Francesco I
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Sul "vantarsi del peccato" e altre bergogliate.

Le parole che seguono sono di un sacerdote, che normalmente si arrampica sugli specchi pur di salvaguardare la "normalità", del quale per ovvi motivi rispetto l'anonimato.
Sull'argomento specifico avevamo riflettuto qui, senza trascurare l'accenno alla felix culpa, ch'è dire altro...
Che anche lui mostri qualche segno di cedimento ci fa capire quanto oggettivamente ci sia di indifendibile in ciò che ci sta mostrando questo pontificato. Ma anche qui, persino nel citare Lutero, il nostro tenta di minimizzare.
Leggete attentamente e notate la sua esortazione finale, giustissima in linea di principio; ma, come altri sacerdoti illuminati ci mostrano da tempo confermando la nostra coscienza illuminata dalla fede ricevuta assimilata e vissuta nella Chiesa, siamo in una situazione in cui non c'è tempo per i convenevoli. Ne riprendo le premesse - e le ripropongo - di seguito alle affermazioni in apertura. Ed è dalle parole di questi sacerdoti che traggo le conclusioni che chiudono questa riflessione.

Cari amici, devo riconoscere l'acutezza delle osservazioni. Tuttavia continuo ad esser dell'idea che il Papa non è e non può esser convinto di quanto lo accusate; sarebbe troppo grave e non posso pensarlo. Non avete prove certe. In molte occasioni egli evidenzia il nostro dovere di evitare ed odiare il peccato, la bruttezza del peccato, la necessità di pentirci dei nostri peccati, il fatto che Cristo cancella i peccati, la bellezza dell'essere perdonati.
Dovete mettere quella frase nel contesto dei suoi discorsi, dai quali appare chiaramente il suo zelo contro i peccati e il suo amore per la giustizia e la santità. Certo è stato impreciso. E' chiaro che in Paolo non c'è quella espressione. Tuttavia non è lontana dal riflettere la dottrina dell'Apostolo. E' evidente che non possiamo vantarci dei nostri peccati IN QUANTO TALI: saremmo dei demòni. Possiamo però in certo senso (O felix culpa!) vantarci dei nostri peccati IN QUANTO HANNO DATO OCCASIONE ALLA REDENZIONE.

Se per esempio Pierino marina la scuola e dopo essa crolla a causa di terremoto, gli vien voglia di dire: che bella cosa che ho marinato la scuola!

Credo che lo stesso Lutero (che conosco bene) intendesse dire questo, col suo famoso "pecca fortiter et crede firmius", per quanto lo abbia fatto con un linguaggio ambiguo ed eccessivo, che dà effettivamente l'impressione di una riprovevole connivenza col peccato e quindi un'insincera confidenza nel perdono divino.

Secondo me il Papa si è espresso male. E' poco prudente nel parlare. Di questo ci siamo già accorti. E' una frase che gli è scappata. Ma qui l'infallibilità pontificia non entra in gioco. Sono suoi difetti umani: e chi non ne ha? [il problema è che i suoi difetti umani di fatto vanno ad alimentare l'attuale, innegabile, Magistero liquido nonché mediatico. Che non è magistero infallibile e per questo non può intaccare le essenze, ma molte anime le intacca e sta deformando quel che resta della Chiesa visibile].

Quindi andate piano nel giudicare. Non erigetevi troppo a giudici, se non volete fare i farisei, ve l'ho già detto. Non è il caso di farla tanto in grande, E' meglio chiudere un occhio e badare al positivo.

Purtroppo il Papa dice ogni tanto cose che si prestano all'equivoco. Dovrebbe stare più attento quando parla, proprio perchè è il Papa. Se faccio io uno svarione non ci sono grandi conseguenze. Ma se lo fa lui, le cose cambiano. Dovrebbe rendersi maggior conto che tutto il mondo lo guarda e che ci sono sempre i furbi che usano certe sue espressioni a loro vantaggio. Per questo i Papi sono sempre stati estremamente cauti nel parlare. Papa Francesco invece va un po' troppo a ruota libera. Dovrebbe imparare da un Pio XII o da un Paolo VI.

Ma - vi prego! - non fate di lui un eretico! Se no passate voi dalla parte del torto. E' eresia accusare un Papa di eresia. Voi siete prudenti nel parlare del Papa?? Quindi cercate prima di correggere voi stessi e poi potrete fare delle critiche al Papa.
Non posso fare a meno di riproporre ancora una volta le parole di sacerdoti secondo il cuore del Signore, dall'Editoriale del gennaio scorso di Radicati nella Fede [qui].

[...] Tutti questi signori che osteggiano la Tradizione e la impediscono con strani bizantinismi, sono ancora preoccupati per la salvezza delle anime? Vogliono ancora fare il Cristianesimo? O aspirano a qualcosa di diverso? E se è così perché occupano la Chiesa di Dio? [...] Sono ancora preoccupati che le anime si accostino ai sacramenti? Reputano ancora i sacramenti necessari alla salvezza, o sono solo preoccupati di fare “comunità”, sostituendo la struttura all'essenziale, cioè a Dio?
Ci auguriamo di tutto cuore:

Un sussulto di coraggio in tutti quei preti e seminaristi che stanno soffrendo per una chiesa sempre più nemica del suo passato. Vorremmo dire loro “Cosa aspettate a ribellarvi? Sì, a ribellarvi per obbedire a Dio! Considerate l'esito di questa Chiesa malamente ammodernata, considerate la grande tristezza che ha prodotto e obbedite gioiosamente a Dio. Solo così servirete con amore la Chiesa, perché la Chiesa è Tradizione”.

Un ravvedimento in coloro che hanno così osteggiato la Messa tradizionale e l'hanno confinata. Sappiamo che non tutti sono in cattiva coscienza. A loro vorremmo dire “lasciateci fare l'esperienza della Tradizione”, dateci le Chiese, permetteteci la cura delle anime e poi venite con tutta semplicità a considerare i frutti. Avete dato le chiese anche agli ortodossi scismatici, pubblicate anche gli orari di culto degli eretici protestanti, quando farete uscire dal limbo la Messa di sempre? Cosa direbbero i vostri vecchi parroci, i vostri nonni e i santi di duemila anni di cristianesimo?
Perdonateci se vi abbiamo parlato in tutta schiettezza, non vogliamo offendere nessuno ma suscitare un sussulto di coscienza: nelle situazioni drammatiche non c'è tempo per i convenevoli.

Dopo aver riletto il testo qua su, mi pare che non c'è più tempo per i convenevoli ma neppure per le richieste o per le suppliche, arrogantemente disattese senza neppur spiegazioni. Perché le spiegazioni sono già tutte nei fatti, nei gesti e nelle parole dirompenti della nuova gerarchia ('caso' FI compreso, ma non solo). Dunque, se non è tempo per i convenevoli, bisogna combattere con le loro stesse armi: la prassi, quella tradizionale. Intanto dove è possibile e promuovendola il più possibile. Il resto si inizierà a vedere, credo, dopo il Sinodo...

Un altro sacerdote, mio caro e valido interlocutore, sostiene che questa della Messa Antiquior è una fissazione di noi "amanti della Tradizione" (non uso di proposito il termine tradizionalisti, perché non è un "ismo" quello che ci muove). Mi spiace che proprio lui, ch'è un buon sacerdote, non riconosca come tutto nasce dal e tutto confluisce nel Rito che - oltre che culto autentico a Dio - è espressione e anche veicolo della fede confessata celebrata e vissuta. Ogni cambiamento o mutilazione del Rito provoca cambiamenti e/o mutilazioni nella fede. Lex orandi lex credendi lex vivendi.

E comunque non a caso parlo di 'prassi' tradizionale, perché il Rito sottende una specifica teologia ed ecclesiologia, che vanno approfondite e assimilate e, dunque, insegnate dalla Chiesa docente, oltre che celebrate dalla Chiesa santificante, per poi essere vissute dalla Chiesa militante, nella Comunione dei Santi di ogni luogo e di ogni tempo.
Francesco I e un altro utente si collegano a questo post
Maurizio Muscas
È sconcertante: reputo egli , lo spero per lui, sia solo un grande ignorante.
Francesco Federico
Una "perla" di Bergoglio è attribuire a San Paolo: "io mi vanto dei miei peccati", senza precisare che San Paolo al cap. 12 della seconda Lettera ai Corinti non parla di peccati, bensì di debolezze. La parola greca usata da lui Paolo è ἀσθένεια (asthéneia), che appunto significa 'debolezza', e non 'peccato'. Inoltre è lo stesso San Paolo a spiegare bene in che consistono queste sue 'debolezze …Altro
Una "perla" di Bergoglio è attribuire a San Paolo: "io mi vanto dei miei peccati", senza precisare che San Paolo al cap. 12 della seconda Lettera ai Corinti non parla di peccati, bensì di debolezze. La parola greca usata da lui Paolo è ἀσθένεια (asthéneia), che appunto significa 'debolezza', e non 'peccato'. Inoltre è lo stesso San Paolo a spiegare bene in che consistono queste sue 'debolezze': "Ed Egli [Gesù] mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte." (2Cor 12, 9-10). Le debolezze sono dunque i patimenti fisici e spirituali che San Paolo stesso elenca, non certo i peccati.

Domine, miserere nobis !