Ulteriori analisi sul nuovo rito di consacrazione episcopale (18 giugno 1968)

Cerchiamo di esaminare più da vicino la questione riguardante la nuova formula di consacrazione episcopale del 1968. Intanto Cominciamo chiedendoci chi ne siano stati gli autori. Ormai, dopo cinquan'anni è ormai noto a chi si interessa della questione, ci troviamo a che fare con personaggi già noti, fortemente compromessi con istituzioni massoniche e ferocemente anticristiane, al centro delle apparenti stravaganze già note della cosiddetta “nuova messa”, un rito di ispirazione vagamente anglicano-protestante, osannante il massonico e gnostico “dio signore dell’universo”, e fuorviando totalmente dal contesto teologico tridentino, pertanto carico di anatemi imperituri, in particolare per chi ne ha o ne dovrebbe avere consapevolezza (Per approfondire l'argomento consultare il testo del breve esame critico del "Novus Ordo Missae" firmato dai cardinali Ottaviani e Bacci, e soprattutto il piano massonico volto alla distruzione della Chiesa Cattolica, entrambi liberamente consultabili in ISTRUZIONE CATTOLICA). Non paghi dello “scoop” sacrilego anticattolico ed antiliturgico, di per se stesso già gravissimo, e mirando a radere al suolo totalmente la Gerarchia cattolica, e quindi la Chiesa stessa, avviano questa nuova “pratica” che confondendo tradizioni apostoliche inesistenti, costruite in biblioteca per attribuirsi un’aureola di sapienza, e mescolando riti orientali, siriaci ed africani, di difficile controllo documentale, ed oltretutto già rigettati nel passato perché eretici e blasfemi, creano questo nuovo rito gettando fumo negli occhi con ignobili menzogne e contraffazioni. E allora, analizziamo chi sono gli autori del Pontificale Romano: 1) Giovanni Battista Montini, detto Paolo VI, figura arcinota, il cui ruolo, decisivo nella contro-Chiesa, è riconosciuto ormai da tutti come determinante. Non ci dilungheremo sulla sua figura limitandoci a rinviare i lettori al trittico del sacerdote Luigi Villa che lo ha “degnamente” e compiutamente descritto con dovizia di particolari ed abbondante documentazione:

L’altro soggetto, già noto ai lettori attenti: 2) Mons. Annibale Bugnini, il tristemente noto BUAN 1365/75 (nome in codice di appartenenza alla “loggia” massonica) il “grande prestigiatore”che ebbe la “sfortuna” (provvidenziale) … di dimenticare ad una conferenza in Vaticano, su una sedia, una borsa che malauguratamente fu rinvenuta da un giornalista che ne rivelò il contenuto: erano documenti segreti della loggia di appartenenza massonica dell’incauto. Così, una volta scoperto, fu inviato come nunzio apostolico in Iran, per chiudere ingloriosamente la sua turpe carriera.


Ma l’incarico più “tecnico” fu assunto da un monaco benedettino, 3) dom. Bernard Botte, OSB, di cui nessuno aveva mai saputo nulla, e che qualche anno prima del nuovo pontificale, pubblicava un libro in cui illustrava una strana e fino ad allora oscura, presunta “tradizione di Ippolito”, un Ippolito che non si capisce chi fosse stato, la stessa “tradizione” già implicata fraudolentemente nella stesura della “messa di BuAn”( l’attuale rito rosa+croce presentato come "Messa cattolica").

Il “Pontificalis Romani” (nuovo Sacramento dell’Ordine) è stato promulgato da Giovanni Battista Montini, Paolo VI, il 18 giugno 1968. – Egli nomina Annibale Bugnini, che fu quindi l’artefice dei due documenti liturgici essenziali del suo pontificato: 1) il Pontificalis Romani, promulgato il 18 giugno 1968 e 2): in Cena Domini, promulgato il 03 Aprile 1969. Il 07 gennaio 1972, Montini ha poi egli stesso premiato Bugnini,ordinandolo” all’Episcopato, e nominandolo poi, il 15 gennaio 1976, Arcivescovo titolare di Dioclentiana. Ma davanti allo scandalo della sua nota e divulgata appartenenza massonica fin dal 23 aprile del 1963 sotto il nome in codice di ’Buan 1365/75’, si limita a “esiliarlo” come pro-Nunzio apostolico a Teheran, avendo egli svolto egregiamente il suo compito.

Dom Bernard Botte, benedettino dell’abbazia del Mont-César (Belgio) fu, sotto l’autorità di Bugnini, il principale artigiano del testo, inventando la rocambolesca ricostruzione di un fantomatico rito, da una pretesa tradizione apostolica di Ippolito (ripeto che nessuno a oggi sa di quale Ippolito si tratti...), nota evidentemente a lui solo, e di cui non si era mai sentito parlare in precedenza nella Chiesa se non come frammento storico da decifrare; una favola partorita dalla fervida fantasia di questo strano benedettino, e subito fatta propria da chi intendeva distruggere la Gerarchia, il Sacerdozio ed i Sacramenti cattolici (massoneria).

Quali sono le origini del Pontificalis Romani, da dove proviene questa formula di Paolo VI ? Le Ragioni addotte da Paolo VI nel Pontificalis Romani per promulgare questa riforma ufficialmente sono: – « … Si è giudicato bene di ricorrere, tra le fonti antiche, alla preghiera consacratoria che si trova nella “Tradizione apostolica di Ippolito di Roma”, documento dell’inizio del terzo secolo, e che, in una grande parte, è ancora osservata nella liturgia dell’ordinazione presso i Copti ed i Siriaci occidentali. In tal modo, si rende testimonianza, nell’atto stesso dell’ordinazione, dell’accordo tra la tradizione orientale ed occidentale sul carico apostolico dei Vescovi » Paolo VI (Pontificalis Romani,1968). Ora, qui vi è un inganno palese, poiché è provato (come vedremo più avanti) che : – La pretesa (*) Tradizione apostolica attribuita ad Ippolito di Roma, o ad altri autori, è un tentativo di ricostituzione fatto da Dom Botte dopo il 1946, ed « in modo costruttivo », secondo l’espressione di R.P. Hanssens, nel 1959. – La Tradizione apostolica d’Ippolito suscita dal 1992 un dibattito tra specialisti che la qualificano come di «pretesa Tradizione apostolica», quindi quantomeno dubbia, se non fantomatica! Questa controversia divenne oggetto di un seminario nel 2004 nel quale si conclude che: –1) La preghiera di consacrazione di Paolo VI si ispira, ma non s’identifica, con la pretesa Tradizione apostolica attribuita ad Ippolito; essa rappresenta una creazione “artificiale” di Dom Botte nel 1968. 2) La preghiera consacratoria di Paolo VI, la cui forma essenziale è ispirata alla pretesa Tradizione Apostolica d’Ippolito, presenta delle similitudini con i riti Abissini, riti di eretici “monofisiti”, i quali non costituiscono dei riti validi, ma piuttosto dei riti risultanti da dibattiti teologici nati alla fine del XVII secolo. 3) I riti copto e siriaco non utilizzano affatto la formula detta d’Ippolito, (dello stesso avviso è perfino Dom Botte!). inoltre i riti utilizzati dal siriaco al copto, ai quali ci si è falsamente ispirati, venivano utilizzati per insediare un Patriarca già consacrato Vescovo, e quindi non conferivano in alcun caso il Sacramento dell’ordine! – 4) La formula di Paolo VI non manifesta alcun «accordo tre le tradizioni orientale ed occidentale», ma viene recuperata piuttosto da una pretesa (*) ‘Tradizione apostolica d’Ippolito’, testo che secondo alcuni proviene invece da ambiti egiziano-alessandrini, nei quali i riti traducono, secondo Burton Scott Easton, le influenze della sinagoga (The Apostolic Tradition of Hippolytus, Burton Easton, 1934, pag. 67 ed. del 1962, Archon Books).

In sostanza, la “contestazione d’Ippolito”, conosciuta dagli specialisti già dal 1946, ossia ben 22 anni prima del Pontificalis Romani, continua nel 1990 ed oltre, anche da parte dei Bollandisti (Gesuiti seguaci di Bolland, particolarmente eruditi nelle documentazioni ecclesiastico-liturgiche). Sarebbe troppo lungo e noioso riportare tutti i documenti, veri o presunti, ed i dibattiti successivi sul tema, ma a quanti, incuriositi, volessero delle indicazioni precise, consigliamo di consultare il sito del comitato “Rore Sanctifica” o i diversi Tomi di “Démontration et bibliographie” editi da ESR. In conclusione, la preghiera consacratoria di Paolo VI s’ispira, ma non riproduce affatto neppure quella della pretesa “Tradizione Apostolica d’Ippolito’ che è stata quindi solo un po’ di “fumo negli occhi”, un “bluff” per prendere tempo in attesa di tempi migliori e di nuove invenzioni, e costituisce pertanto una creazione artificiale di Dom Botte nel 1968. L’inganno verrà meglio compreso successivamente, quando qualcuno andrà a scovare le formule ed i riti orientali nelle lingue originali, fraudolentemente addotti essere un modello di ispirazione onde fondere le consuetudini liturgiche occidentali ed orientali, sicuri che nessuno mai andasse a verificarle, fidandosi della perizia dei falsi e ben oleati “sapienti” incaricati. Per il momento ci fermiamo qui, ma le sorprese continuano: “Esse ci fanno capire la volontà sottile con la quale si sia perpetrato l’inganno tra l’indifferenza, l’insipienza e, non voglia Iddio, la connivenza di tanti presunti “conoscitori di cose divine”, mollemente adagiati nei loro dorati e comodi giacigli.

Spada
@Massimo M.I. suvvia, sia serio. Macché sosia! Non siamo al cinema. Si legga come ha progettato la tomba della madre. E se qualcuno ha le prove, smentisca, grazie.
Istruzione Cattolica
Non vi fu alcun sosia; la personalità del soggetto era problematica già prima dell'elezione al conclave. A tal proposito il lavoro di ricerca del sacerdote Luigi Villa reperibile nei suoi libri su Paolo VI, è emblematico e significativo.
Massimo M.I.
Viene il dubbio che veramente ascoltando questa incicllica di Paolo VI abbia avuto un sosia, realtà troppo estreme
Cossa shares this
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Molto interessante. Vorrei poterlo condividere e divulgarlo al popolo Cattolico. Per questo sono stato Cresimato.
MonicaC
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