Francesco I
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Giuseppe Prezzolini nell’anniversario della nascita e della morte: la sua lunga e vasta ricerca incompiuta…

Giuseppe Prezzolini nell’anniversario della nascita e della morte: la sua lunga e vasta ricerca incompiuta…

Una vita da intellettuale fin da principio quella di Giuseppe Prezzolini, del quale quest’anno ricorrono 140 anni dalla sua nascita (1882) e 40 anni dalla morte, avvenuta il 14 luglio del 1982. Rimasto orfano di madre a tre anni e di padre a 17, dimostrò fin dal principio una grande attitudine agli studi, sebbene in maniera autonoma e anarchica, piuttosto che guidata scolasticamente. Lasciò il liceo senza rinunciare alla formazione privata, abbeverandosi alla fornita biblioteca del padre, che era prefetto. Fu così che quegli studi gli aprirono diversi scenari, su ciò che più gli interessava, ossia la cultura e i sistemi politici.

Giovanissimo, per seguire gli spostamenti professionali del padre, si trasferisce a Firenze, dove conosce il quasi coetaneo Giovanni Papini (1881-1956), intraprendendo un’amicizia forte e intellettualmente vivace.

Tra il 1900 e il 1905 realizza numerosi viaggi in Francia, dove perfeziona il francese a Grenoble. A 21 anni insieme a Papini fonda la rivista culturale «Leonardo» (1903-1908), dove si firma con lo pseudonimo di Giuliano il Sofista, e intanto inizia un carteggio con Ungaretti. Nonostante la sua età è già possessore di una cultura superiore agli studi scolastici ordinari.

«Leonardo» si caratterizza per essere una rivista brillante e combattiva, che viene subito attenzionata, divenendo uno dei più notevoli organi di reazione al positivismo filosofico e letterario in nome dei valori dello spirito. È un periodico che diventa divulgatore in Italia di contemporanei movimenti filosofici stranieri, quali l’intuizionismo francese di Bergson e il pragmatismo anglo-americano di Peirce e James. La pubblicazione si propone anche l’obiettivo di svecchiare la cultura italiana, puntando ad un’individualistica e sognatrice concezione della vita e dell’arte. Intorno a «Leonardo» si viene a costituire un acceso cenacolo di letterati fiorentini.

Attivo e dinamico, Prezzolini collabora con il periodico nazionalista «Il Regno» di Corradini facendosi, quindi, con «Leonardo», propugnatore di un orientamento filosofico antirazionalistico e misticheggiante, mentre con la seconda testata sostenitore del movimento nazionalista, puntando sui diritti della borghesia contro il socialismo.

Intorno al 1908, conosce Benedetto Croce e rimane conquistato dalla sua filosofia neoidealista, allo stesso tempo si interessa con maggiore comprensione al socialismo sindacalista. Con queste nuove prospettive, nello stesso anno fonda e dirige, a fasi alterne, fino al 1914, il settimanale «La Voce», fucina di un vero e proprio movimento culturale vociano, dove Prezzolini ne è sia l’artefice che il punto di coesione delle diverse anime e influenze, offrendo instancabilmente notizie e idee in ogni campo della cultura.

Attivamente partecipe del dibattito cultural/religioso del primo Novecento, si occupa del Modernismo, che nel 1907 san Pio X aveva condannato come scolo di tutte le eresie con l’enciclica Pascendi Domici gregis, denunciando e bandendo dalla Chiesa il movimento modernista, interpretato da molti e in particolare da Alfred Loisy, che tentava di conciliare la filosofia moderna e la fede cattolica fondandosi su presupposti soggettivistici di varia derivazione, come il criticismo kantiano; ma anche l’agnosticismo, l’immanenza vitale, l’evoluzionismo e il metodo storico-critico, che portava e continua a portare oggi un’interpretazione orizzontale e materialista della fede, privilegiando, per esempio, il Cristo storico dal Cristo divino e mistico.

Sempre nel 1908 pubblicò Il Cattolicesimo Rosso, inserendosi nel grande dibattito religioso e culturale su questo fenomeno sorto in Francia e che voleva conciliare il pensiero filosofico-scientista moderno con la fede cattolica.

Un’opera concepita come risposta alle istanze di rinnovamento della Chiesa messe in campo proprio dall’eresia modernista. Significativo come, più di 50 anni dopo, nel 1963, il libro sarà riproposto con una ristampa, priva di note: è il tempo in cui Giovanni XXIII apre il Concilio Vaticano II, dove avranno la meglio le focose e aggressive spinte moderniste all’interno della Chiesa, quelle che Papa Sarto aveva cercato invano di reprimere.

Nel volume Dio è un rischio, pubblicato da Vallecchi nel 1969, Prezzolini non prevedeva nessuna soluzione religiosa alla propria condizione agnostica. Tuttavia, con il suo percorso da conservatore, che mirava alle tradizioni, continuò ad essere spiritualmente inquieto, come dimostra il libro del 1984 pubblicato da Rusconi dal titolo L’ombra di Dio.

Passato attraverso «le rivoluzioni politiche e sociali venute dopo la prima e la seconda guerra mondiale», come l’autore stesso scrive nella seconda e nuova edizione, Prezzolini afferma nella prefazione di non riconoscersi più in quello che aveva scritto nella prima edizione… ma considera comunque quel testo importante perché «documento della crisi del primo Novecento», una crisi che egli aveva saputo cogliere «nel suo fiorire», elaborando «una viva esposizione, e nello stesso tempo una valida critica del movimento modernista». Tale testo è da considerarsi una delle opere più importanti di Prezzolini, che delinea la sua parabola sia spirituale sia politica. Diviso in quattro capitoli, il libro esamina le riforme dottrinali, le riforme della storia, le riforme dell’autorità e il campo dei cattolici rossi, coloro che nel postconcilio saranno comunemente chiamati «cattocomunisti».

In queste pagine l’autore dichiara la sua adesione alle tesi neoidealiste e, sulla scia di Croce e Gentile, considera il modernismo un velleitario tentativo di conciliare evoluzionismo scientifico e cattolicesimo. Il proposito del modernismo, secondo Prezzolini, ma anche secondo il filosofo liberale abruzzese che ebbe a dichiarare: «Pure filosofo quale sono […] io stimo che il più profondo rivolgimento spirituale compiuto dall’umanità sia stato il cristianesimo, e il cristianesimo ho ricevuto e serbo, lievito perpetuo, nella mia anima»[1], era da considerarsi in ritardo rispetto all’operazione di assunzione che lo Stato laico ormai aveva fatto della componente di carattere mondano del cattolicesimo, perciò, secondo questa analisi, la «religione interiore» doveva ormai essere identificata nel socialismo.

Al Cattolicesimo Rosso seguirà il libro Che cos’è il Modernismo?, nel quale l’autore rifiuta il passato di sé, Giuliano il Sofista, e con lui anche chi l’aveva formato, in particolare George Sorel, teorico del sindacalismo rivoluzionario, ed Henri Bergson, che veniva seguito, fra gli altri, anche da movimenti come il modernismo cattolico e il sindacalismo. A Bergson rimproverava di istigare l’uomo moderno all’individualismo e di valorizzare l’intuizione. Viene, dunque, a crearsi una divaricazione con l’amico Papini:

Collaboratore della rivista fondata nel 1913 a Firenze da Papini, «Lacerba» (con la collaborazione di Aldo Palazzeschi e Italo Tavolato), su posizioni simili a «Leonardo» con l’adesione al Futurismo, nel novembre 1914, Prezzolini lascia la direzione de «La Voce» e si trasferisce a Roma, dove lavora come corrispondente de «Il Popolo d’Italia», fondato da Mussolini in opposizione alle posizioni neutraliste assunte dal Partito Socialista nei confronti della prima guerra mondiale. Uomo d’azione oltre che di pensiero, decide di arruolarsi volontario per partecipare alla prima guerra mondiale, svolgendo l’incarico di istruttore delle truppe e dopo la disfatta di Caporetto, nell’ottobre del 1917, domanda di andare al fronte, la domanda viene accolta e nel 1918 è con gli Arditi sul Monte Grappa e sul Piave. E alla fine della guerra ricopre il grado di capitano del Regio Esercito.

Mille impegni, mille conoscenze, mille epistolari con diversi esponenti della cultura e della Chiesa (si pensi al Carteggio con don Giuseppe De Luca) e attività si intrecciano nella sua vita privata e pubblica. Nel settembre 1922, ad un mese dalla marcia su Roma, Prezzolini scrive una lettera, pubblicata su «La Rivoluzione liberale» (n. 28, 28 settembre 1922) per avanzare l’ipotesi di costituire una Società degli Apoti, ovvero di individui liberi operanti insieme, che non parteggiano, ma vogliono differenziarsi dalla vita e dalla malavita pubblica contemporanea per poter valutare l’attualità politica e la cronaca contingente con indipendenza e imparzialità; da questa idea nasce un dibattito che coinvolge fra gli altri anche Piero Gobetti e don Luigi Sturzo.

Nel 1923, Prezzolini compie il suo primo viaggio negli Stati Uniti, chiamato per un corso estivo alla Columbia University di New York. Nel 1925 è nominato, nonostante il parere contrario del governo fascista, rappresentante per l’Italia dell‘Institut international de coopération intellectuelle («Istituto internazionale della cooperazione intellettuale», antesignano dell’attuale UNESCO), con sede a Parigi, per questo si trasferisce nella capitale francese con la famiglia.

Nell’estate del 1927 ritorna alla Columbia University per altri corsi e due anni dopo ottiene in questa Università un incarico stabile, assumendo anche la direzione della «Casa Italiana» per cui decide di abitare con i suoi cari a New York, prendendo la cittadinanza statunitense nel 1940. alla Columbia University. Frutto del suo lavoro di ricerca sarà il Repertorio bibliografico della storia e della critica della letteratura italiana dal 1903 al 1942, pubblicato nel 1946.

Collaboratore de «Il Tempo», «Il Borghese» di Leo Longanesi, «La Nazione» e il «Resto del Carlino», ha contatti con diverse case editrici. Nel 1962 muore la prima moglie, dalla quale è separato da più di vent’anni e si risposa con Gioconda («Jackie») Savini. Dopo oltre 25 anni di permanenza in America, ritorna in Italia e si stabilisce a Vietri sul Mare, sulla costiera amalfitana per poi stabilirsi, nel 1968, a Lugano.

Preferisce la Svizzera, come lui stesso racconterà, perché non sopporta la burocrazia, la corruzione, la furbizia, la «scioperomania», l’eccesso di stato assistenziale, la mediocrità della classe politica.

Autore di quattro biografie, dedicate a Giovanni Papini, Benito Mussolini, Giovanni Amendola, Benedetto Croce, Giuseppe Prezzolini continuò sempre ad essere un curioso esploratore culturale e del pensiero politico e nell’ultima parte della sua centenaria vita approdò alla constatazione che è intelligente, sano e produttivo «conservare».

Celebre il suo Manifesto dei conservatori. Nella prefazione al testo, pubblicato nel 1972 da Rusconi, scrisse:

«Nel settembre del 1971 Veditore Rusconi mi chiese di radunare in un libretto quello che avevo varie volte scritto per difendere la malfamata parola di «conservatore».

Essendo sempre stato fin da giovanissimo d’accordo con le minoranze e spesse volte quindi diventato critico della democrazia, accettai subito e mi provai a stabilire su quali basi si poteva seriamente fondare l’ideale di un conservatore al tempo nostro.

Ma quando ebbi esaminato il problema dal punto di vista semantico, filosofico, biologico, sociologico, storico, politico, e trovato fra tutti una certa concordanza, pensai che forse al pubblico sarebbe stata più interessante una storia personale del mio, per dire così, pensiero politico.

Andai a rovistare in giornali, in riviste e in libri ed accumulai molti appunti e ritagli e vidi che mettendoli in fila uno dopo l’altro mi annoiavo.

Pensai, allora, di divertirmi commentando quei tentativi miei di comprendere e di agire sul mondo politico nel quale mi sono trovato, e li intramezzai di ricordi, di aneddoti, di panorami, tutti schizzati alla svelta.

Lo mandai e piacque all’Editore, che era stato soddisfatto di un mio libro che tocca il problema della politica (Cristo e/o Machiavelli), lo lesse in abbozzo e m’invitò a pubblicarlo in volume.

Eccolo qui
».

Stiamo parlando di un’opera decisamente interessante anche per i nostri giorni. In essa troviamo filologicamente, filosoficamente e sociologicamente l’importanza del concetto di «conservatore», inteso come colui che conserva una tradizione.

«[…] non è necessaria la cultura per essere un conservatore. Come la donnicciola che crede in Gesù è per la Chiesa altrettanto meritevole quanto il dotto che conosce il testo greco dei Vangeli e il latino dei Concili, così la persona semplice, attaccata alle tradizioni che le sono state trasmesse dai suoi genitori o dalla società in cui è armoniosamente vissuta, è rispettabile nel suo spirito di conservazione quanto un lettore appassionato di Burke e di Cuoco. […] Incominciamo dunque, nel cercar di disegnare un ritratto dell’istinto di conservazione in generale, col dire che oggi la prima funzione del conservatore è quella di freno ai desideri impulsivi, ai sobbalzi e rivolte, ai progetti infantili o! demagogici, ai programmi di demolizione senza speranza di ricostruzione».

Straordinaria risulta la sua classificazione delle direttive fondamentali fra quella dei conservatori e quella della sinistra. E proprio per questa ragione non possiamo non proporvela in questa ricorrenza, della sua nascita e della sua morte, così come l’ha presentata ne Il manifesto dei conservatori, dove con sagacia e acume egli afferma: «Il fesso, in generale, è incolto per stupidaggine. Se non fosse stupido, capirebbe il valore della cultura per cacciare i furbi».
Fonte:- Europa Cristiana