Passati i tempi di Silvio Berlusconi premier accolto con una ola da stadio, di Mario Monti che da quel palco apriva spiragli sull’uscita dalla crisi dopo mesi tesissimi, di Matteo Renzi che alla prima da capo del governo declinava l’invito per poi andare a strappare applausi l’anno dopo raccontando le sue esperienze da giovane scout.

Per anni davanti alla platea del Meeting di Rimini, tradizionale appuntamento di incontri e dibattiti che segna il rientro della politica dalle ferie estive, hanno sfilato presidenti del consiglio e ministri, talvolta squadre di governo quasi al completo a misurarsi con l’applausometro della potente platea di Comunione e Liberazione.

Fino a quest’anno: apre domenica prossima, ma in calendario non è prevista la presenza né del premier Giuseppe Conte, né dei due veri leader del governo, Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Nessuno dei tre è stato invitato. «Il governo è nato a giugno, per invitare il premier non c’erano i tempi tecnici», giustificano la scelta al Meeting per quanto riguarda Conte.

Con una motivazione che appare però piuttosto debole, considerato che qualche ministro è invece previsto, il titolare degli Esteri Enzo Moavero Milanesi e il collega dell’Istruzione Marco Bussetti. Forse la scelta ha a che fare col fatto che il professore pugliese è stato scelto e proposto per Palazzo Chigi dai Cinque stelle: nessun esponente grillino infatti è stato invitato, dal leader Di Maio in giù. Brucia ancora la ferita di tre anni fa, quando l’attuale sottosegretario Mattia Fantinati, primo esponente del Movimento su quel palco, si esibì in un attacco frontale parlando di Cl come «la più potente lobby italiana» pervasa da «interessi personali finalizzati sempre e comunque a denaro e potere».

Da Rimini non hanno difficoltà ad ammettere che è questa la ragione del mancato invito ai pentastellati: «Il Meeting dialoga con tutti, ma se anche gli altri vogliono dialogare», spiegano, pur lasciando aperta una porta per il futuro, «ora non sono maturi i tempi, ma abbiamo un anno di fronte per aprire un ragionamento…».

Diverso il discorso per l’altro alleato di governo, la Lega, presente con il suo numero due, il sottosegretario Giancarlo Giorgetti, oltre che con alcuni presidenti di regione (il friulano Massimiliano Fedriga e il lombardo Attilio Fontana). Ma non con il suo principale protagonista, il segretario e vicepremier Salvini. «Noi non invitiamo i politici più in voga, ma quelli più adatti a intervenire su determinati temi», la motivazione. E mai, in nessuna riunione, garantiscono, hanno pensato di ospitare il ministro dell’Interno, protagonista indiscusso dell’estate politica, ma già in contrasto in passato con le gerarchie vicine a Papa Bergoglio, come il capo della Cei Galantino con cui ebbe uno scontro pubblico sul tema migranti. Meglio il più istituzionale e rassicurante Giorgetti. Accanto all’opposizione – dal Pd Delrio al forzista Tajani – e qualche ex di peso come Romano Prodi.

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