Proselitismo? Evangelizzazione? Il vero problema è se si crede o no

Cari amici di Duc in altum, ricevo da Ettore Gotti Tedeschi e volentieri vi propongo il seguente contributo.

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Dopo l’articolo di Aldo Maria Valli pubblicato nel suo blog il 26 settembre, hanno incominciato a girare  vignette ironiche, del tipo (mi si perdonerà se lo riporto, con estremo rispetto): “Chissà come sarebbe contento il Santo Padre se qualche imam gli confidasse di aver convertito padre Spadaro all’Islam. O un monaco buddista gli dicesse di aver convertito padre Sosa al buddismo”. Nelle vignette, in entrambi i casi,  il Santo Padre risponde: “Perché  questo proselitismo? Siete certi che ce ne fosse  proprio bisogno?”.

Ora affrontiamo con serietà il tema proselitismo-evangelizzazione.

Proselitismo, nell’accezione negativa in voga oggi, significa  fare discepoli mediante indottrinamento forzato e metodi che non rispettano la libertà delle persone (ma ci sono esempi di tal genere negli ultimi tempi?). La prima domanda che mi porrei è dunque se la cosiddetta libertà sia vera libertà e se, per salvare  la vita  a una persona, si possa o no mancare di rispetto umano.

Le seconda domanda è se oggi la testimonianza silenziosa, senza insegnamento, possa bastare ad annunciare il Vangelo di Gesù, che è diritto di tutti conoscere.

Il problema, secondo me, è che per fare evangelizzazione con gli argomenti e la testimonianza è indispensabile anzitutto credere. Se non si crede, appare evidente che l’espressione proselitismo appare spregevole. Se non si crede o non si è convinti della propria fede, è naturale pensare che voler convincere gli altri sia violazione della loro libertà. Se non si crede, ci si può  convincere che si possa essere salvi  anche senza conoscere Cristo.

Chi crede ha un movente per evangelizzare, che è proporre e testimoniare  la salvezza attraverso Gesù (il Salvatore), fino alla persecuzione, al martiro. Come infatti è possibile “dare le ragioni della propria speranza” (1Pietro3,15) senza annunciare inequivocabilmente il Vangelo? Perché quindi confonderlo con un proselitismo coercitivo e scorretto? Perché un cattolico dovrebbe farlo? Per guadagnare un bonus, una fee di ingresso di un nuovo adepto? E chi la paga?

Quello che temo è che oggi la gnostica relativizzazione della fede cattolica, troppo orientata all’irenismo e al sincretismo ecumenico, sia l’elemento che spiega la dissuasione alla evangelizzazione stessa, quale attentato  alla libertà altrui.

Chi ha provato a fare evangelizzazione sa che annunciare il Vangelo a chi non lo conosce o lo disconosce  suscita polemica con l’interlocutore, grazie alle obiezioni  naturali. Ma pensare di evangelizzare solo con la testimonianza, senza argomentazioni razionali e capacità apologetica, è protestantesimo. Il protestantesimo si limita a diffondere la Bibbia e a contare sullo Spirito Santo, senza la forza della ragione e l’entusiasmo di chi ha fede e la dimostra, come hanno insegnato a fare i santi.

Ma evangelizzare è anche il vero compito dei laici. I laici, che non celebrano la messa e non amministrano i sacramenti, non possono limitarsi a fare i sacrestani. E neppure operano quali evangelizzatori su delega del parroco o del vescovo o del Papa. Operano per delega diretta di Cristo, mediante il Battesimo e la Confermazione. In un momento come questo, di diffusione della gnosi, ci vuole qualcosa di più della semplice testimonianza. Si deve imparare ad  affermare  la Verità storica della Risurrezione. Questa  missione poi la si chiami come si vuole.

Ettore Gotti Tedeschi

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