Col vaccino sul cucuzzolo della montagna. Così è cambiata l’idea di Salvezza

di don Marco Begato

È di inizio maggio la notizia riguardante una squadra di volontari peruviani che ha affrontato un faticoso cammino tra le Ande, pur di raggiungere e vaccinare un anziano ultracentenario.

Dice la notizia: “Si chiama Marcelino Abad, è un peruviano di 121 anni ed è stato vaccinato nella sua abitazione in un piccolo borgo sulle Ande, dove è conosciuto con il soprannome di Mashico. Lo ha riferito il ministero della Salute del paese. Nato nel 1900, Abad vive nella regione centrale di Hua’nuco, nel municipio di Chaglla e ha ricevuto la prima dose di AstraZeneca. Per raggiungere l’abitazione dell’uomo, la squadra di vaccinatori ha dovuto camminare per tre ore lungo strade rurali montuose”.

La vicenda nella sua originalità è francamente assurda e, superata la curiosità iniziale, spinge a porsi l’unica domanda che conta: perché compiere una simile impresa? Si è trattato di un mero gesto di propaganda mediatica? È forse indice di un estremo e disperato tentativo di allontanare l’appuntamento con la morte? Oppure – il che è peggio – la Sanità peruviana considera tale missione assennata, utile e significativa in se stessa? Fatico a rispondere, ma l’episodio ha subito risvegliato nella mia memoria l’esempio precedente di Pierre Vigne.

Il Vigne (Privas, 20 agosto 1670 – Rencurel, 8 luglio 1740) fu un sacerdote francese, vissuto all’indomani delle sanguinose guerre di religione tra cattolici e calvinisti, che si convertì di fronte alla presenza reale dell’Eucaristia e scelse di dedicare tutta la sua vita ai poveri: “Per più di trenta anni, egli solca a piedi e a cavallo, le strade del Vivarais e del Dauphiné e anche oltre. Per far conoscere, amare e servire Gesù Cristo, affronta la fatica dei viaggi, i rigori del clima. Predica, visita i malati, catechizza i fanciulli, amministra i sacramenti fino a trasportare sul dorso il ‘suo’ confessionale per essere sempre pronto ad offrire la misericordia di Dio”.

Il dettaglio del confessionale è l’elemento che mi ha portato a pensare al collegamento col caso del signor Mashico peruviano. Nell’una e nell’altra situazione abbiamo dei volontari che affrontano le ostilità della natura per portare fin nei posti più sperduti il proprio dono di salvezza. Nel caso di don Marcelino, egli ha ricevuto il vaccino AstraZeneca; nel caso di don Pierre, egli portava a spalle il confessionale per poter confessare i contadini nelle zone più disperse di Francia e così donare loro la Misericordia del Dio Vivente.

Non credo servano molti commenti aggiuntivi. Ogni epoca ha i suoi eroi, i suoi mezzi di salvezza, le sue imprese. La Francia ha avuto missionari disposti a ogni sacrificio pur di rinnovare la testimonianza del Cristo Salvatore e di portarne i frutti sacramentali e liberanti in ogni angolo del Paese. Il mondo odierno ha operatori sanitari zelanti pronti a salire fino in cima alle Ande pur di distribuire il vaccino salvifico e risolutivo. Ne prendo atto, senza nemmeno troppo stupirmi.

Del resto sotto gli influssi delle teologie secolariste e delle pieghe moderniste abbiamo predicato per anni in questa direzione, insegnando che la stessa Rivelazione era in fondo mitica (si pensi a cosa resta della fede nei primi capitoli di Genesi) e che i sacramenti sono solo dei simboli (il che ha permesso per esempio di proibire la Comunione sulla lingua, pretendendo che ciò non tocchi la retta fede dei credenti). Perché dunque stupirsi se oggi la gente guarda alla proposta ecclesiale come a un grande mito, più o meno accattivante, e non più come a una rigorosa verità? Perché stupirci se la gente si lascia persuadere dalla proposta di scambiare vecchi miti religiosi con nuovi miti sanitari? Cosa rende alla fin fine un mito più autorevole di un altro? Probabilmente l’ardore di chi lo narra e lo incarna, ma quanto ad ardore il clero che distribuisce le Sacre Specie con le pinzette non può certo competere coi sanitari che scalano le Ande!

Chissà che tutto questo potrà valere almeno a purificarci e a ritornare con umiltà e fermezza alla Verità della fede cattolica e all’eroica devozione verso la presenza reale nell’Eucaristia. Del resto, lo stesso beato sacerdote, Pierre Vigne, iniziò il cammino di conversione proprio da tale semplice consapevolezza, indotto forzatamente – narra la leggenda – a cadere in ginocchio di fronte all’Eucaristia in cui non credeva; e a partire da ciò trovò la forza di testimoniare la fede senza stancarsi in un micromondo a lui del tutto ostile, quale era la regione calvinista del Vivarais. Che qualcuno ci aiuti a cadere in ginocchio, sia pur forzatamente.

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