Suicidi da coronavirus. Ecco dove porta il seminare panico

Cremona, Pavia, Monza, Lecce, Jesolo. Negli ultimi giorni stiamo assistendo ad un tragico fenomeno a cui non è stato dato finora sufficiente rilievo. Ogni giorno aumentano le persone che si tolgono la vita piuttosto che dover affrontare la malattia. È la conseguenza di una comunicazione drogata che ha creato un clima di paura e di insicurezza che sta seriamente mettendo a repentaglio la salute psichica di molte persone. Occorre anche dire che dal coronavirus si guarisce. Occorre dare un senso al dolore e ai lutti.

Il Covid 19 uccide, sicuramente, ma ha trovato un grande alleato nella paura, nel terrore che ormai attanaglia milioni di persone. Negli ultimi giorni stiamo assistendo ad un tragico fenomeno a cui non è stato dato finora sufficiente rilievo: i suicidi da Coronavirus. Ogni giorno aumentano le persone che si tolgono la vita piuttosto che dover affrontare la malattia.

È accaduto a Cremona; è accaduto a Pavia dove un uomo di 65 anni, ricoverato per broncopolmonite, peraltro ancora in attesa dell’esito del tampone, si è gettato dalla finestra dell’ospedale dove era ricoverato. Tentativi di suicidio e omicidio anche a Milano, dove un centroamericano affetto da sintomi polmonari ha cercato di uccidere la compagna e poi si è tagliato la gola. Un altro tentativo a Lecce, dove un anziano, terrorizzato all’idea di ammalarsi, ha cercato di uccidersi ed è stato salvato in extremis.

Inoltre, hanno destato particolare impressione i suicidi di due infermiere. Una lavorava all’ospedale San Gerardo di Monza, una giovane professionista che era risultata positiva al test. Lo stress, la fatica, e il timore di aver infettato altre persone, l’hanno devastata e l’hanno portata a togliersi la vita. Lo stesso ha fatto un’infermiera che lavorava all’ospedale di Jesolo, in Veneto: un’infermiera di 49 anni, che da due giorni era stata posta in isolamento domiciliare, ancora in attesa dell’esito del tampone e asintomatica, non ha però retto alla tensione fortissima e si è suicidata andando a gettarsi nel fiume Piave. I colleghi e le persone che la conoscevano l’hanno descritta come una persona dedita al lavoro e molto attenta alle esigenze degli altri. In ospedale si era prodigata nelle cure ai pazienti, esponendosi ad un male che non l’ha però uccisa, se non indirettamente. A toglierle la vita è stata la paura, insieme alla stanchezza, alla solitudine, all’isolamento, al dolore per quello che vedeva intorno a sé.

Tutti questi episodi ci chiedono una riflessione. Innanzitutto, sulle condizioni drammatiche di stress in cui gli operatori sanitari stanno lavorando. In secondo luogo, e questo è un elemento di grande importanza, è stato creato un clima di paura, di panico, di insicurezza che sta seriamente mettendo a repentaglio la salute psichica di molte persone.

Abbiamo già detto nei giorni scorsi dei gravissimi errori di comunicazione fatti dal Governo. La popolazione del Paese non è stata preparata ad affrontare l’epidemia, non è stata adeguatamente formata e informata. Così, quando ormai era troppo tardi, si è preferito seminare il terrore. Le immagini dei pazienti intubati e pronati nelle terapie intensive, le immagini delle bare accatastate e dei camion militari erano e sono funzionali ad un preciso obiettivo: spaventare il più possibile la gente per costringerla ad obbedire alle ordinanze governative. Ma questa paura ha delle conseguenze tremende: porta in primo luogo alla depressione, che è una condizione psicologica che – come hanno dimostrato numerosi studi -ha un effetto nocivo sul sistema immunitario e sulle difese dell’organismo nei confronti delle infezioni.

Uno studio dell’Università di Trondheim, in Norvegia, ha dimostrato la connessione tra depressione e diverse altre patologie, cogliendo nell’infiammazione il comune denominatore. In particolare, gli autori hanno dimostrato che malattie gravi, come le infezioni croniche, i disturbi autoimmuni, molti tipi di cancro, il morbo di Alzheimer e la sclerosi multipla (SM), si ritrovano spesso associati alla depressione. Tutti gli importanti elementi della risposta immunitaria sono amplificati sia nella depressione sia nelle sue comorbidità. L’incidenza della depressione è tre volte più alta nella malattia coronarica, rispetto alla popolazione generale, e  il 20 – 50% delle morti d’infarto del miocardio avviene nel paziente depresso. Nella depressione si è riconosciuta la presenza di attività nelle risposte immunitarie, confermate dai biomarker dell’infiammazione.

Se vogliamo dunque combattere più efficacemente il Covid-19, dobbiamo assolutamente difendere le difese psicologiche oltre che quelle immunitarie delle persone. Un’ottima forma di prevenzione sarebbe la cessazione della pressione mediatica che sta causando panico e incertezza, sostituendola con una comunicazione positiva, invitando ad affrontare con serenità e fortezza l’eventuale malattia.
È evidente che si sta rivelando un quadro di umanità fragile, debole, facilmente preda di depressione, ma proprio per questo bisogna dare un messaggio diverso, che non può essere quello dei flash mob, dei video patriottici, facendo leva su un vago umanitarismo (andrà tutto bene) o sull’orgoglio nazionalistico. Occorre dire che dal coronavirius si guarisce, nella stragrande maggioranza dei casi. Occorre dare un senso al dolore, alla sofferenza, ai lutti, occorre dare le ragioni per le quali non dobbiamo avere paura.

Paolo Gulisano

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