
Non vogliamo qui tentare di dipanare la matassa intricatissima relativa alla tematica della figura del pontefice emerito, ma solo tentare di individuare quale potrebbe essere l’interpretazione fornita dal Pontefice regnante non tanto della figura del Papa emerito, bensì della natura del Papato stesso. E lo facciamo partendo proprio dalle sue parole riguardo al «Papa emerito». Il Codice di diritto canonico al canone 332 § 2 prevede la rinuncia dell’ufficio petrino da parte del Romano Pontefice ma come eccezione. Per quale motivo lo possiamo affermare? Perché a differenza degli altri vescovi, quello romano non va in pensione. Il suo munus è vitalizio. E la storia lo testimonia bene: i casi di rinuncia sono stati assai rari. Dunque la norma è che se vieni eletto Papa, muori da Papa.
All’opposto, Papa Francesco, lasciando l’ultima parola alla Storia che tutto può mutare, a chiare lettere afferma che il Papa emerito da eccezione deve diventare una istituzione. Insomma si tratterebbe di una scelta equipollente a quella di rimanere «in carica», per usare le parole del Pontefice. Questo ci fa comprendere che, per l’attuale Papa, il pontificato è più simile ad un lavoro che ad una vocazione, più somigliante ad una carica dirigenziale di una multinazionale (il lemma «cattolico» non significa più «universale», bensì «internazionale», acquisendo una sonorità più socialisticheggiante) che ad una istituzione di carattere divino. In breve fare il Papa parrebbe essere una professione e come tale, ad un certo punto e per motivi personali, si potrebbe lasciare e decidere di andare in pensione. Si dismette un ufficio che, così interpretato, non ha più una dimensione trascendente – il termine «pontifex» significa letteralmente «costruttore di ponti» tra il mondo sensibile e quello ultrasensibile, compito affidato nell’antica Roma ad un sacerdote – bensì solo immanente.
Questa visione pragmatica del papato è assolutamente coerente con l’orientamento culturale dell’attuale pontificato così impregnato da spinte storiciste che vogliono innescare processi senza mete (Benedetto XVI secondo Francesco «ha aperto una porta» che nei secoli futuri potrà rimanere aperta o chiudersi) e proprie delle filosofie fenomenologiche. L’orizzonte in cui si colloca la figura del Pontefice è asfittico perché chiuso in una prospettiva solo temporale, solo secolare. La fede ha perso di trascendenza, la morale di metafisica. Se queste sono le premesse culturali, le conclusioni, in merito all’interpretazione della figura del Papa, non possono che essere coerenti con tali premesse: la Chiesa è sostanzialmente una ONG o un’azienda al cui vertice viene nominato un presidente o un amministratore delegato (il Papa non è più vicario, ma delegato di Cristo in Terra), il quale, a causa dell’età e per motivi di salute, può andare in pensione. Il Papato viene ridotto al suo mero esercizio, tra l’altro privo di afflati divini e legato solo alle capacità psico-fisiche di governo, e scompare la figura del «dolce Cristo in Terra».
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