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Il New York Times – 15 giugno 2021 – scrive: “Il Vaticano ha ammonito i vescovi conservatori a frenare le loro pressioni per negare la comunione ai politici che sostengono i diritti all’aborto, tra cui il presidente Joe Biden secondo leader alla Casa bianca a essere cattolico praticante. Si rischia un solco tra il Papa e la Chiesa statunitense”.

Niente di che meravigliarsi o stupirsi ché simile notizia non suscita, nella più parte della cattolicità, orrore, sdegno e ribellione. La tisana edulcorata della misericordia di Dio, preparata negli atanor vaticansecondisti di Santa Marta, ha smorzato e depotenziato ogni pur minimo cenno di reazione. Questo monito non arriva come fulmine a cielo terso perché, dando, anche distrattamente, uno sguardo alla cronaca ecclesiastica degli ultimi 40 anni, si può avvertire una sequenza di interventi, articolati quasi ad orologeria, mirati a scardinare lentamente e senza strepito il dogma della presenza reale di Cristo nell’Eucaristia negandone di fatto la realtà, schernendone la santità, col dispensarla a persone pubblicamente fuori della comunione cattolica, indegne per riconosciuta irregolarità morale, come nella fattispecie chi promuove  e favorisce l’aborto.

Esso è uno dei crimini che grida vendetta davanti a Dio e che la Chiesa considera colpa gravissima tanto per chi lo richiede che per chi vi coopera. Ed infatti: “La Chiesa sanziona con una pena canonica di scomunica questo delitto contro la vita umana. Chi procura l’aborto, se ne consegue l’effetto, incorre nella scomunica latae sententiae per il fatto stesso d’aver commesso il delitto”. (CCC 1992 canone 2272).
Con sì chiara dottrina ci si aspetterebbe l’applicazione di provvedimenti corrispondenti alla gravità del reato che, nel caso dichiarato, va sanzionato con la più ampia e grave scomunica, l’esclusione, cioè, dalla comunione ecclesiale e, pertanto, dall’Eucaristia.

Vediamo, allora, di commentare l’ammonimento del Papa diretto ai vescovi conservatori statunitensi.
Biden, si dice sia un cattolico praticante che, però, è favorevole all’aborto in quanto ritenuto un diritto, cosa che, come dicemmo sopra, non scuote le coscienze nella maggioranza dei cattolici sempre più simili, in questo, ai protestanti, tiepidi come la chiesa di Laodicea, sul punto di essere vomitati dalla bocca del Signore (Ap. 3, 35/37).

Non scuote la coscienza perché siffatta putrescente “pastorale” s’annuncia da lontano, precisamente il 22 maggio 1978 – festività di santa Rita da Cascia – il giorno in cui venne approvata la legge 194 istitutiva dell’aborto di Stato. Colpevoli in prima linea, oltre le schiere sinistre, anche i più eminenti demo/cristiani, come Giovanni Leone (presidente della Repubblica), Giulio Andreotti (presidente del Consiglio), i ministri Tina Anselmi, Tommaso Morlino, Filippo Maria Pandolfi, Francesco Bonifacio, ai quali va addebitata, storicamente, la responsabilità.
Quale la giustificazione? Eccola nelle parole dello stesso Giulio Andreotti: “ Mi sono posto il problema della controfirma a questa legge – lo ha anche Leone per la firma – ma se mi rifiutassi non solo apriremmo una crisi dopo aver appena cominciato a turare le falle, ma oltre a subire la legge sull’aborto, la DC perderebbe anche la presidenza e sarebbe ancora più grave” (Giulio Andreotti: Diari 1976-1979– gli anni della solidarietà – Rizzoli, Milano 1981, pag. 73 – cit. in Roberto De Mattei:  Il Concilio Vaticano II-una storia mai scritta – Ed. Lindau 2010 pag. 588). Come dire che, Palazzo Chigi, val bene il delitto legalizzato.
Ed ancora:
Secondo uno dei firmatari della legge, il ministro Tina Anselmi, Paolo VI avrebbe esortato i ministri democristiani a non dimettersi e a restare in carica pur dovendo sottoscrivere quel testo” (Roberto De Mattei, opcit. pag. 589).
Questa ultima nota getterebbe una luce sinistra sul Pontefice, autore dell’enciclica Humanae Vitae, che, peraltro, non sarebbe nuovo a simili acrobazie di ispirazione pragmatica quale, ad esempio, il provvedimento con cui decapitò, della dignità primaziale, il cardinal Joszef Mindszenty reo di opporsi alla sua politica filosovietica, la famigerata “Ostpolitick”.

Sulla scia della seconda resa del mondo politico-cattolico – la prima essendo l’istituzione del divorzio, dicembre 1970 – non ostacolata dalla Gerarchìa, altre rese si sono verificate sul fronte aborto sì/aborto no.
Ne citiamo poche, tanto per illustrare il clima che s’è raggrumato sulla Cattolicità fatta insensibile da una callosità mentale che ha indurito la coscienza e ottenebrato la ragione. Vediamo, allora:

Dicembre 2008, il cardinal Angelo Bagnasco, in un’intervista a “Famiglia Cristiana”, con tono . . . severo, denuncia gli effetti negativi della pillola abortiva RU486 che “rischia di banalizzare l’aborto e dimenticare la prima parte della 194, quella sulla prevenzione”.
Ora, se le parole hanno un senso, banalizzare l’aborto significa diminuirne l’importanza morale, la bontà, la positività, l’utilità sicché questo, che, nell’intenzioni del cardinale, doveva essere un colpo micidiale, una vera e propria filippica, si manifesta per essere un pallottola di ovatta, un flebile cicalino.

E venne, poi, il momento anche per il Vicario di Cristo.
Papa Francesco, intervistato da Civiltà Cattolica – settembre 2013 – afferma la necessità, per la Chiesa, di un nuovo equilibrio con il mondo, diversamente l’edificio morale rischia di cadere come un castello di carte. E in che modo è possibile, secondo lui, varare questo nuovo equilibrio? Naturalmente demolendo il “vecchio” perché, oggi, nell’epoca della novella Pentecoste roncalliana, “non possiamo parlare solo di aborto, di matrimonio omosessuale e di contraccettivi”.
Certamente, dell’aborto no ma dell’omosessualità sì, come dimostrano le sue continue scorribande su questo mefitico territorio. Rincarerà la dose il vescovo Nunzio Galantino, segretario CEI, il quale, senza pudore, nel maggio 2014, dichiara alla stampa “di non identificarsi con i visi inespressivi di quei giovani che recitano il Rosario davanti alle cliniche abortiste”. Offesa multipla, al Signore Creatore e Padrone della vita, alla Beatissima Vergine del Rosario, alle vittime innocenti e alla schiera dei giovani oranti.

Ecco per quale motivo oggi si dispensa la santa Comunione a individui “cattolici praticanti” ma partigiani dell’aborto. E poiché “motus in fine velocior” – il moto verso la fine è più veloce – ecco consentito l’accesso eucaristico ad eretici, sodomiti, protestanti, pluri/divorziati, conviventi. E tutto iniziò con la sacrilega pastorale della Comunione dispensata sulle mani, tutto continuò con l’ecumenistico “volemose bene” in forza del quale Giovanni Paolo II – ottobre 1986 – e successivamente Benedetto XVI, celebrarono l’Eucaristia al centro calvinista di Taizé.
Come dimenticare, poi, l’oscena liturgia officiata a Genova – 25 maggio 2013 – in occasione delle esequie di don Alessandro Gallo, il prete uso ad intonare sull’altare “Bella ciao”, dal cardinal Angelo Bagnasco? Fu, quella, una trista pagina, scritta dall’arcivescovo che distribuì, in una ressa di gente urlante, in un’atmosfera tumultuosa, la santissima particola a noti pubblici peccatori,  atei, nemici di Dio.

Come non rammentare la concelebrazione eucaristica – Belo Jardin (Brasile) 20 agosto 2012 – in cui cattolici e massoni “condivisero” il Corpo di Cristo?
O quella, tenuta dal vescovo Oscar Eduardo Miñarro su una spiaggia, durante la GMG – 2019 Brasile – con il contorno di signorine in tanga, gli uomini a torso nudo che si passavano una tazza – il calice – sbevazzando come crapuloni e con un finale di schitarrate, gridolini, balli, abbracci?

Nel 1264, su invito di Papa Urbano IV, il massimo teologo del cattolicesimo, San Tommaso d’Aquino, compose l’inno eucaristico “Ecce Panis Angelorum” quale sequenza da allegare alla Messa del Corpus Domini: “Ecce panis angelorum – factus cibus viatorum – vere panis filiorum – non mittendus canibus” la cui traduzione del quarto verso “da non gettare ai cani” è tuttora, per un peloso e vago senso di rispetto, un neutro “non dev’essere gettato” perché non sia mai – arzigogolano i candidi e pusillanimi chiosatori – che alcun benintenzionato pensi ai cani quale metafora riferita a persone indegne. Come, infatti, la pensò il santo autore replicando l’evangelico “Nolite dare sanctum canibus neque mittatis margaritas vestras ante porcos” (Mt. 7, 6) – non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle ai maiali.

L’Episcopato statunitense “conservatore” è ammonito: non si permetta di negare la Comunione al cattolico filoabortista Joe Biden perché, diversamente, si creerà un solco tra il Papa e la Chiesa USA. Strana premurosa preoccupazione di Sua Santità che non si è ancora accorto del crepaccio che attraversa l’intera comunità cattolica i cui fedeli sanno che, secondo il suo insegnamento – intervista a Eugenio Scalfari, 30 dicembre 2013 – è la coscienza individuale il giudice assoluto del Bene e del male, con tanti saluti al Decalogo. E il relativismo, che impregna ogni cantuccio della dogmatica e dell’etica, ne è il risultato, come dimostrano i due casi – da noi commentati – dei cardinali Marx E Becciu: il primo, dimessosi per mancata vigilanza sul cancro della pedofilia del clero tedesco, ed anche per disinvolta benedizione di coppie omosessuali, amabilmente reintegrato nelle sue funzioni, con l’invito ad andare avanti – ad pejora!;  il secondo, privato della dignità cardinalizia per via di certe gherminelle finanziarie, messo e tenuto in castigo. Ed ora, ecco Joe Biden, Presidente USA, cattolico e abortista a cui – ordine supremo – non si dovrà negare l’Eucaristia.

Papa Francesco, si fermi in nome di Dio. Non sono sufficienti le sberle appioppateci dal Covid19? O crediamo veramente ad una fatalità uscita da un laboratorio cinese?

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fonte: UnaVox

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2 commenti su “Si fermi!”

  1. Fermatevi e smettetela di commentare creando confusione, lì dove è tutto molto chiaro. A cosa serve portare alla luce la polvere nascosta sotto il tappeto per tanto tempo quando abbiamo davanti agli occhi un polverone dovuto alla caduta del palazzo per implosione.
    Fermatevi e smettetela di appellare “Papa”, Bergoglio,per sua stessa ammissione non più, “Vicario di Cristo”; di fatto, apostata e blasfemo; eretico: scomunicato “latae sententia”.
    Io, Donato: ” Io credo in Dio padre onnipotente, creatore del cielo e della terra; e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine”.
    Bergoglio a tutte queste Verità non crede. Non lo dico io, lo dicono i fatti, le “Sue azioni”, di cui lui è responsabile. E non le azioni dei suoi predecessori,come vorreste fare credere.
    Sempre cheS.PaoloVI,
    (Ha dimenticato Papa Luciani), S.G.Paolo II, e Benedetto XVI, tutt’ora vivo, si possano considerare predecessori di…

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