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INTERVISTA

"Consacrati nella Croce, la sofferenza che salva il mondo"

Un appello a tutti i sofferenti: «Se unissimo le nostre sofferenze a quelle di Gesù e le offrissimo in modo speciale con una S. Messa di Consacrazione, non solo ne trarremmo sollievo noi ma si riverserebbe il Cielo sulla terra». Per la festa della Divina Misericordia, parla alla Bussola Silvestro Zattarin, con una tetraparesi spastica dalla nascita. «Una sera, davanti al Crocifisso, capii che la mia croce non era un peso ma un sostegno, un’arma potente che ci associa alla Redenzione». Ecco la sua idea, già presente dal 2009 in una parrocchia, ma da diffondere tra laici e sacerdoti della Chiesa intera.

Ecclesia 11_04_2021 Español

«Mi rivolgo a tutti i fratelli sofferenti, perché se tanti unissimo le nostre sofferenze a quelle di Gesù Crocifisso e le offrissimo in modo speciale con una S. Messa di Consacrazione, non solo ne trarremmo sollievo noi ma si riverserebbe il Cielo sulla terra». Con una voce che porta i segni della sua condizione, ma dolce, Silvestro Zattarin, veneto di 53 anni, ci spiega al telefono il cuore della sua proposta per il bene della Chiesa e del mondo.

Silvestro è affetto fin dalla nascita da tetraparesi spastica. Dall’infanzia cammina con l’ausilio delle stampelle, dopo aver seguito un lungo percorso di riabilitazione in un istituto a Caorle (VE), vivendo giocoforza - dai 3 anni e mezzo ai 10 anni - a oltre cento chilometri di distanza dall’amata famiglia, d’origine umile. Oggi è sposato, padre di tre figli, fa il programmatore informatico e desidera far sapere a tutti come diventare «Consacrati nella Croce». Non vuole creare un nuovo movimento, ma aiutare a diffondere il carisma che nel cristianesimo «esiste da sempre»: la croce, che trasforma la debolezza in forza. Ma se finora questo carisma è stato vissuto più come singola offerta personale, secondo Silvestro è giunto il momento di unire solennemente tutte queste offerte avvalendosi del tesoro di grazie della Chiesa.

In vista della Domenica della Divina Misericordia, la Nuova Bussola lo ha intervistato.

Silvestro, tu oggi offri la tua croce con gioia, ma è stato sempre così?
No, ho avuto delle battaglie interiori, e con Dio, per via della mia malattia. Mi facevo la classica domanda: “Perché proprio io?”. Poiché sapevo che nessuno materialmente poteva darmi una risposta, nemmeno un dottore, l’ho cercata in campo spirituale. Grazie agli incontri con vari gruppi all’interno della Chiesa, tra cui Rinnovamento nello Spirito, ho sentito forte la presenza di Dio, che avevo sempre avvertito ma senza, per così dire, riuscire a identificarlo. Intorno ai vent’anni ho capito che la mia vita poteva avere un valore immenso attraverso l’accettazione delle sofferenze. Quella è stata la prima svolta.

E la seconda?
A trent’anni volli fare un ritiro di un paio di settimane a Deliceto, in Puglia, presso una comunità mariana che si chiama “Oasi della Pace”, nata dai messaggi di Medjugorje. Lì, una sera, mi colpì un quadro di Gesù, con il cuore sormontato dal fuoco e dalla croce. Pensai che in questa immagine fossero rispecchiate le realtà della Chiesa: il Cuore di Gesù, che si riflette nelle opere di carità, nell’amore verso i bisognosi; il fuoco mi richiamò alla mente i movimenti che lodano lo Spirito Santo; invece, per la croce, a parte qualche istituto religioso, non riuscivo a identificare una realtà specifica e insieme universale.

Poi cosa successe?
Al ritorno dai miei, una sera, pregando in ginocchio davanti al Crocifisso, ebbi come un’ispirazione, non so se chiamarla un’immagine mentale, nel senso che “vidi” la croce dividersi in due verticalmente: le due figure assomigliavano alle mie stampelle. Questo mi folgorò, perché ha capovolto il punto di vista con cui consideravo la croce: se prima ero io che portavo la croce, da allora ho capito che è la croce a portare me, da peso mi è diventata sostegno. Mi è scaturita la consapevolezza che il Signore ha messo nelle mie mani la croce, che può diventare un’arma potente e associarci alla Redenzione di Gesù.

Questa possibilità sta nel passaggio da una sofferenza solo vissuta a una sofferenza offerta a Dio?
Sì, il grande potere è la possibilità di offrire la nostra croce, è questo che fa la differenza. Faccio sempre questo paragone: un conto è portare malvolentieri un grande masso sulle spalle per un chilometro sapendo che, alla fine del chilometro, lì rimarrà, inutilmente; se invece porti questo masso per un chilometro sapendo che servirà per costruire un ospedale o qualcos’altro di buono, il tuo spirito sarà molto diverso. Se unisci la tua croce a quella di Gesù, collabori alla salvezza delle anime completando, nel senso indicato da san Paolo, «quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa». In modo simile a come Gesù, il Redentore, si nasconde nell’Eucaristia ma è realmente presente nel sacramento, così la sofferenza offerta a Lui può diventare memoriale della Sua Passione e Risurrezione.

Tu sottolinei l’importanza di una S. Messa di Consacrazione a cui partecipino i fedeli che vogliano offrire le loro croci: perché?
Per valorizzare al massimo grado la sofferenza e renderla sacra, in unione a tutto il corpo mistico di Cristo. Se offri individualmente la tua sofferenza ha un grande valore, sempre; ma se la offri insieme ai tuoi fratelli in Cristo, per le mani di un sacerdote, ha un valore ancora più grande, perché la riponi nel tesoro della Chiesa, unendola alla sua forza di intercessione. Questo carisma lo possono vivere tutti - laici, religiosi, sacerdoti - perché la sofferenza non appartiene a una singola associazione bensì all’uomo. E quindi interessa, trasversalmente, l’intera Chiesa. Tutti possono essere “Consacrati nella Croce”, ognuno rimanendo nella condizione sociale o istituto ecclesiale che vuole.

La consacrazione quali impegni comporta?
In sintesi, sono tre: 1) l’offerta delle nostre sofferenze per il bene della Chiesa e la salvezza delle anime; 2) il ricordo reciproco in ogni Santa Messa; 3) il venerdì sera un incontro spirituale di preghiera, perché l’offerta della croce sia un fuoco sempre alimentato da Dio.

Tu hai scritto, sulla pagina Facebook di “Consacrati nella Croce”, che avevi fatto avere il tuo progetto a san Giovanni Paolo II. In che modo?
Gli avevo consegnato il progetto - ancora non ben definito - di persona, durante un’udienza generale, in cui il Santo Padre accoglieva gli ammalati. Poi lo stesso Giovanni Paolo II mi fece pervenire la sua risposta, attraverso il segretario, dandomi la sua benedizione apostolica e consigliandomi di rivolgermi al mio vescovo. E il vescovo di allora, monsignor Antonio Mattiazzo, mi suggerì di partire dalla realtà delle parrocchie locali e coinvolgere gli ammalati. In seguito, ritrovai un sacerdote che avevo conosciuto nel mio paese d’origine, don Umberto, a cui parlai dell’immagine della croce divisa e del progetto che non sapevo come concretizzare. «Vieni da me, e facciamo una Messa di Consacrazione», mi disse. La prima Messa, con nove “Consacrati nella Croce”, si è tenuta a San Giorgio di Perlena (Vicenza) il 14 settembre 2009 [nelle foto in alto e in basso due momenti di quel giorno, ndr].

Per la festa dell’Esaltazione della Santa Croce… e oggi quanti siete i consacrati?
Più di 90, finora tutti provenienti da province venete. Ogni anno, sempre con don Umberto, facciamo una nuova Messa con nuove persone che si vogliono consacrare nella Croce.

La consacrazione è aperta anche a chi vuole offrire una sofferenza spirituale, giusto?
Certamente. Io ero partito con le persone che avevano una sofferenza evidente nel corpo. Poi, però, pensandoci bene, abbiamo realizzato che Gesù iniziò a soffrire la Passione nell’Orto degli Ulivi, con l’agonia spirituale che gli fece sudare sangue. Vuol dire che quella sofferenza ha avuto una grandissima forza redentrice. Per questo tra di noi, consacrati nella Croce, ci sono persone che fisicamente stanno bene ma hanno una sofferenza spirituale o morale - c’è chi ha perso un proprio caro, chi ha un figlio con un tumore, ecc. - che uniscono ai dolori di Gesù.

Ieri, e ancora di più oggi, c’è un mondo, anche interno al cristianesimo, che rifiuta la Croce. Come pensi di riuscire a diffondere una proposta così?
Se è una cosa che viene da Dio, sarà Lui ad aprire le strade. Il mio desiderio è che diventi una proposta inserita almeno a livello diocesano e, con l’aiuto di altri sacerdoti, si estenda anche alle altre diocesi. Un cristiano deve guardare alla Croce, e capire che la salvezza viene da lì. Io penso alle persone anziane o anche giovanissime, sofferenti, sole… se tutte capissero che la loro croce non è un peso inutile, ma è preziosa e necessaria nella battaglia per la salvezza delle anime, si sentirebbero valorizzate. E, vedendone il senso, la offrirebbero a Dio con gioia.