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“Adista” e il rapporto con la Chiesa istituzionale

“Adista” e il rapporto con la Chiesa istituzionale

Tratto da: Adista Documenti n° 13 del 14/04/2018

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Il tema che mi è stato chiesto di trattare può essere declinato secondo molteplici prospettive e esaminando diversi aspetti della questione. Considererò quelli che a mio avviso sono più salienti o, soprattutto, meno esplorati. Di questi aspetti cercherò di sottolineare ciò che nel corso di questi 50 anni è stato lo specifico di Adista, la sua collocazione nel mondo dell’informazione cattolica e non cattolica e il servizio, a mio giudizio prezioso, che la testata ha reso.

Potrei parlare delle angustie e vicissitudini accadute a chi ne fa parte, la anima e l’incarna; potrei parlare del “confino” in cui si è tentato e si tenta di relegare Adista, spesso facendo come se non esistesse; invece esiste, eccome: e la sua informazione arriva nelle parrocchie e nelle comunità religiose, e anche in luoghi istituzionali più alti, e non solo per controllarla, ma per farsi aiutare, da questa testata, a comprendere la realtà attingendo alle informazioni e alle riflessioni che propone. I vescovi Bettazzi e Nogaro, che aprono con la loro introduzione il volume che celebra questi 50 anni sono un caso esemplificativo, ma ve ne sono di molti altri, che non appartengono ad alcuna avanguardia ecclesiale. E questa presenza mi sembra una delle più belle e pulite rivincite che una pubblicazione come Adista si possa godere.

Tuttavia altri aspetti richiedono di essere sviluppati. Il primo è la funzione di informazione che Adista ha ricoperto su ciò che è accaduto in questi 5 decenni nella Chiesa istituzione. Una documentazione puntuale fatta di notizie e articoli, di documenti e commenti e voglio qui sottolineare il ricco ventaglio delle posizioni riferite o direttamente interpellate, elemento significativo per una pubblicazione che non è stata, né intende dichiaratamente costituire, un osservatorio neutrale.

Quello di Adista, rispetto alla Chiesa istituzionale è stato, infatti, un punto di vista tutt’altro che neutrale. Nel senso militante del termine, perché sugli argomenti e i grandi temi affrontati ha preso posizione. Parlo dei grandi temi che possiamo definire storici del cattolicesimo italiano. Primo fra tutti, pensando anche alla nascita di Adista, il tema politico, quello della presenza politica dei cattolici e della rottura del collateralismo, laddove – già per le caratteristiche e le intenzionalità della sua stessa nascita – la testata si è collocata nell’area, per così dire, degli apripista. Ma si fanno presenti anche altri temi come il divorzio e l’aborto, temi su cui Adista ha scelto l’impostazione della laicità dello Stato.

Il rapporto di Adista con la Chiesa istituzionale va considerato, poi, sotto il profilo delle tematiche interne alla Chiesa, come le scelte operate e le deliberazioni assunte dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, ad esempio durante il lungo pontificato di Giovanni Paolo II, ma anche dopo, con Benedetto XVI e fino ai nostri giorni, ai tempi di Müller, dove non solo ha fatto sapere ciò che i media cattolici non rendevano noto o lo facevano in modo parziale e defilato, ma si è collocata dalla parte di chi quelle deliberazioni subiva, spesso senza poter adeguatamente interagire.

È accaduto a molti teologi di fare esperienza della Congregazione per la Dottrina della Fede; in anni lontani, penso al caso del moralista Häring colpito nel 1979 dal cancro alla gola e dal divieto di criticare l’Humanae vitae, vicissitudine ricostruita nel libro intervista con Gianni Licheri Fede storia morale. O, ancora, al caso di un altro teologo moralista, Marciano Vidal, tra i firmatari del documento del 2016 in cui 15 teologi denunciano le modalità illiberali dei processi subiti. Non mi soffermo sui casi più noti, ad esempio di Hans Küng o Leonardo Boff, ma voglio ricordare le storie cosiddette “minori”; come quelle di suor Jeannine Gramick e di padre Robert Nugent nel 1999, colpiti per la loro azione pastorale con le persone omosessuali. Un altro dei versanti interessanti del rapporto di Adista con la Chiesa istituzionale è il suo essere stata ed essere tuttora osservatorio sui grandi ed ufficiali avvenimenti ecclesiali. Scelgo due temi: come Adista ha seguito il processo di ricezione del Concilio e l’elezione dei pontefici, così come documentata attraverso i numeri di Adista.

A proposito della ricezione del Concilio, va osservato che Adista nasce a distanza di appena due anni dalla chiusura del Vaticano II. Nelle prime annate è difficile trovare un numero in cui non venga nominato almeno una volta il Concilio e non si faccia accenno alle attese, alle perplessità, alle interpretazioni – sempre circostanziate in termini di iniziative prese da gruppi, dichiarazioni personali – circa l’attuazione del Concilio.

E il Concilio farà parte della memoria storica di Adista, che tornerà a riflettere e a rendicontare della ricezione dell’evento ecclesiale più importante e significativo del XX secolo. La rivista, ad esempio, darà puntualmente notizia di quello che avviene nel corpo ecclesiale, tra spinte in avanti e imposizioni di frenata. Sarà puntualmente documentata la lotta per il monopolio dell’interpretazione autentica. Come non ricordare, tra le numerose tappe, la vicenda di Alberigo, con le critiche mosse alla sua Storia del Concilio Vaticano II e alla sua interpretazione del Concilio come evento dirompente – richiamata da Adista, con un articolo di Mauro Pesce, proprio quest’anno [2017, ndr] a dieci anni dalla morte dello storico – e le posizioni assunte da mons. Marchetto (si veda il suo volume Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Contrappunto per la sua storia) nella lettura del Concilio stesso. O ancora, la puntuale informazione sull’ostracismo al Concilio espresso da realtà conservatrici estreme come quelle dell’associazione Lepanto, in particolare nella persona del suo presidente, Roberto De Mattei e nel suo libro contro il Concilio (Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta).

Per quanto riguarda l’elezione degli ultimi quattro pontefici, ho provato a scorrere i numeri a ridosso di conclavi ed elezioni. Albino Luciani, eletto al soglio il 26 agosto 1978: il numero del 28 agosto è tutto dedicato alle attese, mentre il numero del 4 settembre è occupato interamente dall’elezione del nuovo papa e dalle reazioni nella Chiesa. Il quadro del le voci che commentano è assolutamente interessante: da mons. Riboldi a padre Chenu, al grande animatore della Comunità cristiane di Base Ciro Castaldo per le attese, da Mario Gozzini e Giancarla Codrignani a Loris Capovilla all’indomani dell’elezione.

Karol Wojtyla, eletto papa il 16 ottobre 1978: se nel numero del 19 ottobre Ernesto Balducci si augura con il nuovo papa un incremento della collegialità, già nel numero successivo del 23 ottobre, si parla del rapporto che lega Wojtyla all’Opus Dei, un aspetto del suo pontificato – stigmatizzato dalla scelta del portavoce Navarro Valls e dalla canonizzazione di Escrivà de Balaguer – che dà e darà ampia materia agli storici per una ricostruzione. Alla sua morte, nel numero del 16 aprile 2005, in linea con lo sguardo avuto durante i lunghi anni del papato wojtyliano, Adista rompe la ”congiura degli osanna”.

Joseph Ratzinger, pontefice dal 19 aprile 2005: all’indomani della sua elezione, nello sconforto generale delle voci, l’unico contributo che invita all’apertura è quello di Raniero La Valle che chiude il suo intervento così: «La prognosi è aperta, la speranza è possibile», non senza essersi prima ricordato di quel riferimento alla «sporcizia» nella Chiesa, fatto da Ratzinger che poi diventerà un tema importante del suo pontificato e, questo sarà ben chiaro nelle ricostruzioni che verranno, una chiave di volta delle sue storiche dimissioni dell’11 febbraio 2013.

Jorge Mario Bergoglio: eletto il 13 marzo 2013: anche in questo caso, il ventaglio delle voci è ampio, ma ben testimonia della condizione del momento: di fronte al nuovo papa sperare è lecito, illudersi autolesionista. Altro aspetto da considerare è quello relativo alla dialettica ecclesiale tra magistero e dimensione istituzionale da una parte e corpo ecclesiale, non solo costituito da minoranze, dall’altra. Sotto questo profilo, Adista ha avuto un ruolo di informazione alternativa. Richiamo alcuni casi particolarmente significativi.

Il primo vede coinvolta la Congregazione delle suore brigidine. Nel 2003 l’abate del monastero benedettino di Parma, p. Cipriano Carini viene «dimissionato per abuso di accoglienza », avendo accolto nel convento di Torrechiara sei religiose indiane che pur volendo restare tali non volevano permanere nella Congregazione delle brigidine. Adista segue con attenzione e puntualità la vicenda della cosiddetta “tratta delle religiose”. Un altro riguarda le violenze sessuali perpetrate da preti in Africa ai danni di suore, rese noto nel 2001 dal National Catholic Reporter. Tutto questo quando il velo non si era ancora abbastanza sollevato né sugli scandali interni alla Chiesa, né sulla violenza sulle donne.

A caratterizzare l’informazione di Adista vi è poi un’altra componente: la voce concessa a componenti ecclesiali non istituzionali, marginali e dal basso. Adista ha dato spazio alle realtà piccole e liminali, documentando ciò che altrimenti sarebbe stato condannato all’oblio.

Va osservato, sia pure incidentalmente, che la ricchezza di questa documentazione rende l’archivio di Adista una miniera per chiunque si accinga a ricostruire storicamente passaggi significativi di questi 50 anni.

Oltre l’informazione Adista ha svolto un servizio di analisi degli eventi, costituendo una sorta di osservatorio sulle linee evolutive: dove sta andando la Chiesa?

Nei periodi di afasia ecclesiale – penso ad esempio alla lunga stagione ruiniana della Chiesa italiana – si distingue il ruolo di Adista che ha dato la voce e, con la sua stessa esistenza, incoraggiato alla parola coloro che erano sfiduciati. Voglio citare un solo caso: quello del vescovo Nogaro di Caserta. Nel boicottaggio e nel maggiore silenzio possibile sul suo operato, malcelato tentativo di mettergli la sordina, Adista ha puntualmente parlato di lui e lo ha fatto parlare, ne ha ospitato interventi su temi sociali e politici: dall’unità politica dei cristiani, all’immigrazione, alle guerre, alla strage di Nassiriya, con le feroci inimicizie che il vescovo di Caserta si è procurato per il suo deciso e mai addolcito intervento, fino al suo intervento nella discarica dello Uttaro per impedire l’ennesima strage ecologica nel casertano, senza escludere i suoi interventi sulla Chiesa italiana. Il suo è stato un autentico controcanto alla Chiesa ruiniana. Ebbene, la citazione di Nogaro compare in 282 articoli di Adista.

Nogaro, vescovo di Caserta, dunque a tutti gli effetti canonici, ecclesiologici e sacramentali, un uomo dell’istituzione. Se c’è da parlare dei rapporti di Adista con la Chiesa istituzione, è bene allora, che si espliciti e sottolinei anche tale tipo di rapporti – un paradosso di libertà – con questo genere, così diverso, di figure istituzionali.

In conclusione, questi 50 anni dicono innanzitutto una cosa: Adista, nonostante tutto. Adista ben viva dopo 50 anni. Anzi, nel tempo ha registrato una crescita: il fascicolo di Notizie e poi dal 27 novembre 1993 Adista Documenti. Dal 2 marzo 1996: Adista Contesti. Il 6 dicembre 2008, infine, il debutto di Segni nuovi. Quanto ciò sia significativo, ma soprattutto singolare, lo dice il fatto che tante testate, piccole e meno piccole, a volte abbastanza grandi, hanno via via cessato le loro pubblicazioni. 

* Anna Carfora e, sullo sfondo, Valerio Gigante (foto di Giampaolo Petrucci)   

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