Cercando di capire il gesuita modernista…

Riprendiamo i nostri editoriali cercando ancora una volta di capire la mens, il pensiero, dell’uomo Jorge Mario Bergoglio, gesuita progressista, o forse sarebbe meglio dire modernista, poiché tale è rimasto diventando papa Francesco.

Il cardinale Giacomo Biffi (1928-2015) durante i tre anni di preparazione al Giubileo del 2000, tenne alcune conferenze su Nostro Signore Gesù Cristo. Al termine di quella dedicata alla Resurrezione, si avvicinò al Cardinale una donna che, dopo essersi presentata come catechista, gli domandò se fosse vero che il Signore sia veramente vivo. Il card. Biffi, al sentire una tale domanda da una catechista rimase allibito, ma confermò subito che Cristo Gesù è veramente risorto, dunque è vivo. “Ma questo cambia tutto!”, esclamò la donna.

Questo episodio raccontato dal card. Biffi ci rammenta che il fatto della nostra fede — che cambia davvero tutto —  è la Resurrezione di Cristo. «Se Cristo non fosse risorto vana sarebbe la nostra fede», scriveva San Paolo (1Cor 15, 15). Dunque la nostra fede non è vana, perché Cristo è veramente risorto e, alla destra del Padre, «con i segni della passione vive immortale» (cfr. Prefazio di Pasqua III).

A quale Gesù Cristo crediamo?

Gesù di Nazaret non è un saggio che ha lasciato un messaggio di amore, pace e fratellanza per l’umanità; non è neppure un rivoluzionario che ha cercato di liberare il popolo dall’oppressione religiosa e politica del tempo.

Gesù Cristo è la Seconda Persona della Santissima Trinità, il Figlio di Dio che si fece uomo per salvarci, cioè per redimerci dal peccato e riacquistarci il paradiso (cfr. Catechismo della Dottrina Cristiana, detto di San Pio X, nn. 23 e 25).

Eppure per molti, troppi battezzati — anche fra i più alti chierici —, il Signore non è che una mera figura storica, seppur profetica, seppur da voler bene (quasi che il Signore avesse bisogno di noi), vissuto 2000 anni fa di cui non si saprebbe, però, neppure cosa abbia detto e lasciato ai suoi discepoli, visto che all’epoca non vi erano i registratori.

Ateismo mascherato

Come si può definirsi cristiani e affermare tali aberrazioni, senza rendersi conto di precipitare nell’eterodossia o, peggio, nell’apostasia? Tutto ciò è frutto del modernismo, quella corrente filosofica che fu smascherata da San Pio X (1903-1914) con l’enciclica Pascendi dell’8 settembre 1907. Il problema del modernismo non era un’eresia in sé, cioè la negazione di una verità di fede, ma il mutamento stesso del concetto di verità (dogma e dottrina), facendolo perciò diventare la cloaca su cui confluiscono tutte le eresie.

La Fede cattolica — secondo l’insegnamento di San Tommaso d’Aquino, Dottore della Chiesa, confermato dal Concilio di Trento e dal Vaticano I, nonché da tutti i Pontefici — consiste nell’assenso dell’intelletto alla Verità rivelata, mentre per il modernista si tratta di cieco sentimento religioso che viene dal “moto del cuore”.

Per il sano cattolico il centro è il Cristo vivo e reale, presente realmente nell’Eucaristia, per il modernista ciò che conta è il Gesù ideale e immaginario, un Gesù spirituale che possa alimentare in qualche modo il “moto del cuore”, che mi faccia sentire ciò che voglio sentirmi dire, che non interferisca con i “NO” della legge e della morale. Non dimentichiamo che la prospettiva luterana offrì certamente ben secoli prima la via più pratica, forse anche più facile… ma anche la più pericolosa perchè in sostanza Lutero dice: “che Gesù sia o non sia il Figlio di Dio non è importante; importa solo che Egli sia il Salvatore”… (vedi qui) ecco, una cosa analoga sta accadendo oggi nelle “nuove pastorali” interne alla Chiesa: la conversione dal peccato, abbandonare e condannare il peccato perché “offende Dio”, non è importante importa solo che tu faccia il tuo “osanna” al Salvatore…

Dunque, tutto è in evoluzione, in cambiamento, anche i dogmi e le dottrine, perché Dio non è trascendente, cioè al di fuori di me, — l’Onnipotente al quale si deve obbedienza –, ma è immanente, cioè dentro di me; quindi, ciò che conta è ciò che “io penso di Dio”, come lo vedo “io” decidendo, di volta in volta, come adorarlo, come relazionarmi, come procedere. Tutto questo è fondamentale per capire fino in fondo questo pontificato, o almeno provarci.

Al di là delle gravi, gravissime, ambiguità — non ancora eresie, ci spiace per alcuni — che papa Francesco dice spesso, è necessario comprendere che la sua concezione di cristianesimo non è cattolica, ma gesuitica di stampo modernista.

Francesco è un gesuita non solo nel metodo — cioè quello di non scontentare nessuno, cercando di piacere a tutti, per essere più furbo di chiunque — ma anche nella mentalità progressista del suo mentore Pedro Arrupe (1907-1991).

Dal cristocentrismo allo “spiritocentrismo”

C’è un grande assente nel pontificato di Francesco: Gesù Cristo. È vero che il Papa parla molto di Gesù, soprattutto nelle Udienze generali del Mercoledì o in occasioni speciali, ma ne più e ne meno di come ne parlano spesso i protestanti.

Il pontificato di Francesco non è cristocentrico, ma spirito-centrico.

Francesco parla spesso dello Spirito Santo, ha ribadito che è lui il vero protagonista del sinodo sulla sinodalità, ma in realtà si tratta di uno Spirito “non Persona” ma meramente spirituale. Leggendo con serenità i testi ufficiali emerge, spesso, uno “Spirito Santo” di stile carismatico… pentecostale!

L’erede del modernismo è il progressismo, che impone il primato della prassi sulla teoria, ovvero della “pastorale” sulla Dottrina. Le due correnti teologiche più estreme del progressismo sono la teologia della liberazione e quella del popolo.

Per la teologia della liberazione Gesù di Nazaret è un profeta che ha fatto capire agli uomini che v’è una forza divina, spirituale, nei cuori di tutti — arrivando persino a sacrificare la sua vita in croce per protestare contro l’ingiustizia — ma non è riuscito a instaurare sulla terra il Regno dei cieli di cui parlava, ovvero un paradiso terrestre in cui nessuno venga oppresso o si senta tale. Tocca perciò ai suoi seguaci lungo i secoli, guidati dallo “Spirito”, quella forza divina che agisce nella storia, instaurare il Regno della giustizia sociale.

Per la teologia del popolo, variante argentina, Gesù di Nazaret è il sacerdote dell’umanità, colui la cui missione consiste nel liberare gli uomini dall’ingiustizia sociale e religiosa, tanto da voler essere crocifisso per essere solidale con gli oppressi. Egli ha insegnato che lo Spirito divino è in ogni uomo che ama i poveri e si adopera per fare della terra una casa per tutti, per cui si manifesta nella storia rivelando al popolo in cammino ciò che deve fare per instaurare il Regno dei cieli in terra.

Dislocazione della Divina Monotriade, causa della schizofrenia dell’attuale pastorale

In entrambi i casi, comunque, lo Spirito Santo così inteso non procede più dal Figlio. Il grande filoso Romano Amerio (1907-1995) spiegò che il Filoque è fondamentale, perché è l’identità del Figlio a garantire quella della SS.ma Trinità.

Quando lo Spirito Santo (Agape) non procede dal Figlio (Logos) — dislocazione della Divina Monotriade — allora l’amore diventa azione senza verità, ovvero cieco sentimento religioso; un capriccio, insomma.

In tal modo si compie così il cosiddetto cambio di paradigma: Dio diventa solo una scusa per adorare l’uomo. Il modernismo è intrinsecamente antropocentrico, ovvero mette l’uomo al centro, lo pone al posto di Dio, con la scusa delle sue fragilità, delle sue debolezze.

Così la Chiesa diventa non più la Sposa di Cristo che corregge gli erranti e recupera le Anime da salvare, ma schiava del mondo – essendosi arresa al mondo – cerca di rimanere in vita assecondando i peccati degli uomini, sposandone le mode.

La “nuova Pentecoste” è una nuova Babele

E quando continuiamo a sentire parlare di “nuova Pentecoste” da ben 60 anni, ed oggi ripetutamente per il Sinodo sulla sinodalità (vedi qui), ricordiamo che tutti i Pontefici e i grandi Maestri hanno sempre parlato di “RINNOVO” e non di “nuova” tanto da far dire a Leone XIII che ha scritto sullo Spirito Santo in occasione del passaggio dall’800 al ‘900 l’Enciclica: Divinum Illud Munus, contro le derive dottrinali sulla Terza Persona della SSma Trinità, così ammoniva:

“Per ultimo basti sapere che se Cristo è il capo della chiesa, lo Spirito Santo ne è come l’anima: “Ciò che è l’anima nel nostro corpo, lo Spirito Santo lo è nella chiesa, corpo di Cristo”.

E stando così le cose, non si può immaginare e attendere un’altra più larga e abbondante “effusione e manifestazione dello Spirito Santo”, giacché ora nella chiesa se ne ha la massima e durerà sino a quel giorno in cui la stessa chiesa dallo stadio della milizia verrà assunta al glorioso consorzio nella letizia dei trionfanti.

Ma non meno ammirabile, sebbene più difficile a intendersi, anche perché del tutto invisibile, è l’azione dello Spirito Santo nelle anime. Anche questa effusione è copiosissima, tanto che Cristo medesimo, che ne è il donatore, l’assomigliò a un fiume abbondantissimo, come è registrato in san Giovanni: “Dal seno di colui che crede in me, come dice la Scrittura, sgorgheranno le sorgenti d’acqua viva”; e poi lo stesso evangelista, commentando queste parole, soggiunge: “Ciò disse dello Spirito Santo, che avrebbero ricevuto i credenti in lui” (Gv 7,38-39).” (vedi qui)

Ovvero… dopo l’evento originale della Pentecoste, non ci sarà mai un’altra “nuova Pentecoste”, ciò che hanno beneficiato i Santi del passato, le riforme, ecc.. e ciò che possiamo sperimentare con una vera ri-evangelizzazione, proviene sempre da quella Pentecoste che non cesserà fino alla fine del mondo; quell’unico ed inimitabile Spirito Santo, Terza Persona della SS.ma Trinità che non può contraddirsi, né contraddire ciò che ha detto ed insegnato a tutta la Chiesa nei duemila anni appena trascorsi.

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