alda luisa corsini
1566

I primi alfabeti della storia

Storica National Geographic

1 Dec 2014


iscrizione su pietra
Epigrafe trilingue, in latino (sopra), greco (al centro) e fenicio (sotto), del medico romano Quinto Marcio Protomaco. Louvre, Parigi.

Nel II millennio a.C. ebbe luogo nelle terre del Vicino Oriente una vera e propria rivoluzione, destinata a mutare il corso della storia: l’invenzione dell’alfabeto, che trasformò il modo di trasmettere il pensiero, aprendo
la strada a un inedito sviluppo culturale.

Fin dall’età classica la maggioranza degli studiosi ha attribuito ai Fenici l’invenzione dell’alfabeto ed è indubbio che il sistema di scrittura elaborato dall’antica popolazione semitica sia l’antenato della maggior parte degli alfabeti contemporanei. I Greci, d’altronde, legavano le origini della propria scrittura a un mitico personaggio di origine fenicia che avrebbe importato l’alfabeto nell’Ellade nel 1519 a.C.: Cadmo, figlio del re di Fenicia Agenore nonché leggendario fondatore di Tebe in Beozia.

Lo stesso storico Erodoto (V secolo a.C.) conferma che i Fenici introdussero “molti e svariati insegnamenti, e fra questi le lettere dell’alfabeto, che prima non esistevano fra i Greci”e aggiunge: “Dapprima i Greci usarono le lettere di cui si servono tutti i Fenici; poi, con il passare del tempo, insieme al suono, cambiarono anche la sequenza delle lettere, che furono appunto chiamate lettere fenicie ( phoinikeia grammata)”. L’alfabeto fenicio era fonetico ma esclusivamente consonantico: furono i Greci ad ag---
giungervi le vocali. Si trattava di un sistema semplice, di facile apprendimento, che a poco a poco aveva sottratto la scrittura al monopolio detenuto per millenni dalle caste sacerdotali delle precedenti civiltà mediorientali.

I nomi delle lettere rimasero quasi invariati nella lingua ellenica: così le fenicie aleph, bet, gimel e dalet, adattandosi alla fonetica greca, divennero alfa, beta, gamma, delta. Un analogo rapporto di derivazione intercorre tra la notazione alfabetica fenicia e la maggior parte delle scritture del Mediterraneo. Nel corso del I millennio a.C., infatti, il sistema alfabetico si diffuse attraverso l’aramaico in tutto il Vicino Oriente, espandendosi anche nel Nord Africa e nell’Asia Minore.

La nascita dell’alfabeto
In definitiva, l’antico codice semitico sembra essere alla base di quasi tutti gli alfabeti successivi: greco, arabo, ebraico, latino, cirillico. La più antica testimonianza del suo uso risale all’incirca al 1000 a.C. e si trova sul sarcofago del re Ahiram di Byblos, una delle più fiorenti città fenicie, insieme a Tiro e Sidone, sorte sulle coste dell’odierno Libano. Tuttavia, la scrittura sicura e per nulla esitante di tale epigrafe lascia presumere l’esistenza di una tradizione allora già consolidata. Ciò significa che un lungo uso deve aver preceduto la data della prima attestazione. In seguito, dopo il 1000 a.C., i caratteri fenici fecero la loro comparsa in tutti i Paesi del Mediterraneo, parallelamente all’espansione coloniale di questo popolo di mercanti, che diffuse la propria lingua da Cipro alle coste atlantiche del Nord Africa e della Penisola iberica.

La storia delle origini e della diffusione dell’alfabeto sembrerebbe coincidere, dunque, con la storia della fortunata ascesa della potenza fenicia. Tuttavia, nonostante l’indubbio ruolo avuto nella sua formulazione e trasmissione, oggi sappiamo che non furono i Fenici a inventare il principio alfabetico. Recenti scoperte hanno rivelato che le prime
tracce di una notazione di questo tipo provengono sì dalle terre di Canaan, corrispondenti agli attuali Palestina, Libano e parte della Siria, ma risalgono al II millennio a.C.


Ancora più antichi della scrittura alfabetica (un segno, un suono), sono i sistemi logografici (un segno, una parola) e sillabici (un segno, una sillaba). Il numero dei segni nei codici logografici è straordinariamente elevato; diminuisce, restando comunque alto, nelle scritture sillabiche e si riduce drasticamente in quelle alfabetiche. Per esempio, l’alfabeto fenicio comprendeva 22 consonanti, mentre le vocali, assenti, si deducevano dal contesto. Si trattava di un sistema semplice da usare ma di difficile ideazione.

È evidente, dunque, che l’antico codice semitico fu il risultato di un lungo processo evolutivo, del quale, fortunatamente, possediamo diverse testimonianze. Si è conservata infatti tutta una serie di iscrizioni semitiche dal carattere non uniforme, dette protocananee, provenienti da vari siti nel territorio della costa levantina e risalenti a un periodo compreso tra il 1700 e il 1100 a.C., precedente alla diffusione della scrittura fenicia. Le più antiche epigrafi protocananee – il pugnale di Lachish e il coccio di Gezer (entrambi rinvenuti in siti dell’odierno Israele) – risalgono al XVII-XV secolo a.C. e permettono di retrodatare a quell’epoca i primi esperimenti di scrittura alfabetica consonantica.
Tuttavia, la gran parte delle iscrizioni protocananee oggi note sono databili ad alcuni secoli più tardi (XIII-XI secolo a.C.). I segni impiegati nella scrittura protocananea erano in origine pittogrammi, dotati perlopiù di valore acrofonico (utilizzati cioè per indicare solo il primo suono della parola rappresentata), che si trasformarono gradualmente in lettere lineari; era possibile scrivere in ogni direzione, da destra a sinistra e viceversa o anche verticalmente. I Fenici non fecero altro che adottare e sviluppare il sistema alfabetico protocananeo, stilizzando e semplificando ulteriormente la grafia delle lettere. Parallelamente, modi di scrittura simili ve-
nivano messi a punto lungo la costa della Siria.

Uno dei sistemi alfabetici meglio conosciuti, risalente a un’epoca compresa tra il XIV e il XIII secolo a.C., è quello di Ugarit, di grande importanza sia per i testi che ci ha trasmesso, relativi a un’importante civiltà scomparsa all’improvviso intorno al 1200 a.C., sia per la sua intrinseca struttura. Molte delle migliaia di tavolette d’argilla rinvenute nell’antica città siriaca presentano iscrizioni incise in un particolare alfabeto cuneiforme di 30 caratteri.

In altre parole, gli scribi ugaritici adattarono alla tecnica grafica cuneiforme dei popoli mesopotamici il principio alfabetico da poco scoperto dai Cananei, coniugando così una forma più agile di scrittura con un supporto resistente ed economico come l’argilla. Infine, una notazione alfabetica di tipo lineare-pittografico analoga a quella impiegata nei testi protocananei compare in un gruppo di iscrizioni dette protosinaitiche, altrettanto se non più antiche (alcuni specialisti collocano le più arcaiche nel XVIII-XVII secolo a.C., benché altri preferiscano una datazione più recente, verso il XVI-XV secolo a.C.). Si tratta di una trentina di tavolette scoperte presso Serabit el-Khadin, un centro minerario egizio nella Penisola del Sinai, i cui artefici erano, ancora una volta, Cananei.

A causa del ristretto numero di iscrizioni protocananee e protosinaitiche finora rinvenute, non è stato possibile ricostruirne la lingua, benché sia del tutto probabile che si trattasse di varietà locali del cosiddetto semitico nordoccidentale.

L’influenza culturale egizia
Nel periodo in cui andavano sviluppandosi i primi sistemi alfabetici, coincidente all’incirca con la fase del Bronzo Tardo (XVI-XII secolo a.C.), nell’area del Levante esistevano
I Fenici adottarono e svilupparono il sistema di scrittura lineare protocananeo, di tipo alfabetico consonantico
già altre forme di scrittura.

Tra di esse vi erano i geroglifici egizi, utilizzati ormai da quasi duemila anni. I mercanti delle città cananee, che intrattenevano intensi scambi culturali e commerciali con il Paese dei faraoni, li conoscevano senz’altro bene. E, ispirandosi ai geroglifici, gli scribi di queste zone formularono presto modi di scrittura propri. Ne sono un esempio i testi pseudogeroglifici di Byblos, così definiti per la somiglianza dei segni impiegati con i caratteri egizi, benché avessero probabilmente un valore sillabico. Gli scribi dell’area levantina, inoltre, padroneggiavano il sistema cuneiforme, la cui conoscenza era allora indispensabile: la lingua internazionale di comunicazione tra le corti dell’epoca era infatti l’akkadico, la cui scrittura, di tipo logosillabico, abbinava segni ideografici e sillabici.

Il frutto di un mondo globalizzato
Fu proprio la situazione politica ed economica del tempo a costringere gli scribi del Levante mediterraneo ad apprendere e utilizzare tante diverse forme di scrittura. Durante la fase del Bronzo Tardo, infatti, l’area del Vicino Oriente si configurava come un autentico crocevia di scambi e relazioni culturali e commerciali. Vigeva a quell’epoca un sistema di equilibrio tra le grandi potenze della regione, ossia i regni degli Ittiti in Anatolia, degli Hurriti (Mitanni) e poi degli Assiri in Mesopotamia, e quelli della Babilonia cassita e dell’Elam (nell’odierno Iran sudoccidentale), fortemente connessi anche con l’Egitto e con il Mediterraneo orientale (Micenei).

Si creò così nel tempo un’unità culturale variegata e complessa, che comprendeva popoli di svariate lingue e culture; ne derivò un uso sempre più intenso della scrittura come irrinunciabile strumento dell’amministrazione oltre che mezzo di comunicazione tra i diversi Stati. Le città del Levante, spesso capitali di piccoli regni, come Ugarit, prosperarono in tale clima. Situate in una regione strategica, entrarono ben presto nell’orbita delle potenze vicine:
prima dell’Egitto e poi dell’Impero ittita, i quali, dopo la battaglia di Qadesh (1296 a.C. circa) si spartirono l’area in due zone d’influenza; la Palestina spettò agli Egizi e la Siria agli Ittiti. In ogni caso, ciò non impedì ai piccoli regni del Vicino Oriente di espandere i propri traffici commerciali, soprattutto marittimi, né di intensificare le attività economiche, concentrandosi sull’esportazione di oggetti di lusso e ceramiche, oltre che di vino, olio e legname.

Il rame proveniente da Cipro o il legno di cedro del Libano venivano trasportati ovunque nel Mediterraneo e le corti delle città levantine divennero veri e propri centri amministrativi e diplomatici, al cui servizio lavorava una classe specializzata di scribi, esperti conoscitori di svariate lingue e scritture. Data la complessità raggiunta dai rapporti commerciali, l’esigenza di comunicare più facilmente e con rapidità spinse i Cananei e poi i Fenici a sviluppare un sistema alfabetico che sostituisse la complessa notazione ge- roglifica e cuneiforme. Le famose iscrizioni di Ugarit, vergate su solide tavolette d’argilla, rappresentano uno dei primi tentativi di adozione dell’idea dell’alfabeto, anche se adattata all’antica grafia cuneiforme.

È probabile, tuttavia, che anche in altre città del Levante fossero stati portati avanti esperimenti analoghi, di cui non è rimasta però alcuna traccia, a causa dell’impiego di materiali scrittori meno resistenti al passare del tempo, quali il papiro. Fu proprio la conoscenza di diverse lingue e tecniche grafiche a fornire agli scribi di Canaan e della Siria le competenze necessarie per creare una nuova scrittura. Essa veniva utilizzata in ogni ambito della vita quotidiana: i testi di carattere economico-amministrativo sono in assoluto i più frequenti tra quelli a noi pervenuti, ma non mancano documenti di carattere letterario, giuridico o religioso. In ogni caso, la conoscenza del codice alfabetico rimase a lungo circoscritta all’area levantina.

Per assistere a una sua ulteriore evoluzione e diffusione si dovette attendere la fine
del Bronzo Tardo, avvenuta intorno al 1200 a.C. Questa fu una fase storica segnata da una crisi profonda: l’intero sistema politico del Vicino Oriente collassò sotto la spinta delle migrazioni dei Popoli del Mare, un insieme di tribù provenienti da Occidente. L’Egitto resistette con grande difficoltà all’invasione, l’Impero ittita si dissolse e piccoli regni come Ugarit furono spazzati via.

La diffusione dell’alfabeto
Lo sconvolgimento provocato nel Mediterraneo dai Popoli del Mare favorì l’espansione economica e commerciale dei Fenici, soprattutto dei centri di Tiro e Sidone. Nel 1000 a.C. il loro alfabeto era già pienamente formulato, come si osserva nella celebre iscrizione del re Ahiram di Byblos. Proprio quest’ultima città trasmise agli altri siti fenici il nuovo sistema di scrittura, che avrebbe presto valicato i confini della sua patria di origine. Grazie alle attività mercantili e coloniali dei suoi artefici, infatti, l’alfabeto fenicio si impose in tutto il bacino del Mediterraneo. Risalgono al IX-VII secolo a.C. le prime testimonianze da Cipro, da alcune isole dell’Egeo, varie epigrafi monumentali dall’Asia Minore e da Malta; poi, la fondazione di Cartagine (814 a.C.) determinò l’espansione dell’alfabeto fenicio anche in Africa del Nord.

Da qui, la scrittura fenicio-punica si sarebbe diffusa nelle colonie della Sicilia, della Sardegna e in molti luoghi della costa mediterranea africana, nelle isole Baleari e nella Spagna meridionale. L’economia del numero di segni e la sua praticità segnò l’eccezionale successo dell’alfabeto fenicio, che attraverso posteriori elaborazioni e integrazioni, passando dai Greci agli Etruschi e da questi ai Latini, è giunto fino a noi.

I primi alfabeti della storia | Storica National Geographic

Aggiungo la brocca di Lachish (n.d.r):

Una brocca frammentaria scoperta nel 1933 nella fossa del tempio di Lachish (IDAM 34.7738).
La datazione archeologica della brocca è XIII sec. a.C.
L’iscrizione, letta da sinistra a destra, legge:
mtn. šy […]ty ’lt
La prima parola mtn potrebbe essere un nome di persona “Mattan”, oppure un nome comune “dono”; l’ultima parola è la forma femminile “dea” (oppure un nome divino “Ilat”).
La ricostruzione della lacuna tra le due parti dell’iscrizione compiuta da F.M. Cross [lrb]ty “[alla mia Sign]ora” non è affatto certa e si basa su una dubbia identificazione della presunta divinità femminile raffigurata sotto l’immagine dell’albero fiancheggiato da capridi.
Settimia condivide questo
264