L'Europa tardoantica e medievale. Il cristianesimo. La penetrazione del cristianesimo nella societa romana
IL CRISTIANESIMO E L’IMPERO
di Antonio Carile
Il termine “cristiani” venne per la prima volta assegnato ai seguaci di Cristo nel 35 d.C. ad Antiochia durante l’inchiesta del legato di Siria Vitellio sui fatti della passione e martirio di s. Stefano. In quell’anno, Vitellio invia a Roma il suo rapporto assieme a documenti concernenti Pilato.
Il Senato emise un senatoconsulto non licet Christianos esse contrastato dall’imperatore Tiberio che invece proibì, sotto pena di morte, la persecuzione dei cristiani. Dal 64, anno dell’incendio di Roma e della persecuzione neroniana, al 95, quando Domiziano elimina i cristiani dalla casa imperiale e mette a morte il console Flavio Clemente e la sua consorte Flavia Domitilla, l’intolleranza verso i cristiani non impedisce la diffusione della predicazione e del proselitismo grazie alle numerose colonie ebraiche che forniscono le infrastrutture di accoglienza ai predicatori, salvo i contrasti che poi ne ebbero a sorgere in campo dottrinale.
Le ricorrenti persecuzioni anticristiane non inficiano la devozione dei cristiani all’Impero: nel 180, nella Lettera a Diogneto si sottolinea che i cristiani obbediscono alle leggi, mentre Teofilo Antiocheno (ad Autolycum) riconosce l’origine divina della potestà imperiale; Atenagora, nella Apologia a Marco Aurelio e Commodo, afferma “preghiamo per il vostro potere” e Ireneo insiste sulla origine divina dell’autorità secondo il passo della Lettera ai Romani (cap. 13) omnis potestas a Deo. Settimio Severo, meno sospettoso verso i culti orientali, assicura al cristianesimo un quarantennio di pace e riconosce proprietà ecclesiastiche.
Tertulliano nell’Apologeticum riafferma il lealismo imperiale dei cristiani: noster est magis Caesar ut a nostro Deo constitutus. Alessandro Severo (222-235), nell’ambito di una visione enoteistica comune al ceto dirigente, inserisce l’immagine di Cristo nel suo larario. La discriminazione e la persecuzione non avevano impedito al cristianesimo di diffondersi: a nulla valsero in tal senso le persecuzioni del 251 di Decio, del 257 di Valeriano e la grande persecuzione del 303-311, che terminò con gli editti di tolleranza del 311 di Galerio e Costantino e del 313 di Costantino e Licinio.
Il cristianesimo si diede un’impalcatura amministrativa modellata sulla struttura cittadina dell’Impero romano. Si distinse fra un ceto sacerdotale e i laici, mentre i singoli preti erano sottoposti alla autorità e giurisdizione del vescovo la cui diocesi coincideva con il distretto cittadino. Il vescovo di Roma pretese molto per tempo il primato di onore e giurisdizionale sugli altri vescovi, affermazione che troviamo già nella Lettera ai Corinzi di Clemente Romano (destinato poi a divenire papa). Il vescovo assume un tale rilievo che nel 384 Valentiniano II, Teodosio e Arcadio riconoscono la episcopalis audientia, il foro privilegiato episcopale per le cause ecclesiastiche, principio che nel 399 viene ribadito da Arcadio e Onorio: quotiens de religione agitur, episcopos convenit agitare. L’assetto amministrativo centralizzato del clero e il ruolo primaziale della Chiesa romana fanno sorgere precocemente il problema del rapporto fra il potere imperiale e il potere vescovile espresso nel vertice papale. Nel 384 s. Ottato di Milevi afferma che la Chiesa è nell’Impero e non viceversa, per cui al vertice c’è l’imperatore, sottoposto solo a Dio; ma nel 405 papa Innocenzo I scomunica Arcadio ed Eudossia per aver allontanato il vescovo Giovanni Crisostomo dalla sede di Costantinopoli; Rufino di Aquileia afferma che l’imperatore non può giudicare i vescovi, i quali invece possono giudicare l’imperatore. Il papa Felice III (483-492) scrive a Zenone “... quando si tratta di cause di Dio, sforzatevi, secondo quanto egli ha stabilito, di sottomettere la regia volontà ai sacerdoti di Cristo, non di anteporla, e di apprendere le sacrosante realtà dai suoi presuli piuttosto che volerle insegnare, di rispettare le strutture della Chiesa e non di prefiggerle leggi da seguire umanamente”.
treccani.it
Sono trascorsi diciassette secoli dall'editto di Costantino, eppure c'è chi, in Roma, che fu la capitale della Cristianità pretende di reintrodurre alcuni culti pagani barbari e demoniaci, e cosa ancor più grave questo abominio è perpetrato da colui che ha come principale obbligo quello di trasmetterci la fede insegnata da Nostro Signore ""tradidi quod et accepi"
(Prima lettera ai Corinzi)
di Antonio Carile
Il termine “cristiani” venne per la prima volta assegnato ai seguaci di Cristo nel 35 d.C. ad Antiochia durante l’inchiesta del legato di Siria Vitellio sui fatti della passione e martirio di s. Stefano. In quell’anno, Vitellio invia a Roma il suo rapporto assieme a documenti concernenti Pilato.
Il Senato emise un senatoconsulto non licet Christianos esse contrastato dall’imperatore Tiberio che invece proibì, sotto pena di morte, la persecuzione dei cristiani. Dal 64, anno dell’incendio di Roma e della persecuzione neroniana, al 95, quando Domiziano elimina i cristiani dalla casa imperiale e mette a morte il console Flavio Clemente e la sua consorte Flavia Domitilla, l’intolleranza verso i cristiani non impedisce la diffusione della predicazione e del proselitismo grazie alle numerose colonie ebraiche che forniscono le infrastrutture di accoglienza ai predicatori, salvo i contrasti che poi ne ebbero a sorgere in campo dottrinale.
Le ricorrenti persecuzioni anticristiane non inficiano la devozione dei cristiani all’Impero: nel 180, nella Lettera a Diogneto si sottolinea che i cristiani obbediscono alle leggi, mentre Teofilo Antiocheno (ad Autolycum) riconosce l’origine divina della potestà imperiale; Atenagora, nella Apologia a Marco Aurelio e Commodo, afferma “preghiamo per il vostro potere” e Ireneo insiste sulla origine divina dell’autorità secondo il passo della Lettera ai Romani (cap. 13) omnis potestas a Deo. Settimio Severo, meno sospettoso verso i culti orientali, assicura al cristianesimo un quarantennio di pace e riconosce proprietà ecclesiastiche.
Tertulliano nell’Apologeticum riafferma il lealismo imperiale dei cristiani: noster est magis Caesar ut a nostro Deo constitutus. Alessandro Severo (222-235), nell’ambito di una visione enoteistica comune al ceto dirigente, inserisce l’immagine di Cristo nel suo larario. La discriminazione e la persecuzione non avevano impedito al cristianesimo di diffondersi: a nulla valsero in tal senso le persecuzioni del 251 di Decio, del 257 di Valeriano e la grande persecuzione del 303-311, che terminò con gli editti di tolleranza del 311 di Galerio e Costantino e del 313 di Costantino e Licinio.
Il cristianesimo si diede un’impalcatura amministrativa modellata sulla struttura cittadina dell’Impero romano. Si distinse fra un ceto sacerdotale e i laici, mentre i singoli preti erano sottoposti alla autorità e giurisdizione del vescovo la cui diocesi coincideva con il distretto cittadino. Il vescovo di Roma pretese molto per tempo il primato di onore e giurisdizionale sugli altri vescovi, affermazione che troviamo già nella Lettera ai Corinzi di Clemente Romano (destinato poi a divenire papa). Il vescovo assume un tale rilievo che nel 384 Valentiniano II, Teodosio e Arcadio riconoscono la episcopalis audientia, il foro privilegiato episcopale per le cause ecclesiastiche, principio che nel 399 viene ribadito da Arcadio e Onorio: quotiens de religione agitur, episcopos convenit agitare. L’assetto amministrativo centralizzato del clero e il ruolo primaziale della Chiesa romana fanno sorgere precocemente il problema del rapporto fra il potere imperiale e il potere vescovile espresso nel vertice papale. Nel 384 s. Ottato di Milevi afferma che la Chiesa è nell’Impero e non viceversa, per cui al vertice c’è l’imperatore, sottoposto solo a Dio; ma nel 405 papa Innocenzo I scomunica Arcadio ed Eudossia per aver allontanato il vescovo Giovanni Crisostomo dalla sede di Costantinopoli; Rufino di Aquileia afferma che l’imperatore non può giudicare i vescovi, i quali invece possono giudicare l’imperatore. Il papa Felice III (483-492) scrive a Zenone “... quando si tratta di cause di Dio, sforzatevi, secondo quanto egli ha stabilito, di sottomettere la regia volontà ai sacerdoti di Cristo, non di anteporla, e di apprendere le sacrosante realtà dai suoi presuli piuttosto che volerle insegnare, di rispettare le strutture della Chiesa e non di prefiggerle leggi da seguire umanamente”.
treccani.it
Sono trascorsi diciassette secoli dall'editto di Costantino, eppure c'è chi, in Roma, che fu la capitale della Cristianità pretende di reintrodurre alcuni culti pagani barbari e demoniaci, e cosa ancor più grave questo abominio è perpetrato da colui che ha come principale obbligo quello di trasmetterci la fede insegnata da Nostro Signore ""tradidi quod et accepi"
(Prima lettera ai Corinzi)