che essa contiene, lo sviluppo dinamico della fede che è sempre capace di rinnovare tutto. Senza tener conto del criterio della contrapposizione non si può parlare di inculturazione. È chiaro che l’evangelizzazione implica una necessaria contrapposizione con gli aspetti gravemente immorali delle culture che intende raggiungere, ed esige, ovviamente, la rinuncia all’idolatria.
Il modello di inculturazione paradigmatico che si trova in America Latina è costituito dalla Vergine Maria di Guadalupe. Questo modello è riuscito a recuperare i migliori elementi delle culture preispaniche coniugandoli con la verità del Vangelo, che ha naturalmente portato alla cessazione delle condotte immorali (come i sacrifici umani) e delle tenebre dell’idolatria.
Non ci resta che invocare, con fiducia e affetto filiale, proprio la Vergine di Guadalupe, affinché dissipi le tenebre e ristabilisca pace e serenità nella Chiesa.