UN MESSAGGIO IN CODICE?

di Pier Luigi Guiducci -


Gli esiti di una nuova ricerca sul monogramma di Cristo ritrovato nell’area dell’ambasciata statunitense a Roma

 

 

Quando gli apostoli Pietro e Paolo riuscirono, seguendo itinerari diversi, a raggiungere la capitale dell’impero romano, quest’ultima già accoglieva un nucleo non debole di cristiani. La stessa Lettera di san Paolo[1] e quella del vescovo di Antiochia, Ignazio[2], attestano una presenza di fedeli capace di costituire un interlocutore serio, non generico. Sul piano organizzativo i cristiani si riunivano in piccoli gruppi in quelle case che, per dimensioni, potevano accogliere un certo numero di persone per la celebrazione liturgica. In questa fase degli inizi si verificò un primo dramma con le decisioni neroniane (64-67 d.C.) alle quali seguirono, in un modo discontinuo, ulteriori momenti dolorosi. Tra i seguaci di Cristo, pur nelle ore di prova, non venne meno un collegamento. Ciò si realizzò soprattutto in ambito privato. In tale contesto, nelle ore più drammatiche, furono scelti dei modi per comunicare messaggi senza correre il rischio di essere arrestati e condannati. Al riguardo, vennero utilizzati soprattutto dei simboli.

La Roma dei primi secoli dopo Cristo

Roma in età imperiale

Roma in età imperiale

Nel momento in cui i primi cristiani raggiunsero Roma, l’Urbe si presentava con un volto diverso rispetto al periodo successivo all’incendio del 64 d.C. Molti monumenti (divenuti in seguito famosi) non erano stati ancora realizzati. L’Anfiteatro Flavio (il Colosseo) verrà costruito nel tardo I secolo (anni di Vespasiano). Il Pantheon (nella forma attuale) fu edificato nel II secolo (durante l’impero di Adriano). Esistevano comunque varie strutture significative. Oltre ai templi, alle basiliche civili, ai portici e all’antico foro con l’aula del Senato, la capitale era caratterizzata dalla presenza di teatri e di circhi (metà I secolo). La passione della popolazione per i diversi spettacoli traeva origine dall’èra della Repubblica, e il più grande dei circhi, denominato appunto circus maximus, funzionava già nel IV secolo a.C. Tra la fine della Repubblica (31 a.C.) e il regno del primo imperatore, Ottaviano Augusto (27 a.C.-14 d.C.), vennero realizzate nuove strutture di intrattenimento pubblico nella vasta pianura a nord dell’area urbana antica: il cosiddetto Campus Martius o Campo di Marte.[3]

Roma in età imperiale

Roma in età imperiale

Questi teatri, unitamente ad altri nuovi monumenti nel Campo di Marte (l’Altare della Pace, l’Orologio solare e il Mausoleo di Augusto) costituivano in pratica un nuovo quartiere a impronta monumentale, con un accentuato impiego di marmi e di statue. I teatri romani si presentavano di vaste dimensioni. Il più antico, quello di Pompeo[4], inaugurato nel 55 a.C., aveva una cavea di circa 150 metri di diametro e una scena di 90. Il Teatro di Balbo[5], inaugurato nel 13 a.C., aveva un diametro di 90 metri; il Teatro di Marcello, a nord del Colle Capitolino, inaugurato nel 13 o forse nell’11 a.C., era alto 33 metri, con un diametro della cavea di 130 metri, e una capienza di quindicimila spettatori.
Più grandi ancora erano le strutture adibite alle corse dei cavalli, alle gare con bighe. Il Circus Flaminius, demolito nel periodo di Augusto, misurava 400 metri per 260. Il Circo Massimo misurava in lunghezza 600 metri, ed era largo 200. In confronto, il Circo di Caligola e Nerone, posto sull’altra riva del Tevere[6], rimaneva un edificio modesto (323 metri per 74). Queste strutture di notevoli dimensioni, che attestavano il primato (e il potere) imperiale[7], e la sua capacità di far convergere un elevato numero di persone verso un unico punto centrale (l’Urbe), dovevano essere note alla primitiva Chiesa di Roma.

La Chiesa di Roma. I messaggi in codice

Pesce e pane eucaristico. Particolare di pittura su parete. Complesso di San Callisto.  Cripta di Lucina. Roma, inizio III secolo

Pesce e pane eucaristico. Pittura su parete. Complesso di San Callisto.
Cripta di Lucina. Roma, inizio III secolo

Mentre la capitale dell’impero romano assumeva un aspetto maestoso per l’iniziativa di più imperatori, i primi gruppi di cristiani presenti a Roma, durante i periodi di persecuzione[8], furono spinti a ideare dei messaggi ‘in codice’ anche per non cadere vittima di possibili delatori. Tra i sistemi attuati si trova l’uso della parola: ‘pesce’. Le lettere che la formano in greco, quando scritte in maiuscolo (ΙΧΘΥΣ), costituiscono un acronimo con le iniziali dell’espressione ‘Iēsous Christos Theou Yios Sōtēr’, che significa ‘Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore’ (in greco antico Ἰησοῦς Χριστός, Θεοῦ ͑Υιός, Σωτήρ). In tal modo era possibile per un cristiano capire se in un dato ambiente erano presenti altri correligionari, o distinguere tra una tomba pagana e un loculo cristiano. Alcuni autori sono propensi a individuare nel simbolo del pesce un riferimento all’episodio evangelico della moltiplicazione dei pani e dei pesci (Mt 4,19. Lc 5, 1-10).[9] Probabilmente il pesce ricordava anche l’acqua del battesimo. Non è da dimenticare in questo caso una frase di Tertulliano: “noi, piccoli pesci, che prendiamo il nome dal nostro Ichthys, nasciamo (alla fede) nell’acqua e solo rimanendo in essa siamo salvati”.[10]
Oltre all’uso della parola ‘pesce’, i cristiani dei primi secoli individuarono altri modi per favorire una trasmissione di messaggi. Inserivano, ad esempio, il disegno della croce in un contesto più articolato, esempio l’àncora cruciforme.
Unitamente a ciò, i fedeli disegnavano anche altri simboli dai diversi significati: ‘il buon Pastore’ (Cristo guida con amore la Chiesa), l’orante (l’orientamento cristocentrico, l’affidamento a Gesù), l’albero (la vita che cresce e fruttifica in Cristo), la colomba (la pace raggiunta in Cristo), la palma (la vittoria, il martirio, il Paradiso), la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco, cioè Alfa e Omega (Cristo è il principio e la fine di tutto), l’àncora (la Chiesa è salda in Cristo; simbolo anche della speranza), la fenice (simbolo della risurrezione), l’agnello (Gesù immolato), il pavone (simbolo di risurrezione e di vita eterna), la barca (la Chiesa).[11]

Il Chrismon

Lastra con àncora, pesce e monogramma di Cristo (III secolo). Catacombe di San Sebastiano (Roma)

Lastra con àncora, pesce e monogramma di Cristo (III secolo). Catacombe di San Sebastiano (Roma)

Tra i diversi simboli fu ideato, intorno al III secolo d.C., anche un monogramma[12] particolare. Semplice ma significativo. Attraverso una combinazione di lettere dell’alfabeto greco che formano le iniziali del nome ‘Cristo’[13], venne disegnato un cristogramma. In pratica si incideva prima la lettera ‘X’ (‘Chi’). Poi, vi si sovrapponeva la lettera ‘P’ (Rho). In tal modo si sottolineava la centralità di Gesù Cristo, Figlio di Dio, senza attirare particolari attenzioni. Si trattava quindi di un atto di fede, di affidamento. Favoriva, inoltre, dei momenti di preghiera e di invocazione al Signore Gesù. Il Chrismon poteva essere inciso (o disegnato) in modo isolato, oppure era posto vicino ad altri simboli cristiani o a delle scritte.

L’uso del Chrismon

Le molte ricerche nelle catacombe e in altri luoghi anche non cristiani, effettuate dagli studiosi del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana[14] e da altre Istituzioni, hanno consentito nel tempo di individuare più Chrismon., di fotografarli e di studiarli. Per taluni archeologi essi conservano un significato meramente apotropaico (dal greco αποτρέπειν [apotrépein]: ‘allontanare’). Servono, cioè, a respingere le avversità, le forze maligne.[15] Finiscono in tal modo per diventare dei ‘portafortuna’. Tale interpretazione, legata probabilmente allo studio di amuleti in uso presso diverse popolazioni, ha utilità di una rimodulazione alla luce di più evidenze.

Atto di fede
Il Chrismon ha costantemente espresso nel tempo un atto di fede. È il suo primo significato. Non si incide infatti il nome di ‘Cristo’ se non si crede in Lui. Se non si pone fiducia, speranza, nel Signore Risorto. In tal senso, il Chrismon rimane segno di Vita, perché riconduce alla Persona dell’unico Salvatore. Ad esempio, nel portico della basilica di Santa Maria in Trastevere, si trova questa epigrafe cristiana: MAXIMINUS IN .
L’iscrizione è concisa, ma proprio per questo risulta importante. L’autore non fornisce i dati biografici del defunto. Vuole solo esprimere la sua ferma e semplice fede in Cristo, la cui Risurrezione è garanzia di vita eterna per il cristiano.

L’unità della Chiesa in Cristo
Il Chrismon costituisce anche un simbolo di unità ecclesiale, di fraternità. Ad esempio, nella catacomba di Sant’Ippolito (Roma) fu individuata un’immagine degli apostoli Pietro e Paolo. Tra i due testimoni del Signore Gesù è inserito un Chrismon. Il messaggio risulta chiaro: Pietro e Paolo hanno operato nella Chiesa uniti da una medesima fede in Gesù.[16]

Elemento di identificazione
In più casi il simbolo del Chrismon venne utilizzato per aiutare a localizzare sepolture cristiane. Diversi fedeli, infatti, furono inumati in luoghi ove si trovavano pure tombe di pagani. Era quindi utile, in ambienti scarsamente illuminati, conoscere la posizione di un loculo che conteneva la salma di un cristiano.

L’insegnamento catechetico
Il segno del Chrismon venne pure utilizzato per motivi catechetici. Ad esempio, nel porticato della basilica di San Marco Evangelista al Campidoglio (Roma) è conservato il graffito di una brocca per l’acqua posto accanto a un Chrismon (IV secolo). L’autore ha voluto collegarsi al Vangelo di Giovanni (episodio della samaritana; Gv 4, 1-26). Ne deriva un insegnamento: solo Cristo può donare l’acqua viva.
Un altro messaggio catechetico si trova quando al simbolo originale del Chrismon furono aggiunte ai lati “α” e “ω”: alfa ed omega (prima ed ultima lettera dell’alfabeto greco). Quest’ultime servivano a ricordare che la Persona di Cristo costituisce l’inizio e il termine di tutte le cose (Apocalisse, 22,13). Ogni aspetto della Creazione proviene da Lui e a Lui è orientato. Per il cristiano tale insegnamento era (ed è) chiaro: proveniamo da Dio e a Lui ritorniamo (vita eterna).

Affermazione politico-religiosa

Gli apostoli Pietro e Paolo. Catacombe di Sant’Ippolito (Roma). IV secolo. Parte di lapide  che ricorda  il ragazzo Asello

Gli apostoli Pietro e Paolo. Catacombe di Sant’Ippolito (Roma). IV secolo.

Il segno del Chrismon fu infine utilizzato in un contesto politico-religioso. Con l’avvento del periodo costantiniano[17] questo cristogramma venne utilizzato in termini di gloria, di trionfo, di vittoria.[18] Eusebio di Cesarea, in un contesto di ‘visione’[19], lo descrive come un qualcosa che attesta la protezione divina verso Costantino.[20] Anche Lattanzio, in una vicenda legata a un ‘sogno’, si muove sulla stessa linea.[21] Ecco quello che annota Eusebio: “In un’alta asta ricoperta d’oro s’innestava un braccio trasversale in modo da formare una croce; in cima a tutto era fissata una corona intessuta di pietre preziose ed oro; su questa corona due segni, indicanti il nome di Cristo, mostravano, per mezzo delle prime lettere (con il rho che si incrociava giusto nel mezzo), il simbolo della formula salvifica: l’imperatore prese poi l’abitudine di portare anche in seguito questo monogramma inciso sul suo elmo”.[22]
Scrive Lattanzio: “[44] Iam mota inter eos fuerant arma civilia. Et quamvis se Maxentius Romae contineret, quod responsum acceperat periturum esse, si extra portas urbis exisset, tamen bellum per idoneos duces gerebatur.
Plus virium Maxentio erat, quod et patris sui exercitum receperat a Severo et suum proprium de Mauris atque Gaetulis nuper extraxerat.
Dimicatum, et Maxentiani milites praevalebant, donec postea confirmato animo Constantinus et ad utrumque paratus copias omnes ad urbem propius admovit et a regione pontis Mulvii consedit.
Imminebat dies quo Maxentius imperium ceperat, qui est a.d. sextum Kalendas Novembres, et quinquennalia terminabantur.
Commonitus est in quiete Constantinus, ut caeleste signum Dei notaret in scutis atque ita proelium committeret. Facit ut iussus est et transversa X littera, summo capite circumflexo, Christum in scutis notat. Quo signo armatus exercitus capit ferrum. Procedit hostis obviam sine imperatore pontemque transgreditur, acies pari fronte concurrunt, summa vi utrimque pugnatur: Neque his fuga nota neque illis”.[23]
Con la vittoria di Costantino sui diversi avversari, il Chrismon conferma sempre più un significato religioso (Dio è dalla parte dell’imperatore) e politico (Costantino è il vero monarca a cui spetta il dominio dell’impero).

Il ritrovamento del cryptoporticus degli Horti Sallustiani [24]

Nel contesto fin qui delineato si colloca un fatto archeologico. Nel 1949-1950, durante i lavori di costruzione di un’officina-garage nella zona compresa tra via Lucullo e via Friuli, vennero riscoperti i resti di un cryptoporticus (risalente alla seconda metà del I secolo d.C.).[25] Fu un evento non marginale. Questo corridoio ‘nascosto’ (crypto) faceva parte, in epoca antica, di una vasta proprietà indicata con il nome di Horti Sallustiani.[26] La zona era appartenuta allo storico, politico e senatore Gaio Sallustio Crispo (86 a.C.-35 a.C.)[27]. Passò in seguito nelle proprietà demaniali. È noto dalla Storia Romana di Dione Cassio (155ca-235ca)[28] che gli imperatori Vespasiano e Nerva[29] abitarono negli edifici che erano posizionati negli Horti, preferendoli a quelli del Palatino. Aureliano fece poi costruire un portico lungo mille passi (detto perciò ‘miliarense’) ove era solito fare la sua passeggiata a cavallo.[30] Nell’area degli Horti erano posizionate molte opere. Si ricordano al riguardo:
- l’obelisco Sallustiano: alcuni pensano che si trovava nella spina del circo di Aureliano. Era copia (fatta a Roma) di un obelisco egizio; [31] il basamento di granito dell’obelisco si trova oggi nei giardinetti dell’Aracoeli;
- il trono Ludovisi: si discute se le immagini che vi sono scolpite rappresentano la ‘nascita di Venere’ o il ritorno di Persefone dagli inferi;[32]
- l’acrolito[33] Ludovisi: si tratta di una grande testa femminile;[34]
- la statua del ‘Galata morente’: rinvenuta nel 1663[35]; copia marmorea di epoca romana di una scultura bronzea attribuita a Epigono;
- la statua del ‘Galata suicida’: copia marmorea di epoca romana di una scultura bronzea attribuita a Epigono;[36]
- sculture originali greche: provengono da antichi templi (di notevole qualità);
- fregi a girali di acanto con sfingi: si possono datare alla prima età augustea;[37]
- il frammento di una colossale statua di Apollo: commemorazione della vittoria di Augusto ad Azio su Cleopatra e Antonio e sull’Egitto;
- il ‘trofeo militare’: trovato sotto via Boncompagni (durante lavori di manutenzione);[38]
- l’acroterio[39] della ‘Vittoria alata’: risalente al 460 a.C.;
- herma[40] di Ercole barbato: di età augustea, ritrovato nel 1890;[41]
- statua acefala[42] e mutila dell’Amazzone inginocchiata: dal frontone del tempio di Apollo Daphnephóros a Eretria (fine VI secolo a.C.);
- gruppo marmoreo di ‘Oreste ed Elettra’: opera dello scultore greco Menelaos (con tracce del colore originale).
Il comprensorio subì degli accentuati danneggiamenti durante l’invasione dei Visigoti di Alarico (410). In seguito, l’estesa proprietà fu segnata da una serie di progressivi mutamenti fino ad arrivare alle ultime vicende che hanno riguardato (in ordine cronologico): la Famiglia Boncompagni-Ludovisi, la Casa Savoia, e l’Amministrazione USA (ambasciata presso lo Stato italiano).
Attualmente la parte più conosciuta degli Horti Sallustiani si trova presso piazza Sallustio, 14 metri al di sotto del piano stradale. Nell’area in questione sono state individuate anche due fosse. Vi erano posizionate anfore impilate l’una sull’altra a formare colonne di oltre sette metri. Tale struttura serviva a favorire il drenaggio del terreno. Costituiva, con buona probabilità, una parte del complesso sistema idraulico di irrigazione dei giardini. Nel periodo luglio-ottobre 2006, nell’ambito dei lavori di riqualificazione ambientale di via Veneto, nel tratto compreso tra largo Fellini e via Boncompagni, sono stati individuati resti di strutture antiche pertinenti ad un’area marginale degli Horti Sallustiani.

I ritrovamenti archeologici

Nell’attuale periodo, grazie ai ritrovamenti avvenuti nel tempo nell’area degli antichi Horti Sallustiani, è possibile comprendere in qualche modo come doveva presentarsi l’originario assetto del territorio: 1 cisterna; 2 portico; 3 conserva d’acqua; 4 fistula[43] e statua di Minerva (a Copenaghen?); 5 portico decorato con Vittorie; 6 tempio della Fortuna; 7 Niobidi (Copenaghen); 8 edificio e sculture decorative (Sileno al Museo Nazionale Romano, Fauni, piede di tavolo a forma di sfinge); 9 portico e transenne; 10 portico; 11 Niobide (Museo Nazionale Romano); 12 ninfeo; Artemide e Ifigenia (Copenaghen); Nike (Museo dei Conservatori); ara con stagioni, affreschi ecc.; 13 palazzo residenziale; 14 mura serviane e costruzioni addossate; 15 Peplophoros[44] (Boston); 16-17 sostruzioni; 18 criptoportico; 19 base dell’obelisco; 20 erma di Ercole (Museo dei Conservatori); 21 sostruzioni; 22 trofeo militare; 23-24 sostruzioni; 25 rilievi, Apollo e statua di amazzone; 26 canalizzazione a cielo aperto foderata di marmi; 27 localizzazione ipotetica del tempio di Venere Erycina[45]; 28 complesso di statue egizie (Musei Vaticani); 29 ‘guerriero ferito’. Candelabro (Boston); 30 serie di ambienti di età tardo-antica; 31 trono (Boston); 32 platea contenuta da muri di sostruzione (tempio di Venere Erycina?); 33 trono Ludovisi; barbaro in pavonazzetto (Copenaghen); 34 strada e porticato identificato come porticus miliariensis; 35 casa di età adrianea distrutta per l’erezione dell’obelisco e di una piscina ottagonale antistante; 36 terme di età tardo antica; 37 vaso con fauni e baccanti, satiro con Dioniso bambino; 38 padiglione ad emiciclo.

Gli Horti Sallustiani nelle fonti cristiane [46]

immagine7L’area (in generale) e gli edifici (in particolare) posizionati negli Horti Sallustiani non si trovano menzionati solo nella letteratura classica. Anche in alcune fonti cristiane si possono trovare delle indicazioni sulle quali gli storici hanno realizzato degli approfondimenti. In particolare gli Horti in questione si trovano menzionati nelle ‘Vite’ di alcuni santi. Si tratta di: Crescenzio, Susanna, Lorenzo e Ippolito.
- Crescenzio: un tribunale ‘Sallustii[47] è citato negli ‘Acta Sancti Crescenti’, in collegamento con il processo che venne celebrato negli anni dell’imperatore Diocleziano contro san Crescenzio. Di questo adolescente rimane un’iscrizione trovata sulla sua tomba nel cimitero di Santa Ciriaca in Roma: ‘Crescentius qui vixit an XI. Mater cum metu posuit’ (‘Crescenzio che visse undici anni. La madre con trepidazione pose’).
- Susanna: nella Passio di questa santa Susanna (redatta in forma definitiva nel VI secolo) si fa riferimento a un ‘forum Sallustii[48] e a una ‘platea ante palatium Sallustii’[49], all’interno della tenuta imperiale.
- Lorenzo e Ippolito: un ‘palatium Sallustii[50] è ricordato negli ‘Acta Martyrum’ di questi due santi. La salma del diacono Lorenzo fu deposta nel cimitero di Ciriaca.[51] Ippolito è indicato come militare.[52]
Se, da una parte, Acta e Passiones accolgono talvolta passaggi letterari ove traspare più un fine edificante che un’informazione storica[53], dall’altra, le indicazioni – al contrario – di taluni luoghi di epoca antica si sono confermate esatte[54]. Per questo motivo, gli storici nei loro studi procedono con cautela, analizzando dato per dato. Nella fattispecie in esame risultano taluni elementi: 1 palazzo; 2 forum; 3 platea; 4 attività giudiziaria.

I nuovi studi

Dopo il 1950 non vennero proseguite ricerche nel cryptoporticus posizionato nell’antica area degli Horti Sallustiani. Trascorsero alcuni decenni. Nel 1996-1997, l’archeologa Silvia Festuccia ha potuto realizzare alcuni scavi per verificare il reale sviluppo planimetrico del sito.[55] Quest’ultimo, secondo Olof Brandt[56], era probabilmente costituito da almeno tre corridoi ad angolo retto.
Di questi, si può oggi vedere solo quello centrale sud[57]: misura circa 10,9 metri di lunghezza ed è largo 4,2 metri. È interrotto da moderne pareti in entrambe le estremità. Il sito, coperto da una volta, si estende in direzione nordest-sudovest. Si trova a circa 2,5 metri sotto il livello di via Friuli. Tre delle finestre originali sono ancora conservate a 2,90 metri di distanza l’una dall’altra. Il corridoio sale verso sud-ovest, dove gira a destra/nord-ovest ma finisce dopo pochi metri. A sinistra/sud-est si trova una piccola stanza.

Gli affreschi

Resti del cryptoporticus degli Horti Sallustiani con affreschi

Resti del cryptoporticus con affreschi

L’area centrale delle pareti del cryptoporticus rimasto (circa 1,60 metri sopra il livello del pavimento e fino alla parte di sostegno della volta) è coperta da affreschi[58] (195-205 d.C.) con decorazioni a pannelli di età antonino severiana[59]: il giallo, il rosso, figure maschili, femminili, Pegaso ed elementi fitomorfi (tralci di edera, di vite, il bastone di Dioniso, foglie di acanto). È stato pure studiato un disegno a carboncino che raffigura un carro con Dioniso e Arianna, copia del bassorilievo di un sarcofago presente nella basilica di Santa Maria Maggiore, spostato poi probabilmente negli anni del pontificato di Sisto V a Villa Montalto.[60] E un cacciatore mitico (Meleagro?) o una divinità (Apollo?) in atteggiamento di riposo sulla volta di uno dei due ambienti individuati in fondo alla galleria. Le pitture murali trovate negli ambienti vicini al corridoio centrale cit. appartengono al I e al III secolo d.C.. La loro conservazione è parziale per le sfavorevoli condizioni climatiche e per i crolli avvenuti nel corso dei secoli. La parte di sostegno del muro nella galleria centrale era originariamente decorata con lastre di marmo.

I graffiti del cryptoporticus

Gli interventi di ripulitura e restauro del cryptoporticus cit. hanno pure consentito una migliore osservazione di una serie di graffiti che appartengono a due periodi principali: quello tardo antico, e quello tardo medievale-rinascimentale. Questi documenti vennero già osservati con attenzione da più studiosi: Domenico Faccenna[61], Michelangelo Cagiano de Azevedo[62] e Carlo Cecchelli[63]. Negli anni ’90 (XX sec.) furono effettuati ulteriori scavi, restauri e ricerche nel cryptoporticus. Nel 2001 è stato definito un progetto di ricerca caratterizzato da una collaborazione tra l’ambasciata USA e l’Istituto svedese di studi classici a Roma. Dei graffiti si è occupata la studiosa svedese Anna Holst Blennow, dell’università di Göteborg.[64] I risultati del lavoro, iniziato nel 2002, sono stati divulgati nel 2008 attraverso il volume Unexpected voices[65], a cura di Olof Brand (cit.). Quest’ultimo ha evidenziato anche un fatto: quando furono eseguiti i graffiti cit. esistevano già i dipinti murali (cit.), e il livello del corridoio era stato sollevato. L’archeologo sottolinea inoltre che, con le conoscenze acquisite, sarà possibile con nuovi scavi ritrovare i resti di un’altra parete nord-sud del corridoio, forse con altri dipinti e graffiti, circa 2,4 metri dietro il muro moderno che chiude il corridoio a ovest.[66]

I graffiti cristiani

Un graffito. Croce monogrammatica. Cryptoporticus degli antichi Horti Sallustiani

Un graffito. Croce monogrammatica. Cryptoporticus degli antichi Horti Sallustiani

Durante le ricerche effettuate nel cryptoporticus gli esperti hanno studiato, tra i diversi graffiti, anche quelli che, per le loro caratteristiche, si possono ricondurre al simbolismo cristiano e a quello ebraico. Mentre non è stato difficile individuare il disegno di una Menorah (lampada ad olio a sette bracci), più articolata si è rivelata l’osservazione dei graffiti cristiani. Quest’ultimi si presentano infatti in modi diversi e ciò esige un’osservazione attenta. Al riguardo chi scrive, tenendo conto dei contributi di più autori (Faccenna, Cagiano de Azevedo, Cecchelli, Blennow et al.), ha tentato di comprendere il motivo che spinse alcuni cristiani a disegnare dei simboli attestanti un credo preciso.
La prima impressione è stata quella di aver davanti dei graffiti che sono opera di persone con un basso livello di alfabetizzazione. L’incisione, infatti, non segue delle regole precise ma segue tratti abbastanza abbozzati. Si potrebbe forse ipotizzare l’iniziativa di un soggetto che intende esprimere un qualcosa in cui crede ma che – in fase esecutiva – non ripete tipologie riscontrabili ad esempio in area catacombale. Evidentemente, questa sottolineatura deve comunque tener conto di talune realtà contingenti: lo stato deteriorato delle pareti del cryptoporticus, e la perdita di diversi graffiti (o una loro possibile presenza in ambienti ancora non esplorati).
La seconda impressione è stata quella di individuare comunque un messaggio che si vuole trasmettere in modo discreto. Senza attirare troppe attenzioni. E senza innestare dinamiche che potrebbero sfociare in polemiche e in contrapposizioni dagli esiti incerti. Tutto ciò farebbe pensare, quindi, a una comunicazione tra correligionari, secondo un codice di loro conoscenza.
La terza impressione è che i graffiti, pur semplici e poco invasivi, attestino comunque un orientamento-chiave. In un periodo storico nel quale ‘l’aquila’ romana riassumeva un significato religioso (la potenza di Giove), politico (la supremazia dell’impero e della sua massima autorità) e culturale (la civiltà romana), qualche umile cristiano riconosceva – attraverso il disegno di un Chrismon – il primato di Dio.

Lo studio di un Chrismon

catalogato A.6. Cryptoporticus degli antichi Horti Sallustiani.

catalogato A.6. Cryptoporticus degli antichi Horti Sallustiani.

Tra i diversi graffiti cristiani assume rilevanza un ‘Chrismon’ catalogato A.6.[67]. Presenta delle peculiarità. Da una parte si osservano facilmente le prime due lettere dell’alfabeto greco, ma si scorgono anche altri aspetti:
1) il Chrismon è collocato sotto un graffito incompleto;
2) la linea diagonale che attraversa la gamba sinistra in basso della X, formando un’altra X, è probabilmente il risultato di un danno;
3) il tipo di graffito non risulta disegnato in modo puntuale;
4) l’occhiello del Rho non segue la tipologia costantiniana (o eusebiana);[68]
5) il Chrismon è di tipo essenziale; assenza di simboli collaterali;
6) non è laureato [69] iscritto in una cornice quadrata;
7) non è coronato con foglie di alloro;
8) non è inquadrabile in contesti segnati da un messaggio di trionfo, di vittoria;
9) non si trova in ambiente catacombale ma in area pubblica.
Tali elementi, a cui si aggiungono le comparazioni con altri Chrismon (es. epigrafi del III sec.; catacombe di San Sebastiano; …) e lo stesso studio archeologico del cryptoporticus cit., farebbero pensare a una datazione tardo antica. Anche il Loconsole, nel suo studio sul simbolo della croce[70], risottolinea un orientamento in direzione del III secolo. Il medesimo Autore annota inoltre che il graffito del cryptoporticus è molto simile a quello più noto dell’epigrafe di Verazio Nicatora[71] (III sec.). Evidentemente, come in ogni ricerca storica, non si possono escludere altre ipotesi. Ciò è legato anche al deterioramento della parete che non consente l’acquisizione di ulteriori dati.

Alcune considerazioni

Lo studio del Chrismon cit. (A.6), individuato in una parete del cryptoporticus degli antichi Horti Sallustiani, assume un rilievo non debole perché, unitamente ad altri graffiti, attesta una presenza cristiana in un ambiente diverso dalle catacombe e da luoghi di culto. In considerazione di ciò si possono annotare alcune sottolineature mirate a meglio definire un contesto storico e a riflettere sul reale messaggio che il Chrismon intendeva trasmettere.
Un primo punto non marginale riguarda il piano di calpestìo. A livello cronologico esistono due livelli. Quello delle origini e quello rialzato (l’attuale). Ci si è interrogati sul motivo che può aver indotto a modificare l’assetto iniziale. Le ipotesi sono diverse. Una di queste può essere legata al fatto che uno degli ambienti collegato dal cryptoporticus potrebbe essere stato edificato secondo una progettazione che lo rendeva più alto rispetto al piano di calpestìo del corridoio. Da qui l’esigenza di un riadeguamento nell’impostazione dell’ambiente di passaggio per facilitare la funzione di collegamento.
Un secondo aspetto riguarda un’ipotesi formulata dalla Blennow. Ella scrive che se “il graffito A7[72] è un nome, il Chrismon potrebbe avere sia un valore simbolico di vita in Cristo, o (più probabilmente, se una datazione più recente dovesse essere stabilita per il graffito) serve come abbreviazione per (in) Chr (isto) o qualcosa di simile”.[73] Una rimodulazione di tale annotazione sarebbe suggerita dal fatto che le espressioni ricordate dall’autrice sono generalmente usate in ambiente catacombale o in luoghi di culto, non in corridoi di edifici imperiali. Inoltre le dimensioni del Chrismon, e lo stesso modo di realizzare il graffito, sembrerebbero escludere collegamenti con possibili frasi precedenti. Discorso diverso sarebbe se nel corridoio o nelle vicinanze fosse stato ucciso qualche cristiano. In tal caso l’analisi richiederebbe ulteriori riscontri.
Un terzo aspetto fa riferimento a una ipotesi avanzata da qualche autore: la possibilità che, nel progredire del tempo, visitatori del cryptoporticus - in epoca non antica - abbiano inciso il Chrismon oggetto di questo studio. Al riguardo, può essere orientativo un dato. Superata la fase delle persecuzioni, i cristiani non ebbero più la necessità di ricorrere a monogrammi per professare il proprio credo. Mentre da una parte proseguì per un certo tempo l’uso delle sepolture in talune catacombe, dall’altra cominciarono ad essere edificate le prime basiliche cristiane. In tali luoghi, determinati simboli cristiani non vennero annullati ma furono piuttosto ridisegnati secondo uno sviluppo pittorico che poteva manifestarsi in tutta la sua grandezza, libero ormai da condizionamenti[74].
All’uso del Chrismon seguì l’esaltazione del Croce.[75]

Altri simboli cristiani? Il rapporto con gli ebrei

Esiste poi una considerazione che fa riferimento al fatto che in una parete del cryptoporticus più volte cit. sono stati trovati sia dei simboli cristiani, sia una Menorah ebraica (graffito catalogato A14).[76] Tale fatto ha indotto alcuni autori a ipotizzare quasi una situazione di contrasto[77], di contrapposizione, di aperta rivalità. All’iniziativa degli uni era in pratica seguita la risposta degli altri. Tale orientamento di pensiero potrebbe, però, essere rimodulato alla luce di determinate evidenze:
- il confronto sofferto tra cristiani ed ebrei non si realizzò sul piano dei simboli ma su precisi contenuti teologici;
- i cristiani proclamavano (e proclamano) la venuta del Messia, gli ebrei rimanevano (e rimangono) in una posizione di attesa. Per i cristiani il Nuovo Testamento costituisce un processo di continuità con le Antiche Scritture dell’ebraismo, per gli ebrei rimane testo sacro il Pentateuco, che fa parte della raccolta nota sotto il nome di Tanakh, che costituisce nella tradizione ebraica la Torah scritta. Unitamente a ciò, assume particolare rilevanza il Talmud, a sua volta diviso in Mishnah e Ghemara. Tale testo è una raccolta di discussioni avvenute tra i sapienti e i maestri dentro e fuori il Sinedrio;
- è utile poi ricordare il fatto che anche per il Cristianesimo l’Antico Testamento (con i suoi simbolismi) è Parola di Dio (nella Bibbia cattolica l’A.T. è formato da 46 Libri);
- inoltre, molti simboli di derivazione ebraica si ritrovano a tutt’oggi in ambito cattolico. Ad esempio, il simbolismo della Menorah è condiviso dai cattolici: si pensi al significato religioso del numero sette (i giorni della Creazione, quelli della settimana…), alla fiamma che arde (fede e testimonianza)…
Tenendo conto di ciò, e del fatto che nella storia della Chiesa antica ricoprirono un ruolo non marginale anche i giudeo-cristiani (rif. la Chiesa che nasce dalla sinagoga), è forse utile vedere nei simboli cristiani ed ebraici del cryptoporticus una situazione che attesta semplicemente un co-presenza di membri delle due grandi religioni monoteiste.

Altri graffiti cristiani?

Esistono pure dei tentativi di interpretazione di alcuni graffiti che sembrerebbero richiamare delle evidenze cristiane. In una parete del cryptoporticus Cagiano de Azevedo ritenne di poter leggere la parola: ‘MARTYR’. In un altro caso, Margherita Guarducci e Cagiano de Azevedo interpretarono un graffito: ‘Adraste’, vocativo del nome ‘Adrastus’. Secondo l’opinione degli studiosi cit. si poteva trattare di un martire venerato nel corridoio (divenuto quindi luogo di culto).[78] Unitamente a ciò, si ricorda un altro fatto. In un punto della parete B, sono stati individuati dei graffiti formati da più linee verticali e orizzontali. A questo punto, la presenza in particolare di tre piccole linee verticali parallele attraversate al centro da una linea orizzontale potrebbe suggerire un’ipotesi: la prima linea verticale a sinistra è una lettera i, la seconda e la terza linea verticale legate da una piccola linea orizzontale è una H (in greco sarebbe una eta che traslitterata in caratteri latini risulta he. Quindi IH=Iesus. Nell’attuale periodo, però, gli orientamenti di Cagiano de Azevedo e della Guarducci non sembrano trovare conferme. Anche con riferimento alla terza ipotesi di lettura c’è chi tende a leggere nei graffiti probabilmente un calcolo.

Una linea rossa?

Nel contesto delineato sembra emergere una specie di linea rossa che collega tra loro più siti archeologici. Nel 1857, presso un edificio del Palatino (Roma) denominato Paedagogium, fu individuato un graffito blasfemo. Un servo guardava a un crocifisso con la testa di asino. Sotto la figura c’era la scritta in greco: ‘ΑλΕξΑΜΕΝΟς CЄΒΕΤΕ ΘΕΟN’ (che traslitterata corrisponde ad Alexamenos sebete theon) che significa ‘Alexamenos venera [il suo] dio’. Tale documento, datato III secolo d.C. (alcuni studiosi propendono per date anteriori), ha un particolare rilievo perché dimostra il disprezzo che esisteva nell’Urbe verso i cristiani. Inoltre, attesta il fatto che anche nelle dimore imperiali erano presenti servitori di fede cristiana.[79] Anche nell’anfiteatro Flavio, in tempi ravvicinati, nel corridoio di servizio che immette al terzo livello, è stata studiata una croce disegnata su una linea rossa che collega due grandi lettere: una “T” e una “S”. Chi scrive ha potuto individuare un possibile collegamento interpretando le due lettere come la prima e l’ultima lettera della parola latina ‘taurus’ (toro). Tale espressione costituiva, in tempi antichi, un grido che echeggiava nel Colosseo quando entravano nella cavea i tori. Quest’ultimi rappresentavano per i romani l’emblema della forza, della dominanza e della morte (erano utilizzati anche contro i condannati a morte). Per tale motivo non è difficile pensare all’iniziativa di un cristiano mirata a contrapporre all’esaltazione della potenza animale il segno salvifico della Croce di Cristo Redentore.[80] Considerando poi una serie di elementi (periodo di impiego dei tori nell’arena; caratteri della croce; differenza tra le croci trovate nel primo livello e quella del terzo; analisi del colore; studio dei disegni di croci individuate nelle catacombe di Domitilla, Priscilla e in quella di san Sebastiano) si tende a ipotizzare una datazione di fine III secolo d.C.
I due ritrovamenti inducono a pensare che si tratti, in entrambi i casi, di documenti esistenti in periodo pre-costantiniano. Dopo l’Accordo di Milano del 313, infatti, la Chiesa poté uscire allo scoperto e organizzare senza problemi la propria vita comunitaria. In tale contesto, lo studio del Chrismon individuato nel criptoportico degli antichi Horti Sallustiani induce a pensare a un possibile collegamento con la situazione della Chiesa di Roma precedente la libertà di culto. In tale ipotesi, quindi, la scelta del Cristogramma sarebbe stata dettata dall’impossibilità di manifestare in modo pubblico la propria fede per non rischiare reazioni ostili di varia natura. D’altra parte, non avrebbe significato – nel IV secolo (e ancor più in seguito) – continuare a utilizzare il monogramma di Cristo in un modo quasi nascosto (in un corridoio di servizio), considerando le tante manifestazioni di fede realizzate nei decenni (chiese, oratori, sculture, pitture, diaconìe, chrismon impresso su monete e anelli et al.).

Quale messaggio trasmette il Chrismon del cryptoporticus?

Evidentemente, se i cristiani apponevano graffiti con precise finalità (il monogramma di Cristo aveva una propria sacralità), anche il Chrismon esaminato in questo studio (catalogato A6) doveva in qualche modo esprimere un messaggio. Su questo punto si possono valutare più ipotesi.
a) Portafortuna: secondo tale tesi il monogramma di Cristo sarebbe stato usato come antidoto contro ciò che poteva disturbare la vita quotidiana. Diventava una sorta di amuleto in grado di proteggere dalle avversità, dai pericoli, dalle forze del male. Al riguardo, sarebbe utile rimodulare tale interpretazione alla luce dei testi scritturistici che insistono sull’importanza di adorare Dio in spirito e verità (Gv 4, 21-24). Inoltre, la stessa vita ecclesiale del tempo richiamava continuamente ad altri aspetti, incominciando dalla centralità della fractio panis.[81]
b) Trionfo: secondo questa tesi il Chrismon (A6) del cryptoporticus potrebbe costituire un’affermazione di gloria, di trionfo, di potenza. In tal senso diventerebbe una risposta anche polemica a quanti professavano altri culti. La posizione succitata potrebbe comunque essere rimodulata tenendo conto del fatto che la glorificazione pubblica del Nome di Cristo trova attuazione solo in epoca post-costantiniana. È con la nuova normativa filocristiana che sarà possibile alla Chiesa presentare anche il Chrismon in contesti di culto, mentre alcuni imperatori (incominciando da Costantino) useranno il Cristogramma in vari contesti (elmo, monete, sigilli, anelli).
c) Indicazione di martirio: è stato anche sostenuto che nell’ambiente del cryptoporticus potrebbe aver trovato la morte qualche cristiano. In tal senso il Chrismon (A6) farebbe memoria di tale episodio, e avrebbe la funzione di ricordare ai fedeli le persecuzioni subìte dalla Chiesa. Al riguardo, può essere utile sottolineare il fatto che l’attuale limitata disponibilità di documenti sui martiri romani suggerisce prudenza nel sostenere questa o quella tesi. È noto inoltre il fatto che talune Passiones sono state scritte a distanza di tempo dall’accadimento dei fatti narrati. Inoltre, in più casi, si osserva nei testi più un fine catechetico che una ricostruzione storica. Nello stesso corridoio, poi, esistono altri graffiti che si leggono con difficoltà per il rovinìo prodotto dal tempo e dalle vicende del luogo.
d) Ricordo di visite: secondo altre interpretazioni il Chrismon (A6) potrebbe essere un graffito lasciato da taluni visitatori che, con tale iniziativa, avrebbero lasciato un segno del proprio passaggio. Tale tesi si collega all’abitudine di più persone di tracciare sui luoghi delle iscrizioni che richiamano a un loro passaggio. È un uso che arriva fino all’attuale periodo. Inoltre, anche nel recente studio (cit.) di un lacerto di muro del corridoio di servizio che immette al terzo livello del Colosseo, sono state trovate annotazioni che arrivano al 1945. Si tratta, però, di firme. Di date. Di frasi. Anche di esclamazioni. Nel caso del cryptoporticus, al contrario, si è in presenza del monogramma di Cristo (un segno sacrale). Difficilmente un cristiano lo lasciava come semplice ricordo di una visita. Ciò induce a pensare ad altri significati.

Il messaggio in codice

Alla luce di più considerazioni, tenendo conto degli apporti scientifici che hanno riguardato il cryptoporticus più volte cit., e considerando la storia della Chiesa antica con particolare riferimento a Roma, ci si potrebbe orientare in direzione di un’altra ipotesi: l’affermazione di fede a sostegno di un nucleo di fedeli. Tale sottolineatura accoglie una serie di evidenze:
- il Cristogramma (A6) afferma un nucleo di messaggio ma non è legato a un trionfo collocato in una posizione centrale, dominante, sovrastante. Per osservare il Chrismon lo studioso deve cercarlo. E lo individua in una parete caratterizzata da dipinti e da graffiti di varia natura;
- il modo con il quale è stato realizzato il graffito non richiama a una tipologia di esecuzione ligia a dei canoni. Al contrario, l’esecuzione sembra essere affrettata, mirata più a lasciare un messaggio per pochi che a proclamare un’affermazione per molti;
- la scelta di lasciare un Chrismon in un corridoio di servizio fa pensare a una volontà orientata a mantenere un segno-chiave e non scritte marginali.
Tali dati sembrano suggerire quindi una realtà che non ha ancora affrontato il periodo post costantiniano. Chi lascia il graffito del Chrismon:
- è certamente un cristiano;
- molto probabilmente al servizio della famiglia imperiale;
- di debole livello di alfabetizzazione;
- vuole trasmettere un messaggio ai suoi correligionari;
- sceglie un monogramma per utilizzare poco spazio;
- il messaggio quindi è in codice (capace di essere interpretato da pochi);
- la sua è contemporaneamente una segnalazione di identità e di presenza;
- l’affermazione di identità lo colloca come seguace di Gesù Cristo;
- la sottolineatura di presenza (in un ambiente pagano, con sostenitori di altri culti e fedi) serve ad avvisare altri possibili cristiani.

 

 

 

 

Note

[1] Nella Lettera ai Romani Paolo saluta Febe (al servizio della Chiesa di Cencre); Prisca e Aquila (e la comunità che si riunisce nella loro casa); Epèneto; Maria; Andronìco e Giunia (parenti dell’apostolo e compagni di prigionia); Ampliato, Urbano, Stachi, Apelle; quelli della casa di Aristòbulo; Erodione (parente di Paolo); quelli della casa di Narcìso; Trifèna e Trifòsa; Pèrside; Rufo e sua madre; Asìncrito, Flegonte, Erme, Pàtroba, Erma (e i fratelli che sono con loro); Filòlogo e Giulia, Nereo e sua sorella, Olimpas (e i credenti che sono con loro). 
[2] “(…) Dopo aver pregato Dio ho potuto vedere i vostri santi volti ed ottenere più di quanto avevo chiesto (…)” [Dalla Lettera di Ignazio di Antiochia ai Romani, I,1].
[3] In epoca repubblicana era servito per le esercitazioni militari e di cavalleria.
[4] Vicino all’attuale Campo de’ Fiori.
[5] Esistono dei resti in via Paganica.
[6] Dove ci sono ora la piazza e la basilica di San Pietro.
[7] Imperatori della dinastia Giulio-Claudia, di quella dei Flavi, et al.
[8] P.L. Guiducci, Nell’ora della prova. La testimonianza dei martiri cristiani a Roma dal I al IV secolo, Albatros, Roma 2017.
[9] I. Schwarz Winklhofer – H. Biedermann, Il libro dei segni e dei simboli, Bietti, Milano 1974. Cf capitolo quarto, ‘I simboli cristiani’, pp. 90-91.
[10] Tertulliano, De baptismo, I, 3.
[11] J. Daniélou, I simboli cristiani primitivi, Edizioni Arkeios, Roma 2000. E. Urech, Dizionario dei simboli cristiani, Arkeios, Roma 2000.
[12] Già nell’antica Grecia esistevano dei monogrammi. Questi potevano presentarsi come firma, oppure come simbolo di proprietà. Potevano anche costituire un marchio di identificazione su manufatti e merci.
[13] Χριστός (Khristòs). 
[14] Cf ad esempio: AA.VV., Temi di iconografia paleocristiana, a cura di F. Bisconti, Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, Città del Vaticano 2000.
[15] Su questo punto cf anche: A. Romeo, O fortuna, velut luna. I simboli apotropaici della Grecia e di Roma antica, in: ‘InStoria’, rivista online di storia&informazione, n. 115, luglio 2017 (CXLVI).
[16] P.L. Guiducci, Testimoni? La presenza degli apostoli Pietro e Paolo a Roma. Le prove storiche. L’insegnamento. I drammi, Albatros, Roma 2016, p. 84.
[17] Flavio Valerio Aurelio Costantino (274-337) fu imperatore dal 306 fino alla sua morte.

[18] AA.VV., Immagini divine. Devozioni e divinità nella vita quotidiana dei Romani, testimonianze archeologiche dell’Emilia Romagna, a cura di J. Ortalli e di ‎D. Neri, Quaderni di Archeologia dell’Emilia Romagna n. 18, All’Insegna del Giglio, Borgo San Lorenzo (FI) 2007, p. 149.
[19] Cristo appare a Costantino. Eusebio non specifica il luogo esatto dell’apparizione.
[20] Eusebio di Cesarea, De vita Constantini, I, 29-30. Cf al riguardo: Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino, a cura di L. Franco, Rizzoli, Milano 2009.
[21] Lattanzio, De mortibus persecutorum, c. 44. Cf al riguardo: Lattanzio, Come muoiono i persecutori, introduzione, traduzione e note di M. Spinelli, Città Nuova, Roma 2005.
[22] Eusebio di Cesarea, op. cit., I, 31.1-2.
[23] Lattanzio, op. cit., c. 44. L’autore fa quindi riferimento a un segno celeste (caeleste signum Dei).
[24] S. Festuccia, Un criptoportico sotto gli Horti Sallustiani, in: ‘Forma Urbis’, n. 9, 1997, pp. 23-27.
[25] Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei, Notizie degli scavi di antichità, Roma 1952, p. 107.
[26] L’area è compresa tra i colli Pincio (Collis Hortulorum) e Quirinale, tra il proseguimento della via Alta semita (attuale via XX Settembre), la via Salaria, le Mura Aureliane e l’attuale via Veneto, poco dopo la Porta Salaria. Cf anche: AA.VV., Horti romani. Ideologia e auto rappresentazione, Atti del convegno internazionale (Roma, 4-6 maggio 1995), a cura di M. Cima – E. La Rocca, L’Erma di Bretschneider, Roma 1998. G. Cipriani, Horti Sallustiani, Istituto Nazionale delle Assicurazioni, Roma 1982.
[27] Cf anche: A. Roncoroni, Sallustio (modulo 9), in: ‘Studia Humanitas. Lo sviluppo culturale dell’età repubblicana’, vol. 2, Carlo Signorelli Editore, Milano 2002.
[28] Cassio Dione, Storia romana, introduzione, traduzione e note di G. Norcio, Rizzoli, Milano 1995.
[29] Quest’ultimo vi morì nel gennaio del 98 d.C.
[30] Historia Augusta, a cura di D. Magie, Harvard University Press, Cambridge (Massachusetts, USA) 1993.
[31] Dal 1789 è posizionato davanti a ‘Trinità dei Monti’.
[32] Attualmente presso il Museo Nazionale Romano di palazzo Altemps.
[33] Era un tipo di statua della scultura greca arcaica. La testa, le mani e i piedi erano in pietra, marmo o avorio. Il resto del corpo, nascosto dal panneggio, era in legno.
[34] Oggi si trova al Museo Nazionale Romano di palazzo Altemps.
[35] Conservata nei Musei Capitolini.
[36] Oggi conservata al Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps.
[37] Una parte di questi fregi sono conservati presso il Museo Montemartini (Roma).
[38] Conservato al Museo Montemartini (Roma).
[39] Nei templi antichi era l’elemento decorativo o figurato che coronava il vertice e gli angoli del frontone.
[40] Scultura su pilastro raffigurante una testa umana e l’inizio del busto.
[41] Nel Museo Montemartini (Roma).
[42] Senza capo.
[43] Tubo per la conduttura delle acque.
[44] Figura femminile vestita di peplo.
[45] A Erice (Sicilia) esisteva un tempio dedicato a Venere.
[46] V. Brunori, The Horti Sallustiani and Villa Ludovisi. Location site of the cryptoporticus. Historical and topographical notes, in: AA.VV., ‘Unexpected voices. The graffiti in the cryptoporticus of the horti sallustiani and papers from a conference on graffiti at the Swedish Institute in Rome, 7 march 2003’, edited by Olof Brandt, Stockholm 2008, p. 14, note 29-31.
[47] Con riferimento al tribunale “in Palatio Sallustii ad Portam Salariam” cf anche: F. Nardini, Roma antica, secondo volume, Nella Stamperia De Romanis, Roma 1818, p. 93.
[48] F. Nardini, op. cit., p. 65.
[49] Cf anche: K.J. Hartswick, The gardens of Sallust, University of Texas Press, Austin 2003, p. 161.
[50] K.J. Hartswick, op. cit., p. 20.
[51] Ciriaca (santa) donò alla comunità cristiana il terreno presso il quale edificare un cimitero, verso la metà del III secolo. Nel 258 vi fu sepolto il diacono e martire Lorenzo.
[52] Per altri riferimenti ai martiri cristiani e agli Horti Sallustiani cf anche: The roman martyrs, introduction, translations, and commentary of M. Lapidge, Oxford University Press, New York 2018.
[53] Cf anche: P. Testini, Archeologia cristiana. Nozioni generali dalle origini alla fine del sec. VI. Propedeutica, topografia cimiteriale, epigrafia, edifici di culto, Edipuglia, Bari 1980, pp. 15-17.
[54] Esempio: Acta Perpetuae et Felicitatis.
[55] B. Ferrini – S. Festuccia, Quirinale, Horti Sallustiani. Il criptoportico di via Friuli. Campagna di scavo 1996-1997, in: ‘Bollettino di Archeologia’, n. 28-30, 1994 (pr. 1999), pp. 85-108.
[56] Docente presso il Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana.
[57] O. Brandt, A fresh look at the cryptoporticus in the area of the Embassy of the United States of America in Rome, in: AA.VV., ‘Unexpected voices…’, op. cit., p. 37.
[58] Gli interventi di restauro sugli affreschi sono stati eseguiti da due specialisti: Cristina Vazio e Adriano Luzi.
[59] L’età antonino-severiana va dal II al III secolo d.C.
[60] V. Brunori, An unpublished charcoal sketch, in: ‘Unexpected voices…’, op. cit., pp. 87-93.
[61] D.Faccenna, Criptoportico decorato con pitture nel giardino della Villa Boncompagni-Ludovisi, in: ‘Notizie degli Scavi di Antichità’, n. 5, 1951, pp. 107-114.
[62] M. Cagiano De Azevedo, Criptoportico di Via Lucullo: iscrizioni dipinte e graffiti cristiani, in: ‘Notizie degli Scavi di Antichità’, n. 6, 1952, pp. 253-256.
[63] C. Cecchelli, Il trionfo della Croce. La Croce e i santi segni prima e dopo Costantino, Paoline, Milano 1954 (nel testo si trovano 62 riferimenti al Chrismon).
[64] A. Holst Blennow, The graffiti in the cryptoporticus of the Horti Sallustiani in the area of the Embassy of the United States of America in Rome, in: ‘Unexpected voices…’, op. cit., pp. 55-85.
[65] Op. cit.
[66] O. Brandt, A fresh look at the cryptoporticus in the area of the Embassy of the United States of America in Rome, in: ‘Unexpected voices…’, op. cit, p. 47.
[67] A. Holst Blennow, The graffiti in the cryptoporticus of the Horti Sallustiani…, op. cit., p. 57.
[68] Per le iscrizioni e i graffiti antichi cristiani sono fondamentali le due opere di G. B. De Rossi, Inscriptiones christianae urbis Romae septimo saeculo antiquiores, 1, Roma 1857-1861; 2, Pars I, Roma 1888.
[69] La ‘laurea’ è un disegno circuente un Chrismon.
[70] M. Loconsole, Il simbolo della croce tra giudeo-cristianesimo e tarda antichità: un elemento della translatio Hierosolymae, in: ‘Liber Annuus’ (LIII/2003), Jerusalem 2005, pp. 217-284.
[71] P. Testini, Archeologia cristiana. Nozioni generali dalle origini alla fine del sec. VI, Edipuglia, Bari 1980, p. 207.
[72] È un graffito che si trova sopra il Chrismon di cui trattasi.
[73] A.H.Blennow, The graffiti in the cryptoporticus of the Horti Sallustiani, in ‘Unexpected voices …”, op. cit., p. 60.
[74] Esempio: mausoleo di Galla Placidia (Ravenna), mosaici, metà V secolo.
[75] Esempio: basilica di San Clemente (Roma). La Croce come nuovo albero di vita. Mosaico del XII secolo.
[76] A.H.Blennow, The graffiti in the cryptoporticus of the Horti Sallustiani, in ‘Unexpected voices …”, op. cit., p. 61.
[77] Cf ad esempio: O. Brandt, A fresh look at the cryptoporticus, in: ‘Unexpected voices…’, op. cit., p. 47.
[78] Può essere utile ricordare il fatto che nella mitologia greca esisteva anche Ἄδραστος / Adrastos. Era re di Argo e di Sicione.
[79] Museo Palatino, a cura di M.A. Tomei (Soprintendenza Archeologica di Roma), Mondadori Electa, Milano 1997, p. 104.
[80] La relazione scientifica è stata pubblicata in diversi siti. Cf ad esempio:https://www.qumran2.net/materiale/anteprima.php?file=44917&anchor=documento_1&ritorna=%2Findice.php%3Fid%3D80%26area%3Dstudi%26sottoarea%3Dstoriachiesa&width=1366&height=637.
[81] Fractio panis (gr. κλάσις τοῦ ἄρτου ‘lo spezzare il pane’). Riferimento al rito dell’Eucaristia. Cf al riguardo: san Paolo (I Cor, 10, 16), l’autore del terzo Vangelo (Luca, 22,19) e gli Atti degli Apostoli (II, 42, 46; XX, 7, 11).

Per saperne di più

AA.VV., Horti Romani, Atti del convegno (Roma 1995), a cura di E. La Rocca e di M. Cima, L’Erma di Bretschneider, Roma 1998.
AA.VV., Immagini divine. Devozioni e divinità nella vita quotidiana dei Romani, testimonianze archeologiche dell’Emilia Romagna, a cura di J. Ortalli e di ‎D. Neri, Quaderni di Archeologia dell’Emilia Romagna n. 18, All’Insegna del Giglio, Borgo San Lorenzo (FI) 2007.
AA.VV., L’Età dell’Angoscia. Da Commodo a Diocleziano (180-305 d.C.), catalogo della mostra, a cura di E. La Rocca, C. Parisi Presicce, A. Lo Monaco, Roma 2015. Cfr. in particolare: L. Buccino, ‘Le domus a Roma nel III secolo d.C.. Proprietà, distribuzione topografica e arredi di lusso’, pp. 116-125.
AA.VV., Temi di iconografia paleocristiana, a cura e con introduzione di F. Bisconti, Pontificio Istituto di Archeologia Sacra, Città del Vaticano 2000.
AA.VV., Unexpected Voices. The graffiti in the Cryptoporticus of the Horti Sallustiani, edited by Olof Brandt, Acta Instituti Romani Regni Sueciae, Stockholm 2008, series in 4°, LIX.
A. Barzanò, Il cristianesimo nell’Impero romano da Tiberio a Costantino, La svolta costantiniana, Lindau, Torino 2013.
M. Bruzzesi, La ricostruzione dell’assetto topografico della VI regio augustea di Roma dal periodo repubblicano all’età tardo antica, tesi dottorato di ricerca in storia (storia antica), Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, Bologna 2013. Biblioteca dell’Università.
G. Calcani, Dalla pratica augurale alla simbologia della nuova fede: contributo alla storia iconografica del crismon, in: AA.VV., ‘Incisioni figurate della tarda antichità’, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Roma, Palazzo Massimo, 22-23 marzo 2012), a cura di F. Bisconti e di M. Braconi, Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, Città del Vaticano 2013, pp. 343-366.
C. Carletti, Epigrafia dei cristiani in occidente dal III al VII secolo. Ideologia e prassi, Edipuglia, Bari 2008.
Id., Il segno del vincitore. La croce nella documentazione epigrafica, in: ‘L’Osservatore Romano’, 20 novembre 2009.
M. Chelli, Manuale dei simboli nell’arte. L’era paleocristiana e bizantina, EDUP, Roma 2008.
M. Ciampani, La vita di Costantino secondo Eusebio, Nuova Cultura, Roma 2005.
R. du Mesnil du Buisson, Inscriptions sur jarres de Doura-Europos, Mélanges de la Faculté Orientale de l’Univ. St. Josèphe (Beyrouth), 36:1, 1959, pp. 1-49.
P. Filacchione – C. Papi, Archeologia cristiana. Coordinate storiche, geografiche e culturali (secoli I-V), LAS, Roma 2015.
N. Gudea, Kreuzförmige Zeichen auf Gegenständen destäglichen Gebrauches aus vorkonstantinischer Zeit, in: E. Dassmann and J. Engemann (eds.), ‘Akten des XII. Internationalen Kongresses für christliche Archäologie’, Bonn, 22.–28. September 1991, Teil 2 (JAC, Ergänzungsband, 20:2), Münster 1995, pp. 833-848.
P.L. Guiducci – A.M. Erba, La Chiesa nella storia. Duemila anni di Cristianesimo, Elledici, Torino 2017, versione e-book, primo volume (‘L’epoca antica’).
P. Innocenti – M.C. Leotta, Horti Sallustiani: le evidenze archeologiche e la topografia, in: ‘Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma’, CV 2004, pp. 149-196.
Lattanzio, Come muoiono i persecutori, a cura di M. Spinelli, Città Nuova, Roma 2005.
M. Loconsole, Il simbolo della croce tra giudeo-cristianesimo e tarda antichità: un elemento della translatio Hierosolymae, in: ‘Liber Annuus’ (53/2003), Annual of the Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem 2005, pp. 217-284.
I. Schwarz Winklhofer – H. Biedermann, Il libro dei segni e dei simboli, Bietti, Milano 1974. Cf capitolo quarto, ‘I simboli cristiani’, pp. 88-113.
G. Sena Chiesa, Il Cristo dissimulato. Simboli cristiani nell’Aquileia di Costantino e dei suoi successori, in: ‘Aquileia Nostra’, anno LXXXIII-LXXXIV, 2012-2013, pp. 359-370.
M. Sordi, I cristiani e l’impero romano, Jaca Book, Milano 2004.
E. Testa, Il simbolismo dei giudei-cristiani, Studium Biblicum Franciscanum, volume 14 di Collectio maior, Tipografia dei Padri Francescani, Jerusalem 1962. Cf pp.: 167, 409, 417.

Servizi televisivi sul cryptoporticus

(LA7, trasmissione ‘diMartedì’, 11 giugno 2016).

Archivi fotografici. Cryptoporticus
-http://archeoroma.beniculturali.it/ada/indici/documenti/risultati.php.Cf. n. 2013. Id. 2192.
Collocazione: 275/5. Toponimo: via Lucullo, pitture del criptoportico presso l’Ambasciata Americana. Oggetto: conservazione e sistemazione delle pitture del criptoportico rinvenuto in via Lucullo, presso l’Ambasciata Americana. Data iniziale: 1950. Data finale: 1952.
-Studio fotografico Paolo Soriani. Immagini a colori del cryptoporticus. Pitture. In: Unexpected Voices. The graffiti in the Cryptoporticus of the Horti Sallustiani, op. cit.
-Ambasciata USA presso lo Stato Italiano. Cultural Heritage Office.
-Svenska Institutet i Rom.
-http://www.cristinavazio.it/it/lavori-cristina-vazio-sas/dipinti-murali/83-cryptoportico-horti-sallustiani-roma-restauro-cristina-vazio.html.
-http://foto.ilsole24ore.com/SoleOnLine4/Tempo%20libero%20e%20Cultura/2009/graffiti-ambasciata-usa/graffiti-ambasciata-usa.php.

Ringraziamenti
Si ringrazia S.E. l’Ambasciatore degli Stati Uniti d’America presso la Santa Sede per aver favorito lo studio dei graffiti cristiani nel cryptoporticus cit. nella presente monografia.
Particolare riconoscenza si esprime poi verso S.E. l’Ambasciatore degli Stati Uniti d’America presso lo Stato Italiano per aver autorizzato lo studio già ricordato, per aver fornito l’assistenza della Dottoressa Valeria Brunori (Fine Arts Curator at the Embassy of the U.S.A. in Rome), e per l’omaggio di materiale scientifico di particolare valore (testi e foto) che è stato valorizzato.
Si manifesta notevole gratitudine anche verso: l’Istituto svedese di studi classici a Roma per l’omaggio del volume Unexpected Voices. The graffiti in the Cryptoporticus of the Horti Sallustiani, e la Direzione e il Personale della prestigiosa Casa Editrice L’Erma di Bretschneider che ha consentito l’utilizzo di documenti riguardanti l’area degli antichi Horti Sallustiani.
Si ricordano ancora: la Dottoressa Barbara Jatta, Direttore dei Musei Vaticani, sollecita nella trasmissione di un parere, un gruppo di Specialisti che ha offerto in modo discreto e generoso un particolare aiuto nella ricostruzione degli studi riguardanti il cryptoporticus cit., e la Dottoressa Claudia Caggiula per le ottime traduzioni.