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Cinque vescovi contro i vaccini prodotti con feti abortiti

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Dopo alcune imbarazzanti e semplicistiche prese di posizione da parte del mondo cattolico sul tema dell’utilizzo di vaccini prodotti con linee cellulari di feto abortito, con particolare riferimento all’attualità del vaccino anti-COVID un cardinale e quattro vescovi fra cui Mons. Athanasius Schneider tuonano contro l’utilizzo di questi farmaci, dichiarando fermamente che un cattolico non può in alcun modo partecipare, nemmeno in maniera indiretta e remota, al grande crimine contro Dio e contro l’umanità: il Male assoluto dell’aborto.

 

Renovatio 21 offre ai lettori la traduzione di questo importantissimo documento, che consigliamo di leggere fino alla fine. Un vero argine contro la deriva superficiale e a tratti liberale assunta da tanti ambienti in teoria intransigenti, che sono puristi nella liturgia ma incredibilmente permissivi verso ciò che in questo documento è giustamente definito come «cannibalismo bio-medico».

 

Il documento è precedentemente apparso sulla rivista americana Crisis.

La ricerca biomedica che sfrutta i nascituri innocenti e usa i loro corpi come «materia prima» ai fini dei vaccini sembra più simile al cannibalismo che alla medicina.

 

 

 

 Nelle ultime settimane, agenzie di stampa e varie fonti di informazione hanno riferito che, in risposta all’emergenza COVID-19, alcuni Paesi hanno prodotto vaccini utilizzando linee cellulari di feti umani abortiti. 

 

In altri paesi, tali vaccini sono in fase di pianificazione. Un coro crescente di ecclesiastici (conferenze episcopali, singoli vescovi e sacerdoti) ha affermato che, nel caso in cui non fosse disponibile alcun vaccino alternativo che utilizzi componenti eticamente leciti, sarebbe moralmente consentito per i cattolici ricevere vaccini prodotti con linee cellulari di bambini abortiti. 

Nel caso dei vaccini ottenuti da linee cellulari di feti umani abortiti, vediamo una chiara contraddizione tra la dottrina cattolica di rifiutare categoricamente, e senza ombra di dubbio, l’aborto in tutti i casi come un grave male morale che grida vendetta al cielo e la pratica di considerare i vaccini derivati da linee cellulari fetali abortite moralmente accettabili

 

I sostenitori di questa posizione invocano due documenti della Santa Sede: il primo, della Pontificia Accademia per la Vita, si intitola «Riflessioni morali sui vaccini preparati da cellule derivate da feti umani abortiti» ed è stato pubblicato il 9 giugno del 2005; la seconda, un’Istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede, si intitola «Dignitas Personae, su alcune questioni bioetiche», ed è stata pubblicata l’8 settembre del 2008. Entrambi questi documenti consentono l’uso di tali vaccini in casi eccezionali e per un tempo limitato, sulla base di quella che nella teologia morale viene chiamata cooperazione al male materiale, remota e passiva.

 

I suddetti documenti affermano che i cattolici che utilizzano tali vaccini hanno «il dovere di rendere noto il loro disaccordo e di chiedere che il loro sistema sanitario renda disponibili altri tipi di vaccini».

 

Nel caso dei vaccini ottenuti da linee cellulari di feti umani abortiti, vediamo una chiara contraddizione tra la dottrina cattolica di rifiutare categoricamente, e senza ombra di dubbio, l’aborto in tutti i casi come un grave male morale che grida vendetta al cielo (vedi Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2268, n. 2270), e la pratica di considerare i vaccini derivati da linee cellulari fetali abortite moralmente accettabili in casi eccezionali di «urgente bisogno» – per motivi di remota, passiva, cooperazione al male materiale. Sostenere che tali vaccini possono essere moralmente leciti se non ci sono alternative è di per sé contraddittorio e non può essere accettabile per i cattolici.

 

Sostenere che tali vaccini possono essere moralmente leciti se non ci sono alternative è di per sé contraddittorio e non può essere accettabile per i cattolici

Si devono ricordare le seguenti parole di Papa Giovanni Paolo II sulla dignità della vita umana non nata: 

 

«L’inviolabilità della persona, riflesso dell’assoluta inviolabilità di Dio, trova la sua prima e fondamentale espressione nell’inviolabilità della vita umana. Soprattutto, la protesta comune, che giustamente si fa a favore dei diritti umani – ad esempio, il diritto alla salute, alla casa, al lavoro, alla famiglia, alla cultura – è falsa e illusoria se il diritto alla vita, il più basilare diritto fondamentale e condizione per tutti gli altri diritti personali, non è difeso con la massima determinazione» (Christifideles Laici, 38). 

 

L’uso di vaccini prodotti da cellule di bambini non nati e assassinati contraddice una «massima determinazione» a difendere la vita non ancora nata.

 

Giovanni Paolo II: « la protesta comune, che giustamente si fa a favore dei diritti umani – ad esempio, il diritto alla salute, alla casa, al lavoro, alla famiglia, alla cultura – è falsa e illusoria se il diritto alla vita, il più basilare diritto fondamentale e condizione per tutti gli altri diritti personali, non è difeso con la massima determinazione»»

Il principio teologico della cooperazione materiale è certamente valido e può essere applicato a tutta una serie di casi (ad esempio nel pagamento delle tasse, nell’uso di prodotti ricavati dal lavoro in schiavitù, e così via). Tuttavia, questo principio difficilmente può essere applicato al caso dei vaccini ottenuti da linee cellulari fetali, perché coloro che consapevolmente e volontariamente ricevono tali vaccini entrano in una sorta di concatenazione, seppur molto remota, con il processo dell’industria dell’aborto. 

 

Il crimine di aborto è così mostruoso che qualsiasi tipo di concatenazione con questo crimine, anche se molto remoto, è immorale e non può essere accettato in nessuna circostanza da un cattolico una volta che ne sia pienamente consapevole.

 

Chi usa questi vaccini deve rendersi conto che il suo corpo sta beneficiando dei «frutti» (sebbene passi attraverso una serie di processi chimici) di uno dei più grandi crimini dell’umanità. Qualsiasi legame con il processo di aborto, anche il più remoto e implicito, getterà un’ombra sul dovere della Chiesa di rendere ferma testimonianza della verità che l’aborto deve essere completamente rifiutato. I fini non possono mai giustificare i mezzi. 

 

L’uso di vaccini prodotti da cellule di bambini non nati e assassinati contraddice una «massima determinazione» a difendere la vita non ancora nata

Stiamo vivendo uno dei peggiori genocidi conosciuti dall’uomo. Milioni e milioni di bambini in tutto il mondo sono stati massacrati nel grembo della madre e giorno dopo giorno questo genocidio nascosto continua attraverso l’industria dell’aborto, la ricerca biomedica e la tecnologia fetale, e la spinta dei governi e degli organismi internazionali a promuovere tali vaccini come uno degli obiettivi primari. 

 

Adesso non è il momento per i cattolici di cedere; farlo sarebbe gravemente irresponsabile. 

 

L’accettazione di questi vaccini da parte dei cattolici, sulla base del fatto che implicano solo una «cooperazione remota, passiva e materiale» con il male, giocherebbe nelle mani dei nemici della Chiesa e la indebolirebbe come ultima roccaforte contro il male assoluto dell’aborto.

Coloro che consapevolmente e volontariamente ricevono tali vaccini entrano in una sorta di concatenazione, seppur molto remota, con il processo dell’industria dell’aborto

Cos’altro può essere un vaccino derivato da linee cellulari fetali se non una violazione dell’Ordine di Creazione dato da Dio?

 

Poiché si basa su una grave violazione di questo Ordine attraverso l’omicidio di un bambino non ancora nato. Se a questo bambino non fosse stato negato il diritto alla vita, se le sue cellule (che sono state ulteriormente coltivate più volte in laboratorio) non fossero state rese disponibili per la produzione di un vaccino, non potrebbero essere commercializzate.

 

Il crimine di aborto è così mostruoso che qualsiasi tipo di concatenazione con questo crimine, anche se molto remoto, è immorale e non può essere accettato in nessuna circostanza da un cattolico una volta che ne sia pienamente consapevole

Abbiamo quindi qui una doppia violazione del sacro Ordine di Dio: da un lato, attraverso l’aborto stesso, e dall’altro, attraverso l’atroce attività del traffico e della commercializzazione dei resti di bambini abortiti. Tuttavia, questo doppio disprezzo per l’Ordine divino della Creazione non può mai essere giustificato, nemmeno per il motivo di preservare la salute di una persona o di una società attraverso tali vaccini.

 

La nostra società ha creato una religione sostitutiva: la salute è diventata il bene supremo, un dio sostituto a cui si devono offrire sacrifici – in questo caso, attraverso un vaccino basato sulla morte di un’altra vita umana.

 

Nell’esaminare le questioni etiche che circondano i vaccini, dobbiamo chiederci: come e perché tutto questo è diventato possibile? Non c’era davvero alternativa? Perché la tecnologia basata sull’omicidio è emersa in medicina, il cui scopo è invece portare vita e salute?

 

Chi usa questi vaccini deve rendersi conto che il suo corpo sta beneficiando dei «frutti»  di uno dei più grandi crimini dell’umanità

La ricerca biomedica che sfrutta i nascituri innocenti e usa i loro corpi come «materia prima» ai fini dei vaccini sembra più simile al cannibalismo che alla medicina.

 

Dobbiamo anche considerare che, per alcuni nell’industria biomedica, le linee cellulari dei bambini non ancora nati sono un «prodotto», l’abortista e il produttore del vaccino sono il «fornitore» e i destinatari del vaccino sono i «consumatori».

 

Stiamo vivendo uno dei peggiori genocidi conosciuti dall’uomo. Milioni e milioni di bambini in tutto il mondo sono stati massacrati nel grembo della madre e giorno dopo giorno questo genocidio nascosto continua attraverso l’industria dell’aborto, la ricerca biomedica e la tecnologia fetale, e la spinta dei governi e degli organismi internazionali a promuovere tali vaccini come uno degli obiettivi primari. 

La tecnologia basata sull’omicidio è radicata nella disperazione e finisce nella disperazione. Dobbiamo resistere al mito secondo il quale «non ci sono alternative». Al contrario, dobbiamo procedere con la speranza e la convinzione che le alternative esistono e che l’ingegno umano, con l’aiuto di Dio, le possa scoprire. Questo è l’unico modo per passare dall’oscurità alla luce e dalla morte alla vita.

 

Il Signore ha detto che alla fine dei tempi anche gli eletti saranno sedotti (cfr Mc 13:22). Oggi, l’intera Chiesa e tutti i fedeli cattolici devono cercare urgentemente di essere rafforzati nella dottrina e nella pratica della fede.

 

Nell’affrontare il male dell’aborto, i cattolici devono più che mai «astenersi da ogni apparenza di male» (1 Tessalonicesi 5:22).

 

La salute fisica non è un valore assoluto. L’obbedienza alla legge di Dio e la salvezza eterna delle anime devono avere il primato.

 

I vaccini derivati dalle cellule di bambini non nati crudelmente assassinati hanno un carattere chiaramente apocalittico e possono presagire il marchio della bestia (vedere Apocalisse 13:16).

La tecnologia basata sull’omicidio è radicata nella disperazione e finisce nella disperazione

 

Alcuni ecclesiastici dei nostri giorni rassicurano i fedeli affermando che ricevere un vaccino COVID-19 derivato dalle linee cellulari di un bambino abortito è moralmente lecito se non è disponibile un’alternativa. Giustificano la loro affermazione sulla base della «cooperazione materiale e remota» con il Male. 

 

Tali affermazioni sono estremamente anti-pastorali e controproducenti, soprattutto se si considera il carattere sempre più apocalittico dell’industria dell’aborto e la natura disumana di alcune ricerche biomediche e tecnologie embrionali.

 

I vaccini derivati dalle cellule di bambini non nati crudelmente assassinati hanno un carattere chiaramente apocalittico e possono presagire il marchio della bestia (vedere Apocalisse 13:16)

Ora più che mai, i cattolici non possono categoricamente incoraggiare e promuovere il peccato dell’aborto, nemmeno il minimo, accettando questi vaccini. Pertanto, come Successori degli Apostoli e Pastori responsabili della salvezza eterna delle anime, riteniamo impossibile tacere e mantenere un atteggiamento ambiguo riguardo al nostro dovere di resistere con «massima determinazione» (Papa Giovanni Paolo II) contro «l’indicibile crimine dell’aborto» (Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes, 51). 

 

Questa dichiarazione è stata scritta su consiglio e consiglio di medici e scienziati di vari paesi. Un contributo sostanziale è arrivato anche dai laici: da nonne, nonni, padri e madri di famiglia, e dai giovani. Tutti i  soggetti consultati – indipendentemente dall’età, dalla nazionalità e dalla professione – hanno respinto all’unanimità e quasi istintivamente l’idea di un vaccino derivato dalle linee cellulari dei bambini abortiti. Inoltre, hanno ritenuto debole e inadeguata la giustificazione offerta per l’utilizzo di tali vaccini (ovvero «cooperazione materiale a distanza di tanto tempo»).

Abbiamo più che mai bisogno dello spirito dei confessori e dei martiri che evitino il minimo sospetto di collaborazione con il male della loro epoca

 

Ciò è confortante e, allo stesso tempo, molto rivelatore: la loro unanime risposta è un’ulteriore dimostrazione della forza della ragione e del sensus fidei.

 

Abbiamo più che mai bisogno dello spirito dei confessori e dei martiri che evitino il minimo sospetto di collaborazione con il male della loro epoca

 

«Siate semplici come figli di Dio senza rimprovero in mezzo a una generazione depravata e perversa, nella quale dovete risplendere come luce nel mondo» (Fil. 2, 15)

La Parola di Dio dice: «Siate semplici come figli di Dio senza rimprovero in mezzo a una generazione depravata e perversa, nella quale dovete risplendere come luce nel mondo» (Fil. 2, 15). 

 

 

12 dicembre 2020, Memoria della Beata Vergine Maria di Guadalupe

 

 

Cardinale Janis Pujats, arcivescovo metropolita emerito di Riga

+ Tomash Peta, arcivescovo metropolita dell’arcidiocesi di Santa Maria ad Astana

+ Jan Pawel Lenga, arcivescovo / vescovo emerito di Karaganda

+ Joseph E. Strickland, Vescovo di Tyler (USA)

+ Athanasius Schneider, vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Santa Maria ad Astana

 

 

 

 

 

 

 

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Cantone Svizzero, chiesta la revoca del concordato con il Vaticano

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Il cantone di Zugo è uno dei ventisei cantoni svizzeri, il più piccolo per superficie, ad eccezione dei due semicantoni di Appenzello Interno e Basilea-Città, ma che occupa il primo posto per ricchezza, perché svolge il ruolo di un paradiso fiscale all’interno della Confederazione.

 

Al Consiglio cantonale – il parlamento cantonale – è stata proposta una mozione parlamentare volta ad abrogare il concordato del 1828 con la Santa Sede, per ragioni finanziarie. La proposta è stata avanzata da tre deputati appartenenti rispettivamente ai Verdi, al Partito socialista e ai Verdi liberali, i tre partiti con il minor numero di deputati in questo Consiglio.

 

Il concordato del 1828

Bisogna innanzitutto ricordare – per chi non è svizzero – che la Svizzera è una Confederazione e che ogni Cantone è uno Stato, certo limitato nelle sue prerogative, ma che ha la capacità di firmare un trattato internazionale come un concordato. Inoltre la Costituzione svizzera risale al 1848 e quindi è successiva al concordato di Zugo.

 

Questo concordato fu stipulato tra la Santa Sede e i cantoni di Soletta, Lucerna, Berna – l’attuale Canton Giura – e Zugo. Ha definito il nuovo territorio della diocesi di Basilea riunendo le parrocchie di questi quattro cantoni. Il trattato prevede che il cantone di Zugo – che qui ci riguarda – si faccia carico degli emolumenti di un canonico residente e di un contributo diretto al vescovado di Basilea.

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Una preoccupazione per l’imparzialità?

La motivazione addotta dai parlamentari è la diminuzione del numero dei cattolici: «abbiamo una tradizione cattolica nel cantone di Zugo, ma non è accettabile che il contribuente paghi lo stipendio del canonico e del vescovo», ha dichiarato Luzian Franzini (Verdi).

 

Soprattutto, spiega, il 57% della popolazione non è più cattolico. La mozione rileva quindi che il finanziamento del vescovo e del canonico con fondi pubblici è «sempre più anacronistico».

 

Infine, gli autori della mozione criticano il fatto che la diocesi di Basilea non è stata sufficientemente «riformata» (?) e che il suo attuale vescovo, mons. Félix Gmür, ha commesso degli errori riguardo alle procedure di abuso.

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Una mozione che non ha alcuna possibilità di successo

Questa mozione dovrà però passare attraverso diverse prove: prima il voto del Parlamento per essere trasmessa al governo. Tuttavia i partiti di maggioranza (Centro, UDC, PLR) probabilmente non sono pronti a farlo. Ma non si sa mai…

 

Dire poi che il 57% della popolazione cantonale non è più cattolica è un modo per dire che il 43% degli zughesi professa la fede cattolica e paga le corrispondenti tasse ecclesiastiche. Non è quindi davvero anormale che gli emolumenti del canonico e del vescovo di Basilea siano pagati con le tasse della maggioranza dei cattolici.

 

Infine, i parlamentari che hanno presentato tale mozione dovrebbero sapere che un concordato è un trattato internazionale che non può essere denunciato unilateralmente. La violazione di un simile trattato è considerata una violazione della legge più elementare. Per non parlare delle considerazioni finali che giudicano il modo in cui la Chiesa di Basilea è guidata dal suo vescovo.

 

In definitiva, questa mozione è una pessima manovra politica che rivela solo l’antagonismo degli autori nei confronti della Chiesa e un desiderio di danneggiarla che non li onora.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Immagine di Ella via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial 2.0 Generic

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La «Dignitas infinita» promuove una dignità non ben definita

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L’8 aprile 2024 il Dicastero per la Dottrina della Fede (DDF) ha pubblicato la Dichiarazione Dignitas infinita sulla dignità umana, approvata da Papa Francesco il 25 marzo.   La prima parte del documento presenta la «progressiva consapevolezza della centralità della dignità umana». La seconda parte afferma che «la Chiesa annuncia, promuove e garantisce la dignità umana». La terza parte considera la dignità come «fondamento dei diritti e dei doveri umani».   Infine, l’ultima parte denuncia «alcune gravi violazioni della dignità umana»: teoria di genere, cambiamento di sesso, maternità surrogata, aborto, eutanasia e suicidio assistito…

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Una nozione squilibrata della dignità umana

Purtroppo, come rileva il sito della Fraternità San Pio X, FSSPX.Attualità del 10 aprile: «la dichiarazione riprende, e la aggrava, la nozione disallineata o squilibrata della dignità umana che era al centro del Concilio Vaticano II, affermata nella Dichiarazione sulla libertà religiosa (Dignitatis humanae)».   «Il Concilio ha parlato della dignità posseduta da “tutti gli uomini, perché sono persone, cioè dotati di ragione e di libera volontà”, dignità chiamata “ontologica”. Su questa dignità ontologica il Concilio ha fondato la libertà religiosa, che porta a una relativizzazione della fede cattolica riconoscendo un “diritto all’errore” in materia religiosa. Diritto “negativo”, ma pur sempre legge».   FSSPX.Attualità rileva «l’aggravamento di questa dottrina con l’uso del termine “infinito” associato alla dignità ontologica, che non è più nemmeno una deviazione, ma un’aberrazione. Solo Dio è infinito».   E ricorda: «l’anima umana, creata direttamente da Dio, è da Lui unita ad un corpo: esercita quindi un duplice ruolo. Essa conferisce innanzitutto la natura umana all’individuo creato, che è quindi persona, secondo la celebre definizione di Boezio, citata nella nota 17 del documento. L’anima è così la fonte della dignità ontologica, che è dunque la stessa per tutti gli esseri umani».   «In secondo luogo, l’anima è il principio dell’azione umana attraverso le sue facoltà: intelligenza e volontà. Questa azione costituisce l’ambito morale. Quando gli atti umani ci permettono di far fiorire la nostra umanità, indirizzandoci verso il nostro fine che è Dio, si caratterizzano come “buoni”. Quando, al contrario, ce ne allontanano, questi sono atti “cattivi”».   «La dignità morale della persona dipende quindi dal suo agire: l’uomo che fa il bene per raggiungere il suo fine ultimo ha una dignità tanto maggiore quanto più ricerca questo fine. Ma chi si allontana dal suo fine e fa il male cade da questa dignità: se ne spoglia».

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Una visione naturalista dell’uomo

In uno studio pubblicato in due parti su Réinformation.tv, l’8 e il 9 aprile, Jeanne Smits denuncia «una visione naturalista dell’uomo», contenuta nel documento romano.   Così, scrive, «la Dignitas infinita, ignorando deliberatamente la natura ferita dell’uomo, basando tutto sul valore della persona, eliminando il bisogno della grazia, nonostante alcune affermazioni contrarie, si colloca generalmente nella sfera dell’utopia orizzontale. Ma questa dichiarazione piacerà senza dubbio a coloro che vi troveranno la condanna di certi eccessi dei tempi».   Più avanti, il giornalista francese cita padre Victor Berto, lui stesso citato da padre Bertrand Labouche nel bollettino del convento di Nantes, L’Hermine (n°46, giugno-luglio 2015). Il teologo privato di mons. Marcel Lefebvre al Concilio Vaticano II scrisse sulla Dignitatis humanæ, all’epoca ancora sotto forma di schema:   «La dignità umana adeguatamente considerata richiede che si tenga conto dei suoi atti. L’ignorante e l’uomo colto non hanno la stessa dignità; e soprattutto, la dignità non è uguale in chi aderisce alla verità e in chi aderisce all’errore, in chi vuole il bene e in chi vuole il male».   «I redattori, che hanno costruito tutto il loro schema su una nozione inadeguata della dignità della persona umana, hanno già presentato con questo un’opera deformata e di straordinaria irrealtà; infatti, che ci piaccia o no, esistono, tra le persone umane adeguatamente considerate, immense differenze di dignità».   «E questo è tanto più vero per quanto riguarda lo schema sulla libertà religiosa; perché evidentemente la libertà religiosa si adatta alla persona non secondo la sua dignità radicale, ma secondo la sua dignità operativa, e quindi la libertà non può essere la stessa nel bambino e nell’adulto, nello stolto e nella mente penetrante, nell’ignorante e nell’uomo colto, in uno posseduto del demonio e in quelli ispirati dallo Spirito Santo, etc.»   «Ora questa dignità, che chiamiamo operativa, non appartiene all’essere fisico, ma riguarda, è ovvio, l’ordine intenzionale. La negligenza di questo elemento intenzionale, cioè la scienza e la virtù, è nello schema un errore molto grave».   In Lo hanno detronizzato, Mons. Lefebvre afferma della dichiarazione conciliare Dignitatis humanæ: «la dignità umana radicale è sì quella di una natura intelligente, capace quindi di scelta personale, ma la sua dignità terminale consiste nell’aderire “in atto” alla verità e al bene».   «È questa dignità terminale che merita a ogni persona la libertà morale (la capacità di agire) e la libertà (la capacità di non essere impedito di agire). Ma nella misura in cui l’uomo aderisce all’errore o si lega al male, perde la sua dignità terminale o non la raggiunge, e su di essa non si può fondare nulla! […]»   «Parlando delle false libertà moderne, Leone XIII scrive nell’Immortale Dei: “se l’intelligenza aderisce a false idee, se la volontà sceglie il male e ad esso si lega, nessuna delle due raggiunge la perfezione, entrambe cadono dalla loro originaria dignità e si corrompono”».   Jeanne Smits conclude il suo studio in questi termini: «basando tutto sulla “dignità infinita dell’uomo”, essendo creato e quindi dipendente da Dio, che solo possiede dignità infinita, la dichiarazione (romana) ipertrofizza il creato in relazione al Creatore; il culto e il servizio a Lui dovuti passano in secondo piano, impantanati da qualche parte nella palude della “libertà religiosa”».   «[Dignitas infinita] Esalta l’uomo al punto da facilitarne il culto, in attesa che il giusto stupore di fronte alla creazione conduca questo pensiero all’oblio di Dio e al panteismo, una spiritualità globale che già si delinea in modo sempre più preciso. In ogni caso essa non li contraddice, omettendo di ricordare che senza la grazia, l’uomo nella sua condizione decaduta è in uno stato di sottomissione al male».

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Dignitas infinita e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite

In modo meno teologico e più politico, il blog argentino The Wanderer dell’11 aprile rileva un’altra incongruenza nella Dignitas infinita, vale a dire «l’insistenza nel collegare la dignità dell’uomo alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948. Infatti, questo documento delle Nazioni Unite è menzionato 26 volte».   «La tesi del cardinale Fernández è che se la questione della dignità umana è sempre stata difesa dalla Chiesa, è proprio con la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo che essa raggiunge il suo splendore […]»   «Si scopre quindi che una dichiarazione costituzionalmente atea, come la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, che non menziona mai Dio, e alla quale la Chiesa ha ufficialmente resistito, diventa con il nuovo pontificato di Francesco la pietra angolare di una parte importante del suo magistero […]»   «Dice il documento romano: “in tal orizzonte, la sua enciclica Fratelli tutti costituisce già una sorta di Magna Charta dei compiti odierni volti a salvaguardare e promuovere la dignità umana’ (n. 6). Dimenticato il De opificio hominis di san Gregorio di Nissa, e l’Agnosce, o christiane, dignitatem tuam della predica della Natività di san Leone Magno».   «La Magna Charta sulla dignità dell’uomo non è data dai Padri e dalla Tradizione della Chiesa, ma da… Fratelli tutti di Papa Bergoglio! Sembra uno scherzo». Scherzo sinistro.   Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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In corso la beatificazione del missionario che fondò i cistercensi in Vietnam

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Chiusa a Roma la fase diocesana del processo di beatificazione del sacerdote francese che nella diocesi di Hue diede vita nel 1918 al monastero di Nostra Signora di Phuoc Son. Un’esperienza che oggi conta centinaia di monaci in Vietnam.

 

«Un momento di festa per tutta la Chiesa», a Roma come in Vietnam. Così oggi nel Palazzo Lateranense il vicegerente della diocesi di Roma, mons. Baldassare Reina, ha definito la sessione di chiusura della fase diocesana del processo di beatificazione di padre Benoit Thuan, al secolo Henri François Denis (1880-1933), missionario francese in Vietnam dal 1903 e fondatore nel 1918 della prima comunità monastica maschile del Paese, il monastero di Nostra Signora di Annam a Phuoc Son, nell’arcidiocesi di Hue.

 

Come prevedono le procedure canoniche gli atti dell’inchiesta sulla santità di questo servo di Dio tuttora veneratissimo in Vietnam sono stati sigillati per essere trasmessi al dicastero per le Cause dei santi, in una cerimonia a cui erano presenti anche dom Mauro Giuseppe Lepori, abate generale dell’ordine cistercense, e don Giovanni XXIII, l’abate presidente della Congregazione cistercense della Sacra Famiglia, il ramo fondato in Vietnam da padre Benoit Thuan.

 

Nativo di Boulogne-sur-Mere, in Francia, padre Henri François Denis fu ordinato sacerdote per le Mission Etrangeres de Paris il 7 marzo 1903. Partito pochi mesi dopo per il Vietnam fu destinato alla missione di Hue, dove assunse il nome «Thuan», che in vietnamita significa obbedienza. Si nella cultura locale ponendosi davanti alle persone che incontrava non con uno stile di superiorità ma di servizio. Finché in questo suo apostolato missionario avvertì forte però la chiamata a testimoniare il Vangelo con uno stile monastico. Così nel 1918 – in accordo con il suo vescovo e ottenuta il permesso da Propaganda Fide – diede vita in estrema povertà e inizialmente con un solo compagno al monastero di Nostra Signora di Annam.

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«Al tempo – ha ricordato mons. Reina – in Vietnam vi erano solo i due monasteri femminili che il Carmelo di Lisieux aveva fondato a Saigon e Hanoi. Ed è significativa una lettera che il 2 dicembre 1922, madre Agnese di Gesù – la sorella di santa Teresa di Lisieux che appena l’anno prima era stata dichiarata venerabile dalla Chiesa – scrisse a padre Benoit, ricordando il desiderio della grande carmelitana di partire per il Vietnam e indicandola come l’”angelo custode” di quella nuova comunità monastica maschile».

 

I monaci iniziarono subito a coltivare il riso come i contadini poveri del Vietnam. E nonostante la durezza di quella vita (uno dei primi novizi morì sbranato da una tigre), quell’ideale attrasse subito decine di giovani. Ed è un seme che – nonostante la storia estremamente dolora vissuta dal Vietnam nel Novecento – continua a fiorire ancora oggi, con centinaia di monaci in cinque comunità cistercensi in diverse zone del Paese.

 

Padre Benoit Thuan morì il 25 luglio 1933. Due anni dopo il suo grande desiderio di vedere accogliere la sua comunità religiosa nella famiglia cistercense sarebbe stato accolto.

 

A quasi un secolo di distanza l’abate Lepori ha sottolineato nella cerimonia di oggi la forza tuttora «profetica di questo missionario fattosi monaco per andare al fondo della sua missione». «Padre Benoit – ha aggiunto – aveva capito che non basta portare l’annuncio di Cristo redentore fino ai confini geografici della terra; è necessario spingerlo fino agli estremi confini dei cuori. Là dove ogni uomo giace abbandonato in una vita senza senso se non incontra Gesù Cristo».

 

«Per promuovere un rinnovamento monastico e missionario nella Chiesa – ha concluso – più che di parole abbiamo bisogno di queste figure che hanno saputo affrontare il bisogno di Cristo del loro tempo con fedeltà creatrice».

 

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