Ratzinger e il dossier sulla pedofilia, sul rapporto l’ombra delle tensioni tra «le Chiese» dei due Pontefici

di Massimo Franco

L’indaginecondotta su impulso di Reinhard Marx, uno dei membri del consiglio cardinalizio che assiste papa Francesco, esponente di punta dell’ala progressista ostile a Ratzinger. Ma entrambi non sono riusciti a sradicare il fenomeno

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In apparenza, la quiete del monastero dove Joseph Ratzinger si è ritirato dal maggio del 2013, dopo la rinuncia, è quella di sempre. Dietro il cancello elettrico che protegge la privacy del luogo più misterioso e inaccessibile dei Giardini Vaticani, il Papa emerito continua la sua vita di sempre assistito da quattro donne consacrate, le Memores, e dall’arcivescovo Georg Gänswein, suo segretario particolare e prefetto della Casa pontificia. Ma da qualche giorno, in realtà, quella quiete si è incrinata.

Le notizie arrivate dalla Germania su alcuni vecchi casi di pedofilia hanno colto Benedetto di sorpresa; e in un momento di debolezza, mentre ormai fatica a parlare ed esce sempre più di rado per le piccole passeggiate che era abituato a fare vicino alla Fontana dell’Aquilone. Esiste un rapporto di circa mille pagine che riguarda abusi che sarebbero stati commessi nella diocesi di Monaco di Baviera tra il 1945 e il 2019. E quattrocento pagine riguarderebbero il periodo in cui Ratzinger era arcivescovo della città, dal 1977 al 1982. Ma il Papa emerito non le ha ancora ricevute.

La memoria difensiva preparata dalla squadra degli avvocati sarebbe lunga più di ottanta pagine. E, da quanto filtra dal monastero, le risposte dovrebbero togliere qualsiasi ombra sulle responsabilità di Benedetto XVI. Dovrebbero, perché in realtà, analizzando alcune delle domande poste dagli autori, la cerchia del Papa emerito ha intravisto almeno «l’intenzione» di additare responsabilità e colpe. L’indagine è stata condotta su impulso di Reinhard Marx, attuale arcivescovo di Monaco: uno dei membri del consiglio cardinalizio che assiste papa Francesco, esponente di punta dell’ala progressista ostile a Ratzinger.

E questo rischia di proiettare nuove ombre sul Vaticano. Rimanda alle lacerazioni che si registrano da anni nell’episcopato tedesco tra «ortodossi» e «liberali», pur con tutta l’approssimazione che i due termini evocano. Si sono manifestate sui rapporti con la comunità omosessuale; sulla possibilità di abolire il celibato dei preti; sul sacerdozio femminile. Quando alla fine del 2019 si è tenuto a Roma il controverso Sinodo sull’Amazzonia, la vera regìa culturale e finanziaria è stata attribuita dai cattolici tradizionalisti non tanto ai vescovi brasiliani, ma al filone progressista della Chiesa tedesca.

E all’inizio del 2020, provocò uno sconquasso l’altolà al celibato sacerdotale che Benedetto diede in un saggio contenuto in un libro del cardinale tradizionalista Robert Sarah: un pasticcio editoriale che suonò come critica al successore. Ora, anche sul rapporto da Monaco si adombra una spaccatura interna. L’ex prefetto per la Dottrina della Fede, il cardinale Gerhard Müller, ma non solo, vede in quanto accade «l’ennesima ondata globale di fango contro la Chiesa per fatti che risalgono a quarant’anni fa», sostiene. «Temo che dietro possa esserci anche l’ala della Chiesa tedesca che, non potendo colpire Benedetto sul piano dottrinale, lo fa in altro modo».

Può darsi, ma in realtà lo stesso Marx è sospettato nel rapporto di essersi comportato in modo scorretto in un paio di casi. L’effetto è comunque devastante: soprattutto perché lambisce il Papa emerito che per primo capì quanto l’opinione pubblica mondiale, e in particolare occidentale, non avrebbe più tollerato il crimine della pedofilia dopo la fine della Guerra fredda. Da cardinale e poi da Papa sfidò con durezza la «cultura del segreto», scontrandosi con gli ambienti più retrivi e compromessi della Curia e della diplomazia vaticana.

Nel settembre del 2018, monsignor Gänswein parlò della pedofilia come dell’«11 settembre della Chiesa cattolica», riferendosi agli attentati di Al Qaeda alle Torri gemelle di New York. E nell’aprile del 2019, Ratzinger pubblicò dopo il vertice mondiale sulla pedofilia voluto da Francesco a Roma diciotto pagine di «Appunti» contro il «collasso morale» della Chiesa. L’inchiesta in Germania sembra oscurare tutto questo. Comunque, proietta una lama di ambiguità sul modo in cui Benedetto ha agito. Ripropone la maledizione di uno «scandalo infinito» del quale, prima o poi, i vertici della Chiesa sono chiamati a rispondere anche dopo decenni.

È una conseguenza dell’incapacità di elaborare una strategia che prevenga le accuse, e dimostri la volontà di voltare pagina. Su questo, né il papato di Francesco né quello di Benedetto XVI sono riusciti a mostrare veri progressi. La Chiesa si ritrova, di nuovo, «imputata globale»: perfino con Ratzinger costretto a difendersi da accuse infamanti. Sarà interessante vedere se la vicenda permetterà di andare oltre «il senso di vergogna e il rimorso per gli abusi sui minori commessi da chierici», come ha detto ieri un portavoce della Santa Sede. Oppure se diventerà solo un pretesto per usare gli scandali della pedofilia come munizioni per il prossimo Conclave.

21 gennaio 2022 (modifica il 21 gennaio 2022 | 07:43)