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ELEZIONI EUROPEE

Tre lezioni che i vescovi dovrebbero imparare

Studiare e applicare correttamente la Dottrina sociale della Chiesa; non ridurre il male a un capro espiatorio; insegnare chiaramente dei contenuti e gerarchizzarli. Ecco tre cose che i vescovi dovrebbero imparare per evitare le figuracce, l'ambiguità e di giocarsi la credibilità come è successo in queste elezioni Europee.

Editoriali 29_05_2019
Il cardinale Bassetti

Ieri, dopo i risultati delle Europee molte persone segnalavano sui social che anche la Chiesa italiana, e i vescovi in particolare, avevano perso le elezioni. Spesso lo facevano in modo risentito, con accenti di rimprovero, di rivincita ed anche, purtroppo, di esasperata irriverenza. Se però, dopo le elezioni, tante persone hanno pensato che anche i vescovi italiani erano tra i perdenti, vuol dire che prima delle elezioni era stata evidente una loro scesa in campo in senso politico. La Chiesa italiana, sia nei suoi vertici che nei suoi ranghi, dovrebbe fare una riflessione sulle modalità dei suoi interventi in occasione di queste elezioni europee e sulle conseguenze che questo può avere per la credibilità stessa della Chiesa, in modo da aggiustare il tiro in futuro.

Ad onor del vero, non tutti gli interventi di prelati erano fatti con i paraocchi. Per esempio mons. Crociata, vicepresidente della COMECE (Conferenze episcopali dell'Unione Europea), aveva detto che i vescovi devono sempre intervenire in nome dei motivi ultimi, evitando di mescolare la propria voce a quella dei politici. Anche il vescovo di Nanterre, mons. Rougé, aveva invitato a non demonizzare l’euroscetticismo ma a capirlo in quanto espressione di un malessere reale.

Tuttavia, la coralità degli interventi, a cominciare da quelli del presidente della CEI cardinale Bassetti, è stata a senso unico. É stata fatta passare l’idea che pensare al bene della propria nazione sia egoismo nazionalista e che dire “prima gli italiani” sia contrario al bene comune, il quale richiederebbe invece di essere europeista e globalista. Ma questo è contrario alla Dottrina sociale della Chiesa e non si trova in nessun insegnamento del magistero sociale, e men che meno in san Tommaso d’Aquino o in sant’Agostino. Dove avranno pescato i vescovi questa strana idea? Da questa stranezza è venuta la diffusa impressione che si trattasse di una strategia politica. Un primo insegnamento che i vescovi dovrebbero trarre da queste elezioni, allora, dovrebbe essere di conoscere la Dottrina sociale della Chiesa e di insegnarla correttamente.

Come il toro si getta sconsideratamente a testa in giù verso ogni cosa rossa che si muova, così hanno fatto gli uomini di Chiesa davanti a Salvini. Perché lanciarsi contro di lui a testa in giù per ogni cosa fatta o detta? Perché demonizzare anziché insegnare? Sull’esempio dei vescovi, questo accanimento è stato fatto proprio dai ranghi della Chiesa, a partire dai media cattolici fino all’ultimo dei consigli pastorali e addirittura alle preghiere dei fedeli durante la messa. Per esempio, nel suo editoriale di domenica 26 maggio, ormai a tempo scaduto, il direttore de “La Voce dei Berici” di Vicenza, denunciava Salvini che avrebbe parlato del Cuore Immacolato di Maria pensando a “una parte di mondo cattolico ultraconservatore … xenofobo, anti islamico, aggressivo, impastato di un’identità declinata in chiave nazionalistica”. Davanti a queste etichette - queste sì veramente aggressive - un poveretto che desidera semplicemente che le migrazioni vengano governate perché nel suo quartiere non ce la fa più, e che ama la propria nazione più che Bruxelles, si stizzisce e vota deciso per Salvini. Una seconda lezione da imparare da parte dei vescovi è quindi di non individuare il capro espiatorio, protagonista di ogni male, perché la questione del bene e del male è più complessa e non la si risolve facendo perdere Salvini alle Europee. Se i vescovi si concentrassero di più sul male del peccato non cadrebbero in questi banali errori da politicanti inesperti.

Il cardinale Bagnasco, in una intervista alla vigilia delle elezioni, ha detto che i vescovi votano per l’Europa unita e che l’Italia deve portare in Europa la solidarietà. A voto avvenuto, il segretario della COMECE, padre Poquillon, si è dichiarato soddisfatto della così alta partecipazione al voto, segno di responsabilità. Ora, sia l’unità, sia la solidarietà, sia la partecipazione al voto sono elementi vuoti di contenuto. Unità per cosa? Solidarietà in che senso? Partecipazione a che scopo? Sono parole che non dicono niente.

Durante la campagna elettorale, da un lato gli uomini di Chiesa hanno demonizzato senza insegnare né distinguere, e dall’altro hanno detto parole vuote e generiche. Un altro insegnamento per i vescovi che deriva da questa sconfitta elettorale è allora anche quello di insegnare chiaramente dei contenuti ed anche di gerarchizzarli. Sviluppare la democrazia in Europa è meno importante che difendere la vita e la famiglia. Ma a parte qualche vescovo, che la Nuova Bussola ha già nominato, così non è avvenuto.

Si parla nella Chiesa di oggi della necessità di cogliere i “segni dei tempi”, che però in questa occasione non è stato fatto. I vescovi italiani non hanno colto l’odore delle loro pecore, si sono appiattiti sul politicamente corretto e hanno parlato come Repubblica o come il presidente della Repubblica Mattarella. É questo l’aspetto che maggiormente colpisce: che i vescovi non parlino da vescovi. E se non parlano da vescovi perché mai i fedeli dovrebbero ascoltarli? Nell’urna, ma non solo.