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IL CONFRONTO

Pachamama vs Morenita: è Maria a condurre al vero Dio

Di fronte alle statuette indigene portate in processione in Vaticano e oggetto di un rito con tanto di persone prostrate, la scusa dell’inculturazione non regge. A ribadirlo è la storia della Madonna di Guadalupe, che non apparì in Messico per confermare gli indigeni nei loro falsi culti, ma domandò la costruzione di una chiesa e servendosi del loro linguaggio simbolico annunciò loro Gesù Cristo. Esortandoli a convertirsi all’unica e vera fede.

Ecclesia 02_11_2019

Le statuine rappresentano la Pachamama, sì o no? Chissà se un giorno lo capiremo, viste le continue contraddizioni giunte dal Vaticano (clicca qui). Quello che è chiaro è che le tre “statuine” di certo non rappresentano la Vergine Maria, che porta in grembo il Figlio di Dio; almeno su questo punto convergono i balbettamenti della Sala Stampa vaticana, la dichiarazione di María del Mar Bosch (una responsabile dell’Equipe Itinerante) e le scuse presentate da papa Francesco. Ed è proprio questo il problema.

La presenza di statue indigene che rappresentano delle donne gravide, statue che vengono portate in processione, poste al centro di un rito e di fronte alle quali ci si prostra, statue che vengono poste in una chiesa cattolica e di fronte alle quali si prega, non possono essere giustificate con la scusa dell’inculturazione. Un conto è recuperare elementi di culture indigene per condurre i popoli all’adorazione del vero Dio, un Dio che non è sconosciuto, ma che si è rivelato e incarnato; e un altro è continuare a venerare ciò che questo Dio non è.

La direzione di ogni missione è stata riassunta da san Paolo, allorché ad Atene si imbatté in un’ara con l’iscrizione: “Al Dio ignoto”; «Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio» (At 17, 23): ciò che gli uomini non conoscono, o ciò che gli uomini conoscono in modo distorto, noi abbiamo il dovere di annunciarlo. Il culto verso le tre statuine della Pachamama va invece nella direzione opposta: noi non vi annunciamo un bel niente, ma vi lasciamo nella vostra ignoranza.

A dimostrare che non sia questa la vera strada missionaria, e a indicare, di converso, la giusta direzione, è un evento che ha segnato la storia della Chiesa: l’apparizione della Madonna di Guadalupe, nei giorni che vanno dal 9 al 12 dicembre del 1531.

La Santissima Vergine decide di apparire sulla collina del Tepeyac, dove in epoca precolombiana sorgeva un tempio dedicato alla dea azteca Tonantzin, nome che significa “nostra venerata madre” o, secondo altri, “nostra cara Terra”, una divinità femminile che sembra legata al parto, alla fecondità della terra (e forse anche alla guerra), come in tanti altri culti pagani. La Madonna apparve proprio lì, tant’è vero che molti indios finirono per chiamarla “Tonantzin Guadalupe”. Un’autorizzazione di sincretismo da parte del Cielo? Esattamente il contrario. La Madonna non chiese di rispettare il culto a Tonantzin o di ricostruire il tempio distrutto dagli spagnoli, ma domandò a Juan Diego che sul Tepeyac venisse costruita una chiesa.

Il segno che la Madonna decide di lasciare sulla tilma di Juan Diego e che il vescovo Juan de Zumárraga si trovò di fronte è un chiarissimo kerygma codificato; in questa immagine, che le analisi hanno mostrato non essere un dipinto (i tratti dell’immagine non provengono dall’esterno, come per un normale dipinto, ma appaiono come impresse, incorporate nella tela), abbiamo l’annuncio dell’unico Dio, della sua Incarnazione e della divina maternità di Maria Santissima.

Prima di tutto, nell’immagine la Vergine appare rivestita di Sole, come la Donna dell’Apocalisse, e il Sole emana in qualche modo proprio da Lei. Questa indicazione dovette apparire sconvolgente nel contesto della religiosità azteca, che era incentrata sui sacrifici umani a Huitzilopochtli, dio del Sole e della guerra. La Donna raffigurata sul manto aveva dunque una “stretta relazione” con questo dio, che, secondo la mitologia, sarebbe nato da una donna, Coatlicue, fecondata non da un uomo, ma da una piuma. Coatlicue venne perseguitata a morte, ma la nascita improvvisa di Huitzilopochtli la salvò, facendo strage dei suoi persecutori.

Ora, nell’immagine impressa sulla tilma, la Vergine appare incinta, caratteristica indicata dalla cintura scura intorno ai fianchi, che veniva portata dalle donne messicane mentre erano gravide. Colui che è racchiuso nel suo grembo viene indicato da un fiore particolare, che si trova sull’abito della Madonna, proprio all’altezza del ventre; si tratta di un fiore che rappresenta il globo dell’universo, caratterizzato da un cerchio centrale e da quattro petali, che rappresentano i quattro punti cardinali. Dunque, questa Donna porta in sé il Signore dell’universo e lo irradia. Ma ella non è solo gravida, ma anche vergine, come indicano i capelli neri sciolti, che si scorgono sotto il velo, come usavano le donne indios non sposate.

Un’altra caratteristica incredibile è la disposizione delle stelle che trapuntano il manto della Madonna. Esse sono collocate nella posizione che le stelle avevano nel giorno del 12 dicembre del 1531, ma non come se le vedesse un osservatore terrestre, bensì come le avrebbe potute osservare qualcuno posto al di sopra della volta celeste, insomma, dal punto di vista di Dio. Infine, la Luna è posta sotto i piedi della Vergine Madre, ancora una volta come espresso nell’Apocalisse. Alcuni interpretano questo dettaglio come l’espressione del fatto che questa Donna è regina del Messico (Mexico, significa infatti “ombelico della Luna” o “centro della Luna”); secondo altri, è invece il segno del dominio sulla divinità lunare, sempre pronta a insidiare Huitzilopochtli, il dio del Sole. Dunque questa divinità delle tenebre è definitivamente dominata, e così non c’è più bisogno di nutrire il dio del Sole e della guerra con continui sacrifici umani.

Le potenze naturali venerate come divinità venivano così detronizzate, i miti purificati e il vero Dio annunciato, per mezzo di Maria Santissima. Le tenebre dell’antica idolatria venivano illuminate dalla potente rivelazione del Sole che sorge, Gesù Cristo. La “strategia” pastorale della Vergine di Guadalupe fu sì quella di adottare il linguaggio simbolico e mitologico autoctono, ma non perché quei popoli continuassero a venerare gli elementi della natura, a rimanere nell’ignoranza o perfino a perpetuare i sacrifici umani, bensì perché adorassero l’unico vero Dio, che ha mostrato il suo volto proprio nell’Incarnazione. Quel Dio che voi non conoscete, io ve lo annuncio e ve lo porto: è questo il messaggio codificato sulla tilma.

La Madonna non è apparsa in Messico per confermare il popolo indigeno nei suoi falsi culti, ma per chiamarli ad abbracciare l’unica vera fede. Possiamo dire la stessa cosa delle tre statue portate nella Basilica di San Pietro e poi nella chiesa di Santa Maria in Transpontina, perché si potesse pregare al loro cospetto?

Un ultimo dettaglio: il volto della Madonna di Guadalupe non è un volto indigeno né tantomeno spagnolo, ma è un volto meticcio, un volto che ancora non era presente nel Messico del Cinquecento, o almeno non in modo diffuso. La Virgen Morenita vuole esprimere l’incontro di due mondi, quel nuovo popolo che sarebbe nato dalla fusione dei popoli messicani indigeni con i “conquistatori” spagnoli e che avrebbe avuto il suo centro di unità nella fede cattolica. La Madonna non aveva portato un messaggio di rivendicazione sociale; non ha invitato il popolo messicano alla rivolta contro l’invasore, reo di voler imporre una religione e una cultura diversa da quella indigena. Al contrario, essa si è posta a fianco dell’opera evangelizzatrice della Chiesa e ha condotto i popoli ad entrare nell’unica vera Chiesa, voluta da suo Figlio, dove i due diventeranno un solo popolo, col volto simile a quello della Morenita.