L'Apocalisse e i castighi: ma gli uomini non fecero penitenza!

LE 7 TROMBE E I CASTIGHI DIVINI

(Riferimento biblico: Ap 8, 7-13)


(Consiglio di leggere prima i i versetti indicati di questo capitolo per capire meglio le spiegazioni di don Dolindo. L’italiano è un po’ datato scrivendo don Dolindo nel 1943-44 ma si capisce tutto integralmente per cui preferisco lasciare il testo così com’è).

A misura che san Giovanni s’inoltrò nella sua grandiosa contemplazione, vide piaghe e flagelli che avrebbero colpito in modo particolare gli uomini degli ultimi tempi del mondo, ma gli annunci che egli ci dà non sono estranei alle nostre generazioni, come non lo furono alle passate epoche della vita del mondo e della Chiesa.

In ogni tempo l’iniquità umana raggiunge confini che Dio non può assolutamente permettere siano oltrepassati, e in ogni tempo suonarono queste mistiche trombe nei flagelli che colpirono la terra, il mare, e le acque, e nei fenomeni celesti che atterrirono i popoli, diminuendo almeno per po’ la loro tracotanza e la loro stupida perversità nel peccare.

I cataclismi, i terremoti, le tempeste spaventose, le anormalità nei fenomeni celesti sono stati come trombe di avviso e trombe di giudizio per l’umanità e l’hanno scossa nel suo torpore.

Solo queste grandi manifestazioni di giustizia potevano scuoterla, perché il cuore umano è ostinato nel male, apatico nel bene, reagente nelle esortazioni che riceve, legato alle sue fisime sino alla follia, insensibile nel suo egoismo alle sofferenze degli altri causate dai suoi peccati, debole nei suoi propositi, fanciullone nei suoi apprezzamenti, stolto nelle pretese della sua claudicante ragione; e solo quando vede intorno a sé tutto crollare e si sente punto nel suo egoismo, cede innanzi alle esigenze santissime della giustizia di Dio, e mette quel poco che serve a ristabilire l’equilibrio nell’ordine morale, quel tanto poco di cui la misericordia di Dio si contenta per ritirare il suo braccio forte e tendergli la mano perdonante e benedicente.

In realtà è stupefacente come Dio si accontenti di poco per usare misericordia; basta una pubblica manifestazione penitenziale, una riparazione qualunque alle angherie fatte alla Chiesa, un atto energico delle pubbliche autorità, per arginare il male, un voto nazionale, insomma un atto qualunque di resipiscenza, per veder spuntare sui popoli e sugli individui un periodo di pace e di prosperità. È un fatto controllato continuamente nei secoli, e del quale siamo stati testimoni noi stessi.

(…).

Di fronte ai grandi flagelli che ci hanno colpiti ed a quelli che ci colpiranno se non mutiamo radicalmente vita, non possiamo rimanere indifferenti; dobbiamo convertirci sinceramente a Dio, umiliandoci sotto la sua potentissima mano.

All’apertura del settimo sigillo si fece silenzio nel cielo, e al manifestarsi dei castighi divini deve farsi silenzio nell’anima nostra. Non deve tacere la preghiera ma la natura, l’orgoglio, la presunzione, e l’anima, tutta raccolta nel mistico silenzio dell’umiltà, deve riconoscere le proprie colpe e implorare misericordia. Purificata dalla penitenza, resa candida come angelo, deve fermarsi innanzi all’altare, deve profumare le proprie preghiere con l’Offerta eucaristica, e per Gesù ed in Gesù, unita alle preghiere dei santi, deve implorare misericordia.

Non dobbiamo subire le tribolazioni come una fatalità, o peggio con animo tracotante e indifferente, ma come un olocausto offerto al Signore in riparazione delle nostre iniquità. Il tempo delle tribolazioni è un tempo di grazie come lo è il tempo quaresimale; allora è il Signore stesso che c’impone il digiuno, il cilizio, la disciplina e l’espiazione. Se l’anima si ribella, e invece di far penitenza pecca di più, l’espiazione si muta in flagello vendicatore, che può generare in noi la disperazione blasfema dei dannati. Riconosciamoci prima di tutto rei innanzi a Dio, umiliamoci e confessiamo le nostre colpe nel santo tribunale della penitenza.

I capi di Stato hanno il dovere strettissimo di promuovere con ogni mezzo lo spirito di riparazione pubblica e di penitenza, come fece il re di Ninive alla predicazione di Giona. Questo dovere l’hanno più di tutti i Capi della Chiesa e i sacerdoti.

È un delitto, un grande delitto, quando Dio fa suonare dai flagellanti angeli le trombe dei castighi che invitano alla penitenza, il baloccarsi con discorsi e mosse più o meno politiche, con il pretesto di non scoraggiare il popolo, o di non urtare i regnanti e i partiti politici. Se c’è un tempo nel quale bisogna parlare totalitariamente delle proprie responsabilità, e nel quale bisogna esortare soprannaturalmente i popoli, questo è proprio quello dei grandi castighi di Dio.

Un capo di Stato che non si senta all’altezza spirituale di fare questo, deve dimettersi, perché diversamente diventa egli stesso un flagello per la nazione.

Come nei tempi passati di rigorosa quaresima, debbono chiudersi i teatri, i cinema, i ritrovi, e molto più le case di gioco e di peccato. Debbono promulgarsi leggi severe contro il turpiloquio e la bestemmia, e deve promuoversi con tutte le forze la santificazione dei giorni festivi. Far lavorare di festa con la scusa delle esigenze belliche è un grandissimo errore, perché a nulla valgono le armi; conta invece moltissimo la benedizione di Dio.

Al riconoscimento e alla riparazione delle proprie colpe bisogna unire la preghiera pubblica e privata, le processioni penitenziali, le funzioni riparatrici e le adorazioni impetratrici. Ogni casa deve mutarsi in un santuario, ogni anima in una vittima di penitenza, ogni cuore in un olocausto di amore. Se non si fa così, il flagello incalza, la rovina cresce, e al suono di una tromba ne segue un altro più grave, perché il Signore non chiama invano e non vuol chiamare invano.

Dolorosamente, nei flagelli noi vediamo il contrario, vediamo il moltiplicarsi dei peccati, delle impurità, delle ingiustizie, e per questo essi non cessano, si susseguono gli uni agli altri, e lasciano una scia terribile di rovine e di sangue.

Non è il Signore che incrudelisce allora contro di noi, sono i popoli che insaniscono come infermi frenetici che irrompono contro il medico che li vuole curare.

* * *

COSIDERAZIONI...


Deve immensamente impressionarci e darci seriamente da pensare quello che dice san Giovanni chiudendo questo capitolo: Il resto degli uomini che non furono uccisi da queste piaghe, neppure fecero penitenza delle opere delle loro mani, in modo da non adorare più i demoni e i simulacri d’oro, d’argento, di bronzo, di pietra e di legno, i quali non possono né vedere, né udire, né camminare. E non fecero penitenza dei loro omicidi, né dei loro venefici, né della loro fornicazione, né dei loro furti.

Purtroppo è questa la caratteristica della nostra epoca, e i delitti ai quali accenna san Giovanni sono proprio quelli che si sono consumati nelle nazioni moderne, specialmente nel tempo della guerra. Non abbiamo fatto penitenza dei nostri peccati, e questo è molto penoso, anzi li abbiamo moltiplicati come non mai. Le nazioni apostate da Dio – e sono tutte – non hanno cessato di adorare i demoni vivendo nel peccato, né hanno cessato dal vivere idolatricamente e paganamente, aspirando solo a ricchezze, a onori e alle comodità della vita materiale, dimenticando il nostro ultimo ed eterno fine.

Si sono moltiplicati gli omicidi, e la vita è stata riguardata come qualcosa di spregevole; si sono intensificate le pratiche superstiziose, si è caduti in baratri d’impurità e in tali forme di ladrocini e di rapine da sgomentare.

I fanciulli sono stati non solo scandalizzati, ma traviati nel profondo della loro coscienza, fino al punto che non si vede più come possano ricondursi al bene.

Le giovani, rese sfacciate sino all’inverosimile, si sono prostituite nel male.

I giovani si sono sfrenati nel libertinaggio.

Il popolo si è dato al ladroneccio in tutti i modi, con ogni sorta di furti e di rapine.

Frattanto le Chiese sono deserte. I luoghi di spettacoli e di piaceri immondi affollatissimi, la ricerca del proprio tornaconto e l’egoismo spaventosamente intesi.

La parola di san Giovanni si è avverata in pieno: Gli uomini neppure hanno fatto penitenza delle opere delle loro mani.

Risvegliamoci, per carità, imploriamo misericordia, facciamo penitenza se vogliamo vedere giorni migliori, e preparare l’anima alle grandi misericordie che debbono rinnovare la faccia della terra. Non è la ricerca dei beni terreni che ci dà ciò che è necessario alla vita ma la ricerca dei beni eterei, secondo la parola di Gesù: Cercate prima il regno di Dio e il resto vi sarà dato per sovrappiù. Convertiamoci sinceramente al Signore, ritorniamo figli obbedienti della Chiesa, osserviamo scrupolosamente le Leggi di Dio e quelle della Chiesa e troveremo finalmente la pace. Ci basti la triste esperienza che abbiamo fatto, le terribili ore di angoscia che abbiamo passate, le rovine che abbiamo viste, la fame che abbiamo sofferta, le epidemie che ci hanno desolati.

Gettiamoci ai piedi di Dio che è Padre nostro amorosissimo, preghiamo, ripariamo, adoriamo, accettiamo esultanti le blande penitenze che c’impone la Chiesa, riaccostiamoci alle fonti della vita, ai Sacramenti, che sono anche fonti di pace e di felicità. Non viviamo per mangiare, per bere e per divertirci, come purtroppo abbiamo visto fare per tanti anni di aberrazione e di apostasia, viviamo come pellegrini che tendono all’eterna Patria, rinnegando noi stessi, portando la croce e seguendo il nostro Redentore. Qualunque altra forma di vita è illusione ed infelicità, e porta in se stessa i germi della rovina. C’illumini la fede, ci sostenga la speranza, ci riscaldi l’amore, ci elevino i mezzi soprannaturali che Gesù Cristo ci ha dato, ci guidi la grazia nel mortale cammino, ci unisca tutti la carità, sotto la guida della Chiesa e, retti dall’unico Pastore, formiamo un solo ovile per ritrovarci tutti un giorno nell’eterna felicità.


(Sacerdote don Dolindo Ruotolo)
Stefania Stefy Stefanini condivide questo
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