Il Concilio vaticano II «noi rifiutiamo di accettarlo come un concilio simile agli altri», «ne mettiamo in discussione l’autorità», purtroppo «non è mai stato rettificato né corretto dall’autorità competente» ma «veicola uno spirito, una dottrina, un modo di concepire la Chiesa che costituiscono un ostacolo alla santificazione delle anime e i cui risultati drammatici sono sotto gli occhi di tutti gli uomini intellettualmente onesti, di tutte le persone di buona volontà». Lo afferma, nella prima intervista dopo la sua elezione avvenuta a luglio scorso il nuovo superiore dei lefebvriani, l’italiano Davide Pagliarani. Che del suo predecessore dice: «Detesto in maniera irrimediabile tutti i mezzi elettronici, senza eccezione e senza possibilità di cambiare opinione, mentre Mons. Fellay è un esperto in materia…».

 

«Fin dalle discussioni dottrinali con i teologi romani», spiega il Superiore generale della Fraternità San Pio X nell’intervista pubblicata dal sito ufficiale dei lefebvriani alla vigilia della canonizzazione di Paolo VI, «possiamo dire che davanti a noi abbiamo due canali di comunicazione, due tipi di relazione su dei piani che bisogna distinguere attentamente: un canale pubblico, ufficiale, chiaro, che ci impone sempre delle dichiarazioni con – sostanzialmente – gli stessi contenuti dottrinali; un altro canale, proveniente ora da questo ora da quell’altro membro della curia, con interessanti scambi privati, che contengono nuovi elementi sul valore relativo del Concilio, su questo o quell’altro punto di dottrina… Sono discussioni inedite e interessanti, sicuramente da continuare, ma che restano comunque informali, ufficiose, private, mentre sul piano ufficiale – nonostante una certa evoluzione del linguaggio – le esigenze che vengono ribadite sono sempre le stesse. Certamente prendiamo atto con piacere di ciò che di positivo viene detto in privato, ma – precisa don Pagliarani – lì non è veramente Roma a parlare: sono dei Nicodemo benevoli e timidi, non la gerarchia ufficiale. Bisogna quindi attenersi strettamente ai documenti ufficiali, e spiegare perché non li possiamo accettare. Gli ultimi documenti ufficiali – per esempio, la lettera del cardinal Mueller di giugno 2017 – manifestano sempre la stessa esigenza: prima bisogna accettare il Concilio, poi sarà possibile continuare a discutere su ciò che per la Fraternità non è chiaro; così facendo, le nostre obiezioni vengono ridotte a mere difficoltà soggettive di lettura e di comprensione, e ci viene promesso l’aiuto per comprendere bene ciò che realmente il Concilio voleva dire. Le autorità romane fanno di questa accettazione previa una questione di fede e di principio; lo dicono esplicitamente. Le loro esigenze oggi sono le stesse di trent’anni fa. Il Concilio Vaticano II va accettato nella continuità della tradizione ecclesiale, come parte integrante di questa tradizione. Alla Fraternità viene concesso di avere delle riserve che meritano una spiegazione, ma in nessun caso è concesso un rifiuto degli insegnamenti del Concilio in quanto tali: è Magistero puro e semplice! Ora – prosegue il superiore del gruppo ultratradizionalista – il problema è qui, sempre nello stesso punto, e non possiamo spostarlo altrove: qual è l’autorità dogmatica di un Concilio che si è voluto pastorale? Qual è il valore dei nuovi principi insegnati dal Concilio, che sono stati applicati in maniera sistematica, coerente e in perfetta continuità con ciò che era stato insegnato dalla gerarchia che fu responsabile al contempo del Concilio e del postconcilio? Questo Concilio reale è il Concilio della libertà religiosa, della collegialità, dell’ecumenismo, della “tradizione vivente”…, e purtroppo – sottolinea – non è il risultato di una cattiva interpretazione. La prova è che questo Concilio reale non è mai stato rettificato né corretto dall’autorità competente. Veicola uno spirito, una dottrina, un modo di concepire la Chiesa che costituiscono un ostacolo alla santificazione delle anime e i cui risultati drammatici sono sotto gli occhi di tutti gli uomini intellettualmente onesti, di tutte le persone di buona volontà. Questo Concilio reale, che corrisponde al tempo stesso a una dottrina insegnata e a una pratica vissuta, imposta al “Popolo di Dio”, noi – afferma don Pagliarani – i rifiutiamo di accettarlo come un concilio simile agli altri. È per questo che ne mettiamo in discussione l’autorità, ma sempre con spirito di carità, perché non vogliamo altra cosa che il bene della Chiesa e la salvezza delle anime. La nostra discussione non è un semplice duello teologico e, di fatto, riguarda delle materie che non sono “discutibili”: è la vita della Chiesa a essere in gioco qui, indiscutibilmente, ed è su questo che Dio ci giudicherà. Ecco, quindi, in quale ottica ci atteniamo ai testi ufficiali di Roma: con rispetto, ma anche con realismo; non si tratta di essere di destra o di sinistra, rigidi o lassisti: si tratta semplicemente di essere realisti».

 

Il sacerdote che guiderà i lefebvriani per i prossimi dodici anni sottolinea che il suo predecessore mons. Bernard Fellay, «è una personalità importante nella storia della Fraternità, visto che l'ha diretta per un periodo di tempo che corrisponde a metà della sua esistenza», 24 anni su 48, e la «fedeltà della Fraternità alla sua missione è in qualche modo un riflesso della fedeltà del mio predecessore alla sua propria missione». Quanto alle differenze di personalità, «devo confessare – cum grano salis – che detesto in maniera irrimediabile tutti i mezzi elettronici, senza eccezione e senza possibilità di cambiare opinione, mentre Mons. Fellay è un esperto in materia…».

 

Un tema che torna anche nei rapporti con Roma: «Specialmente oggi, dobbiamo evitare di essere precipitosi nei giudizi, come spesso ci inducono a fare i moderni mezzi di comunicazione; non buttarci nel commento “definitivo” di un documento romano o di un altro tema delicato: sette minuti per improvvisarlo e un minuto per metterlo online… L’avere uno “scoop” o il “fare scalpore” sono le nuove esigenze dei media, che in questo modo, però, propongono un’informazione molto superficiale e – peggio ancora – a lungo termine rendono impossibile ogni riflessione seria e profonda. I lettori, gli ascoltatori e gli spettatori si preoccupano, si angosciano… L’ansia poi condiziona la ricezione dell’informazione. La Fraternità ha sofferto troppo a causa di questa tendenza malsana e – in ultima analisi – mondana, che dobbiamo tutti cercare urgentemente di correggere. Meno saremo connessi a Internet e più ritroveremo la serenità della mente e del giudizio. Meno saremo davanti a uno schermo, più saremo capaci di effettuare una valutazione oggettiva dei fatti reali e della loro esatta portata. Nei nostri rapporti con Roma, non si tratta di essere rigidi o lassisti, ma semplicemente realisti».

 

La situazione attuale della Chiesa, secondo il sacerdote lefebvriano, «è quella di un tragico declino: crollo delle vocazioni, del numero di preti, della pratica religiosa, scomparsa della abitudini cristiane, del senso di Dio il più elementare, che oggi si manifestano – ahimè! – nella distruzione della morale naturale…». La Fraternità sacerdotale San Pio X «possiede tutti i mezzi per guidare il movimento di ritorno alla Tradizione», sia con il «preservare la nostra identità, ribadendo la verità e denunciando l’errore», sia con l’attirare alla Tradizione «quelli che camminano in questa direzione, incoraggiarli, introdurli gradualmente alla lotta e a un’attitudine sempre più coraggiosa. Ci sono ancora delle anime autenticamente cattoliche, che sono assetate di verità. Non abbiamo il diritto di rifiutare loro il bicchiere d’acqua fresca del Vangelo assumendo un atteggiamento indifferente o altezzoso». Vivere della Tradizione, spiega poi don Pagliarani, «vuol dire difenderla, lottare per essa, battersi perché possa trionfare prima di tutto in noi stessi e nelle nostre famiglie, per poter poi trionfare nella Chiesa tutta. Il nostro desiderio più sentito è che la Chiesa ufficiale cessi di considerare la Tradizione come un fardello o un mucchio di anticaglie obsolete, ma che guardi a essa come l’unica via possibile per rigenerarsi. Le grandi discussioni dottrinali, tuttavia, non saranno sufficienti a portare avanti quest’opera: abbiamo bisogno prima di tutto di anime che siano pronte a ogni sorta di sacrificio. E questo vale per i consacrati così come per i fedeli». Tra i progetti più immediati, il superiore dei lefebbriani ricorda che «nel 1979, in occasione del suo giubileo, Mons. Lefebvre ci invitò a una crociata della messa, perché Dio vuole restaurare il sacerdozio e, tramite questo, la famiglia, oggi attaccata da tutte le parti. Per quel tempo la sua era una visione profetica; ai nostri giorni è ormai un dato di fatto che ognuno può constatare» e «quarant’anni dopo non possiamo sottrarci a questa crociata; oggi esige un ardore ancora maggiore e un entusiasmo ancora più ardente per il servizio della Chiesa e delle anime. Come dicevo all’inizio di quest’intervista, la Tradizione è nostra, pienamente, ma quest’onore comporta una grave responsabilità: saremo giudicati sulla nostra fedeltà nel trasmettere ciò che abbiamo ricevuto».

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