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1928

Il martirio del 7 fratelli Maccabei: importanti riflessioni di don Dolindo Ruotolo

La scena del martirio dei sette fratelli e della loro madre è raccapricciante, e nella nostra debolezza siamo tentati di domandarci: “Come mai Dio ha permesso tanta crudeltà sui suoi servi fedeli? E perché non è intervenuto immediatamente con la sua potenza, contro l’empio e scellerato tiranno?”. Nella loro sapiente umiltà, i martiri stessi giustificarono la giustizia di Dio, confessandosi peccatori e confessando i peccati del loro popolo: Per nostra colpa noi sopportiamo questo – disse il sesto martire a nome di tutti –, e ci sono avvenute terribili cose, avendo noi peccato contro il nostro Dio, e l’ultimo martire lo confermò, esclamando: Noi soffriamo queste cose per i nostri peccati, e il Signore nostro Dio, per castigarci e correggerci, si è adirato per breve tempo con noi.

Ma, se la persecuzione era un castigo dei peccati commessi dal popolo, il martirio sopportato da quei santi era il prezzo della loro immensa gloria e di una singolare ed eterna felicità. Dio dava loro la forza prodigiosa per resistere, e quasi li anestetizzava col suo amore. Essi soffrivano – diremmo quasi –, come può soffrire chi in un salotto di bellezza toglie da sé ogni bruttura, e si trasforma in un capolavoro d’arte.

«La grazia – dice il Faber –, rende un tramonto ciò che secondo la natura è oscurità impenetrabile, e il lamentevole canto del Miserere mutasi, ad onta della nostra umiltà, in cantici di trionfo, poiché le mura tra l’anima morente e la celeste Gerusalemme sono così invecchiate e bucate, che gli alti alleluia del di dentro sorprendono e distraggono il contrito cuore, i cui occhi si chiudono sul Crocifisso» (Il Creatore e la Creatura).

Se questo avviene nella morte ordinaria, nella morte dei martiri i cieli erano aperti come lo furono per santo Stefano, e Dio versa tali torrenti di grazie sull’umana debolezza, che il tormento stesso si muta in un ineffabile felicità.
Non ci scandalizziamo, dunque, della sofferenza atroce di questi eroi d’amore, ma ringraziamo Dio con loro della loro conquista d’amore. Noi vedremo come fu punito Antioco, e il nostro senso di giustizia ne rimarrà appagato; ma ora dobbiamo solo adorare l’infinita misericordia che concedeva ai suoi servi la grazia di una conquista eterna, e la grazia di testimoniargli l’amore, innanzi ai secoli.

Diamo piuttosto uno sguardo alla nostra vile debolezza, e innanzi all’eroismo dei martiri gloriosi e della loro madre, vergogniamoci di sapere così poco testimoniare a Dio il nostro amore e la nostra fede! Che cosa soffriamo noi... per non mangiare carne di porco, cioè per eliminare da noi le immondizie del mondo e della carne? Noi non diamo la lingua, non le mani, non i piedi, non la sensibilità nostra, ma siamo dolorosamente sempre pronti ai pessimi discorsi, alle azioni degradanti, ai passi che conducono al peccato e alle ricerche delle nostre soddisfazioni sensibili e obbrobriose.

Innanzi al puerile cimento di un rispetto umano cadiamo facilmente, e ci nutriamo di corruzione mentre dovremmo nutrirci d’amore divino. Di quanta vergogna debbono coprirsi il volto tante madri indegne di questo nome, che non sanno spingere i figli al possesso della vita eterna, e che per dare loro dei miseri beni terreni li privano degli eterni!

Immoliamo a Dio la nostra vita e i miseri diletti che l’accompagnano, e volgiamo lo sguardo alle speranze eterne, poiché per quelle siamo creati, e per quelle peregriniamo gementi in questo povero esilio. Passano i nostri fugacissimi giorni; tristi o prosperi, passano; e noi nel cimento della prova quotidiana diciamo a questo corpo nostro come la santa madre dei martiri diceva all’ultimo suo figlio: Accetta la morte di quello che ti attrae alla terra, o povero corpo mio, affinché, nel tempo della misericordia, io ti riabbracci.

Se non sottomettiamo questo corpo alla rinuncia di tutto ciò che è sensuale, non lo riabbracceremo nell’eternità. Non ci sembri infelice la vita di rinunce; essa, invece, è vita di conquiste gloriose. Rinunciare a un po’ di carne che è carne suina, e possedere la felicità eterna non è che un guadagno immenso. Il Signore ci dia la grazia di essere sapienti e di non barattare per nulla gli eterni tesori.
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Commento di don Dolindo Ruotolo al libro dell'Apocalisse e ad altri passi biblici.
Meditazioni e commenti a diversi brani profetici della Sacra Scrittura del Sacerdote napoletano e Servo di Dio don Dolindo Ruotolo.Altro
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