Cronaca

Coronavirus, "L'emergenza blocca gli aborti, diamo a casa la pillola Ru486"

Reparti chiusi, consultori fermi. Le associazioni che difendono la 194: "Così si nega un diritto". Appello da Saviano a Boldrini: "Interruzioni di gravidanza farmacologiche senza ricovero"
3 minuti di lettura
Chiusi i reparti, respinte le donne. Consultori fermi. È l’altro lato dell’emergenza. In Italia abortire è diventato quasi impossibile, la crisi del Covid-19 ha mandato in pezzi la già fragilissima rete della legge 194. Effetti collaterali di una pandemia che mostra il lato nascosto delle cose.

“In tutto il Nord, gran parte dei reparti di interruzione volontaria di gravidanza sono stati chiusi per destinare i letti ai malati di Coronavirus.  In altri ospedali i pochi anestesisti non obiettori sono stati destinati alle terapie intensive, spostarsi per cercare una struttura aperta è vietato dalle ordinanze, i consultori non ricevono, ogni giorno riceviamo telefonate disperate di donne che non sanno più come fare”. Silvana Agatone, ginecologa, è presidente della Laiga, associazione storica nata per difendere la legge 194. “E’ una tragedia nella tragedia. So di ragazze che si sono dovute spostare da Torino a Caserta per poter abortire. Donne ormai vicine alla scadenza delle dodici settimane respinte da tutti i centri. Ci sono consultori che non rilasciano più i certificati. Nonostante il ministero della Salute abbia specificato che l’interruzione volontaria di gravidanza rientri negli interventi indifferibili, molte strutture hanno invece equiparato gli aborti agli interventi di routine e fermato gli accessi”.

Le testimonianze sono drammatiche. Maria: “A Milano sono stata respinta da quattro ospedali. Ero vicina al termine quando finalmente mi hanno accettato alla Mangiagalli”.  Rosaria, da Salerno: “Ho violato le ordinanze e sono andata di nascosto a Campobasso, dopo aver perso ben due settimane, dove il reparto è aperto. L’unico ospedale di Salerno che praticava le interruzioni ha chiuso e a Napoli non c’era posto. Un calvario. Ho viaggiato di notte”. (L'ospedale oggi conferma che le interruzioni volontarie di gravidanza sono garantite)

E su una rete in cui soltanto il 64 per cento di ospedali in Italia ha reparti per la legge 194, con una obiezione di coscienza che supera il 70 per cento di medici, anestesisti e paramedici, è bastato che alcuni chiudessero le porte alle pazienti, per mandare al collasso un sistema già fragile.Il paradosso è che in molte strutture sono stati bloccati gli aborti farmacologici, (a Lodi, ad esempio) che richiedono tre giorni di ricovero e dunque “l’occupazione” di letti, a favore degli aborti chirurgici effettuati in day hospital, ma che richiedono sale operatorie. Facendo riesplodere così la questione, mai risolta, sull’uso della pillola Ru486 in Italia, la cui maggiore diffusione renderebbe meno grave, oggi, la crisi degli aborti negati.

Con una lettera aperta al ministro Speranza, al presidente Conte e all’Aifa, sottoscritta da centinaia di firme, da Roberto Saviano a Laura Boldrini, da Lea Melandri a Marco Cappato, da  Livia Turco a Moni Ovadia, quattro associazioni (Laiga, Pro-Choie, Amica e Vita di Donna) chiedono “misure urgenti” per garantire le interruzioni volontarie di gravidanza, “privilegiando la procedura farmacologica”, per limitare, appunto, gli accessi ospedalieri. Nello stesso tempo però la richiesta è quella di allungare i tempi per l’aborto con la Ru486 fino a nove settimane (oggi sono sette), eliminare i ricoveri e prevedere, in questi giorni ardui, una procedura di aborto “totalmente da remoto” con la telemedicina.

IL LINK PER FIRMARE LA PETIZIONE

Perché ormai l’emergenza “194” all’interno dell’emergenza Coronavirus,  non riguarda soltanto il Nord, dove a Milano, ad esempio, si sono fermati i reparti del Sacco, del Niguarda e del Buzzi, ma a catena, seppure a macchia di leopardo, la crisi si è diffusa in tutta Italia. All’ospedale “Grassi” di Ostia, l’unico anestesista non obiettore è stato spostato nelle terapie intensive del Coronavirus rendendo impossibili così gli aborti chirurgici. Ma anche nelle Marche, in Umbria, in Campania, in Puglia e in Sicilia, le donne sono costrette a spostarsi. E a 40 anni dalla sua approvazione l’epidemia di Covid 19, cui si somma il mirato smantellamento dei centri di “Ivg”, potrebbe davvero minacciare la sopravvivenza stessa del diritto all’aborto sicuro, così come prevede la legge.

 “Riceviamo decine di telefonate ogni giorno di donne e ragazze che ci chiedono aiuto, nessuno dà informazioni precise”, racconta Eleonora Mizzoni di “Obiezione respinta” piattaforma creata dalle femministe di “Non una di meno” per  mappare l’obiezione di coscienza in Italia. “Abbiamo creato un canale Telegram e un numero dedicato proprio per questa emergenza. Le richieste d’aiuto sono triplicate. Da una parte c’è la questione sanitaria. Ma c’è anche il boicottaggio". Ciò che affiora è molto di più rispetto a un’emergenza sanitaria. Del resto fin dai primi giorni dell’epidemia i vari gruppi prolife italiani, a cominciare da Provita, avevano chiesto al ministro Speranza di “abolire gli aborti”. Cosa effettivamente avvenuta in Ohio e Texas, due stati ultraconfessionali della “bible belt” americana, ossia la fondamentalista “cintura della Bibbia”. Così, mentre sul sistema della 194 cala il lockdown, ci sono strutture prese d’assalto, come la clinica Sant’Anna di Caserta, passata in poche settimane da 120 a 160 aborti al mese.

Conferma il direttore sanitario Luca Tornatore:  “Assistiamo a una migrazione straordinaria verso la nostra struttura. Segnale che dal basso Lazio alla Basilicata le donne non sanno più dove andare. Con l’epidemia i pochi reparti ancora aperti sono stati destinati al Covid-19, o hanno dovuto chiudere per la mancanza di anestesisti. Riceviamo decine di telefonate ogni giorno. Il sistema che assicura l’applicazione della legge 194 è ormai così depauperato che basta poco per mettere in crisi tutto. E lasciare le donne sempre più sole”.