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ALLE RADICI DELLA RICHIESTA

Preti sposati, tutto iniziò col Concilio e poi in Germania

Il problema pastorale legato alla mancanza di sacerdoti e al tentativo di ordinare dei laici sposati non nasce oggi. Ma affonda le radici negli anni '60. Al Concilio, anzitutto, con le incursioni del vescovo Koop che fece arrabbiare San Paolo VI. Per proseguire con le spinte tedesche, che andarono a influenzare negativamente l'America Latina. 

Ecclesia 16_10_2019

“Per una popolazione di 50.000 anime a Manaos vi sono solo due sacerdoti e nel resto dell'Amazzonia cinque o sei che circolano in quell'immensa regione!”. (…) “Nessuno, da duecento anni, si occupa di questi infelici; non un missionario per evangelizzarli, per battezzarli, per salvarli!”

Questi due passaggi sono tratti dalla relazione sulle missioni cattoliche nell'Amazzonia brasiliana fatta da padre Limbour, della Congregazione dello Spirito Santo, alla fine del primo decennio del Novecento. Un documento straordinario pubblicato sul bollettino illustrato di Propaganda Fide nell'edizione di venerdì 7 gennaio 1910 e che ci trasmette intatta una realtà temporalmente lontana da noi ma molto simile a quella descritta nel corso dei lavori del Sinodo attualmente in corso.

Il problema pastorale legato alla mancanza di sacerdoti in molti luoghi della regione persiste e nel cammino sinodale è stato evocato da chi vorrebbe sopperirvi con il via libera definitivo all'ordinazione di uomini sposati di provata fede. Ma così come il problema, anche la sua possibile soluzione è tutt'altro che una novità per la Chiesa: al pari della carenza di ministri ordinati nella regione, anche quella dei viri probati è una questione che riaffiora da anni.

Fece la sua comparsa al Vaticano II grazie a Dom Pedro Paulo Koop, vescovo brasiliano di Lins, autore di un intervento che chiedeva l'ordinazione di uomini sposati. Questo testo, consegnato alla segreteria del Concilio e distribuito ai “colleghi”, riscosse il consenso di 43 padri conciliari ma non venne mai letto in aula perché incontrò la contrarietà di San Paolo VI. Il pontefice bresciano, infatti, con una lettera datata 10 ottobre 1965 al cardinal Eugenio Tisserant, presidente del consiglio di presidenza del Concilio, giudicò inopportuno un simile dibattito nell'assise conciliare. Solamente due giorni dopo, il quotidiano francese d'area progressista “Le Monde”, pubblicò il testo originale di Koop a cui non mancarono critiche da parte degli altri vescovi brasiliani, contrari alla proposta e infastiditi per il modo in cui il loro connazionale aveva indispettito il papa.

La linea dettata da Montini andò a riflettersi, poi, nel “Presbyterorum ordinis”, il decreto del Concilio sul ministero che al paragrafo 16 ribadiva il “rapporto di convenienza (del celibato) con il sacerdozio”.

Ma il 'niet' di Paolo VI ed il pronunciamento del Concilio non bastarono per archiviare una volta per tutte la questione dei viri probati: a rimettere in gioco la palla ci pensò il Sinodo collettivo delle diocesi nella Repubblica Federale di Germania iniziato nel 1971 e conclusosi nel 1975. Durante il cosiddetto Sinodo di Wùrzburg la VII commissione su carismi, servizi e uffici riaprì alla possibilità che uomini saggi di provata virtù potessero essere ordinati in caso di estrema mancanza di sacerdoti. Fu l'occasione in cui si manifestò l'ostinazione delle anime più progressiste della Chiesa tedesca che, nonostante una dichiarazione della Conferenza episcopale nazionale in cui si annunciava di voler escludere la materia dalla deliberazione dei padri sinodali, pretesero lo stesso di andare avanti su quella strada, non senza atteggiamenti di protesta nei confronti del cardinale Dofner, presidente dei vescovi e dell'Assemblea.

Recentemente, il cardinal Marx ha rivendicato con orgoglio quell'esperienza, ricordando come già al termine del Sinodo collettivo l'episcopato tedesco avesse invocato la necessità di aprire una simile discussione, inviando una richiesta in tal senso a Roma subito dopo la conclusione del Sinodo. Marx è sembrato lamentarsi del fatto che in quel caso non ci furono le risposte attese.

In realtà, Roma si era già espressa nel III Sinodo dei Vescovi del 1971 quando la maggioranza dei padri sinodali aveva bocciato la formula più permissiva sull'ordinazione approvando invece quella che chiudeva ad ogni possibile eccezione (“Salvo il diritto del Sommo Pontefice, l'ordinazione presbiterale di uomini sposati non è ammessa, neppure in casi particolari"). Paolo VI avallò questa decisione e fece precisare nel rescritto dell'udienza concessa al termine dei lavori al Segretario di Stato, il cardinal Villot: “Sua Santità (…) conferma, in modo particolare, che nella Chiesa latina, si continui ad osservare integralmente, col divino aiuto, la presente disciplina del celibato sacerdotale”.

Nei decenni seguenti, la crescita dell'influenza tedesca nel mondo cattolico dell'America Latina, supportato dal lavoro sul campo delle società assistenziali legate alll'episcopato e ai gruppi laicali teutonici, finì per favorire anche lì la convinzione che l'ordinazione dei viri probati fosse la migliore via percorribile per fronteggiare la carenza di sacerdoti nelle comunità più isolate.

Ma nel 1990, con la nettezza che gli era consueta, fu San Giovanni Paolo II in persona a escludere ogni possibilità di intavolare una discussione all'interno della Chiesa in merito a quest'ipotesi. Vale la pena citare per intero il passaggio del discorso pronunciato dal pontefice polacco in occasione dell'VIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi:
È vero che altre questioni, gravi, vengono poste quando la mancanza di sacerdoti è avvertita in modo tragico (...). Alcuni si sono domandati se non sia il caso, in tali circostanze, di pensare all’ordinazione di viri probati. Questa soluzione non è da prendersi in considerazione e al problema posto occorre rispondere con altri mezzi. Come è noto, la possibilità di fare appello a dei viri probati è troppo spesso evocata nel quadro di una propaganda sistematica ostile al celibato sacerdotale. Tale propaganda trova il sostegno e la complicità di alcuni mass media. Occorre quindi cercare, senza indugio, altre soluzioni a questo angoscioso problema pastorale”.

San Giovanni Paolo II non si limitò soltanto a bocciare questa soluzione, ma arrivò persino a denunciare il tentativo di chi, strumentalizzando questa questione, cerca di 'smontare' il celibato sacerdotale. Quello dell'ordinazione di uomini sposati apparve un argomento divisivo anche laddove calato in realtà particolari, come quella dell'Oceania che condivide con l'Amazzonia spazi immensi dove vivono comunità isolate. Nel Sinodo dedicato a questo continente, infatti, anche il cardinal Thomas Stafford Williams, presidente delegato dell'Assemblea Speciale, nella sua relazione “La Chiesa in Oceania sulle orme di Gesù Cristo, Via, Verità e Vita”, lo giudicò tale, elogiando “il desiderio” dei padri sinodali di “parlare con una voce sola” che si sarebbe espresso durante l'assise proprio superando “il tentativo di mettere a votazione proposte controverse, come ad esempio, l'ordinazione dei viri probati”.

Nel pontificato di Benedetto XVI, la Chiesa tornò a ribadire il suo 'no' a quest'opzione e lo fece nel Sinodo dei Vescovi del 2005 dedicato all'Eucarestia. Pur riconoscendo la “grave mancanza di clero in alcune parti del mondo”, i padri sinodali bocciarono senza tentennamenti l'opzione caldeggiata, invece, da diversi vescovi durante l'attuale Sinodo sull'Amazzonia. Nella propositio 11 del documento finale dell'Assemblea di 14 anni fa venne ribadita la posizione fino ad allora sempre sostenuta, rilevando che, nel corso dei lavori, “certuni hanno fatto riferimento ai viri probati, ma quest'ipotesi è stata valutata come una strada da non percorrere”.

La Chiesa, dunque, finora ha sempre scartato questa possibilità, non ritenendola percorribile per risolvere un problema cronico che, in alcuni luoghi come l'Amazzonia, si trascina da secoli, quello della carenza di sacerdoti. Anche perché, come fecero rilevare diversi rappresentanti delle Chiese cattoliche orientali – in cui esistono già sacerdoti sposati - durante il Sinodo del 2005, il matrimonio non comporterebbe di per sé la soluzione del problema, ma potrebbe far sì che se ne presentino dei nuovi, come quelli legati al dover conciliare la vita familiare con i compiti del ministero.