Una Comunione clandestina a Barcellona

Stimato direttore,

come sta? Sono Bruno S., un suo appasionato lettore che la venne a trovare a Corsico una domenica pomeriggio a Gennaio.

Volevo farla partecipe di alcune riflessioni riguardo al momento storico che stiamo vivendo, in cui si disvelano inequivocabilmente i segni dei Tempi Ultimi.

Qui in Spagna siamo confinati in casa ormai da due settimane. Il decreto del governo Sánchez ha stabilito che, dovuto alla situazione di possibile contagio da Coronavirus, la popolazione deve rimanere confinata a casa.  Anche se il decreto afferma che si può partecipare a celebrazioni religiose prendendo le dovute precauzioni, tuttavia nella sua ambiguità non cita il caso tra le eccesioni al confino. Putroppo la chiesa cattolica spagnola si è affrettata a proibire tutte le cerimonia e culti pubblici. Vigili e polizia pattugliano le strade e multano a tutti coloro che non rispettano il confino. Considerando che qui stiamo ripercorrendo i passi dell’Italia con una settiamana di ritardo, sembra di star vivendo un incubo in deja-vú e “slow motion”.

Il mio parroco si è opposto alle rimostranze dei fedeli che volevano continuare ad andare a messa e addirittura “denunciare” il vescovo con un secco rifiuto. So che sta vivendo un dilemma lacerante, per un uomo innamorato della vita, di Cristo, della Santa Eucarestia e dei suoi fedeli, forse è stata la scelta piú difficile dela sua vita.

Io non la presi bene, ma mi sono rassegnato a seguira la messa “online” e di fare la comunione spirituale. Dopo una settimana senza vederci lo risento per telefono. Gli chiedo se per caso non conosce a qualche sacerdote “infiltrato” a Barcellona che viva vicino casa per confessarmi e darmi la comunione. La mattina dopo mi chiama e mi dice di scendere. Lo vedo da lontano mentre mi aspetta ad un incrocio, con la mascherina che lascia intravedere solo gli occhi sfavillanti ed i guanti alle mani. Lo riconosco dalla sua voce potente e acuta e la sua camminata frettolosa e claudicante. Pur essendo abbastanza giovane ha problemi di diabete ed una certa difficoltà a respirare. Ogni mattina si alza all’alba per andare a portare la comunione o l’estrema unzione ai bisognosi in un paesino fuori Barcellona o per celebrare messe private. Sfidando l’autorità, in un clima  di semi-clandestinità.

“Caro don, se vuole possiamo andare in garage per la confessione”, gli chiedo con voce sommessa, quasi bisbigliando. “Che? Siediti qui!” mi ordina perentorio, indicando una panchina sul marciapiede lí a due passi. Il silenzio della grande città si fa ancora piú opprimente. Mi guardo intorno e incrocio gli sguardi di pochi, sperduti passanti con le borse della spesa in mano, incuriositi da quell’uomo vestito di nero, la cui voce rimbomba nelle strade vuote. Incosciamente sto controllando se intorno non si scorga una volante della polizia in arrivo.

Mi siedo e mi confesso. Quando arriva il momento della Comunione, mi inginocchio, prego con le parole del centurione e ricevo la Santissima Eucarestia. Poi mi benedice e mi chiede di versargli dell’alcool sulle mani e sulla testa. Mi saluta dicendo “Eres un buen chico”.

Corro verso il portale di casa con le lacrime agli occhi. Cerco d’immaginare la fatica che starà facendo per respirare e per potersi muovere. E all’improvviso mi si para davanti l’immagine della Grazia che ho appena ricevuto. Nel vuoto di una città qualunque alla fine dei tempi, che continua ad esistere ormai solo per assistere distrattamente alla sua rovina, in un mondo che sta scendendo nel baratro piú oscuro, piango girando le chiavi nella serratura. Perchè mi si è rivelata una verità profonda e sconvolgente. Io che ho sempre vissuto la mia fede in una città atea postmoderna come un clandestino, nascondendola ai miei colleghi di lavoro per timore di essere deriso ed “escluso dal giro”, che non ho mai alzato la voce davanti alle burle a Cristo e a Dio, ma sono stato accondiscendente ed arrendevole, debole, “tiepido”, con mille complessi d’inferiorità, avevo ricevuto la comunione per strada finalmente con il coraggio che Cristo ci esige. Perchè la mia fede cattolica, in una città che fino a pochi decenni fa era cattolicissima, ormai è proibita. E nella sua quiete straniante che preannuncia la morte prossima ventura, il coraggio d’un sacerdote testardo splende oltre la paura del contagio, della polizia, del giudizio degli uomini, del martirio.

Caro direttore, molte volte nel corso della mia vita mi sono interrogato sulla frase “tutto è Grazia” o a quella, secondo me corollario della prima, di San Francisco di Sales: “Non chiedere niente, accetta tutto“. Ed io non sono mai riuscito ad accettare questo tutto che è la vita, con le sue guerre e rovine. La mia mente ed il mio cuore si opponevano, non ne volevano sapere. Solo oggi, dopo che l’evidenza della fine della Chiesa Cattolica si fa cosí palese, e con essa la fine del mondo, Cristo mi dona la Grazia di essere finalmente vero martire, testimone di Lui, di non avere piú timore di annunciarLo, di percorrere la via di carità verso gli altri  mostrando come vive un cristiano, peccatore sí, ma senza complessi.

Avevo bisogno che arrivasse una crisi economica di dimensioni epocali per capire che quel lavoro ideale a cui ho aspirato continuamente nella mia vita, pensando che mi fosse stato negato ingiustamente nonostanze le mie capacità, in realtà era soltanto la chimera di un cuore orgoglioso, bisognoso di riconoscimento da parte del mondo, di fama, di successo. E proprio adesso che sono appena rimasto a quarant’anni con uno stipendio da fame, con prospettive lavorative molto incerte, scopro che Cristo mi ha condotto fino a qui per rinnegare questo orgoglio e scoprire che solo affidandomi a Lui, completamente a Lui, la mia vita smette di guardarsi l’ombelico, assume un significato, una direzione e si riscopre e ristora nella sua vera vocazione, rinunciare alla mia volontà, consegnarmi a Cristo.

Ha ragione lei, direttore, tutto è Grazia, anche perdere il lavoro, l’essere esclusi dai sacramenti, guardare in faccia la morte. Ed è soprattutto in questi Tempi Ultimi che si svela il paradosso della frase paolina “Laddove abbonda il peccato, sovrabbonda la Grazia“. È il mistero dei Tempi Ultimi su cui tutte le grandi tradizioni religiose concordano:

“L’età Kali, abisso di vizi, possiede un vantaggio unico ma prezioso: è sufficiente celebrare le lodi di Khrisna (il Signore Supremo) affinchè liberi da ogni legame, ci si possa riunire all’essere supremo” (Bhagavata Purana).

In un hadith, il profeta Muhammad afferma: “All’inizio dell’Islam colui che omette un decimo della legge è dannato; ma negli ultimi tempi, colui che ne compirà un decimo sarà salvato”.

Una tradizione ebraica raccolta nella Thorà racconta che Mosè, dopo aver avuto in visione l’oscurità dei Tempi ultimi, si sia sentito “inferiore” a coloro i quali, pur in mezzo alle tribolazione, conserveranno la fede nella Thorà.

Il grande Mistero teologico celato nella parabola dei Lavoratori della Vigna (o dei Lavoratori dell’Undicesima ora) è la rivelazione che per gli uomini dei  Tempi Ultimi basterà una sola invocazione proferita con il cuore per accedere alla Divina Misericordia. Nelle epoche antiche, gli uomini delle civiltà spirituali avevano un accesso limitato alla Grazia divina e a prezzo di grandi sacrifici, fisici, spirituali ed intellettuali. Nei Tempi Ultimi la semplice, umile devozione di Dio sarà sufficiente per raggiungere la salvezza. Nei tempi oscuri della grande apostasia sovrabbonderà la Grazia: immersi in un abisso di tentazioni, “quelli che avranno fatto le loro prove in quell’epoca saranno migliori di noi e dei nostri padri” (Abate Ischirione, padre del deserto).

Null’altro sono i lavoratori dell’Undicesima Ora se non gli uomini ultimi, gli uomini del crepuscolo, quelli che vengono “prima della fine” e che “non compiranno grandi opere”. Santi nascosti, a cui nessun altare terreno sarà mai dedicato, i santi dell’Undicesima ora sono, ciononostante, pari a tutti gli altri.  Coloro che conserveranno la Fede prima della Fine saranno sí “poveri in opere”, lavoreranno nella vigna del Signore quasi a notte inoltrata, in silenzio e senza lodi, tuttavia saranno “ricchi nello Spirito” perchè contro di loro “si è levata la grande tribolazione”. Per questo, molti fra “gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi”. (M.Polla – G. Marletta. ApocalissiLa fine dei tempi nelle religioni).

Forse per questo nei tempi in cui viviamo non ci sono piú santi viventi che sono riconosciuti come tali pubblicamente, che compiono miracoli davanti alle moltitudini, che fanno grandi opere visibili.Tutto ciò concorda con le rivelazioni della serva di Dio Luisa Piccarreta, nelle quali Dio spiega perchè i santi del nostro tempo vivono una vita umile, occulta e silenziosa, la cui opera è quella di vivere in stato di espiazione per i peccati degli uomini e di vivere nel Suo Volere, per ridarGli la gloria completa di tutta la creazione.

Dio, in vista della fine dei tempi, sta preparando “il Regno della Sua Volontà alle umane generazioni, cioè il trionfo della divina Volontà sull’universo orbe”. I santi occulti di oggi (quanti ce ne saranno, direttore?), vivendo la santità del vivere nel Volere di Dio

abbracciano tutti i secoli, tutte le creature, ed elevandosi su tutti metteranno in vigore i diritti della creazione che spettano a Me e che riguardano le creature, portando tutte le cose alla prima origine della Creazione e allo scopo per cui la creazione uscí. Tutto è ordinato in Me; se la Creazione la misi fuori, deve ritornarmi ordinata, come uscì dalle mie mani. (Luisa Piccarreta, volume XIV, 6 ottobre 1922).

A questi “piccoli santi nascosti” Dio sta manifestando “il modo di vivere nel Mio Volere,gli effetti di Esso, le meraviglie e i beni che riceve la creatura operante nel Volere Supremo…i prodigi del Mio Volere operante nella creatura e la creatura operante nel Mio”.

Caro direttore, quelle che stiamo vivendo sono le doglie del parto per “la ricapitolazione di tutte le cose in Cristo” e l’avvento “dei cieli nuovi e della terra nuova” a cui ognuno di noi, povero e miserabile peccatore, è chiamato a partecipare rimanendo fedele a Cristo nella grande tribolazione, anche solo nella piú semplice preghiera a Lui rivolta,  nel piú banale atto di pazienza e carità, seguendo l’esempio di Santa Teresa del Bambin Gesú.

Domine, ad adiuvandum me festina.

Un abbraccio in Cristo Risorto,

Bruno